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Marichuy: una donna portavoce dei popoli indigeni per un Messico diverso

Si avvicina il 2018, anno delle elezioni presidenziali in un Messico devastato dalla violenza estrattiva delle multinazionali, dalla militarizzazione e dal narcotraffico. Ma i movimenti indigeni lanciano una candidatura anticapitalista.

Il paese è sempre più sconvolto dalla violenza prodotta dallo sfruttamento incontrollato da parte di multinazionali delle risorse del paese, mentre il narcotraffico e la presenza di flussi costanti di migranti verso gli stati uniti determinano una progressiva militarizzazione del paese. Se da un lato la politica tradizionale sta producendo il solito teatro di partiti sempre più complici e alleati in un sistema che porta morte e violenza in tutti gli stati del paese, dall’altro vi è una componente innovativa. A partire dall’autunno 2016, sotto impulso diretto dell’EZLN, il Consiglio Nazionale Indigeno, coordinamento di tutte le minoranze indigene presenti nel paese, ha per la prima volta acquisito corpo e vigore come strumento di rappresentanza dal basso, stabilendo il processo per costituire un organo di governo allargato il Consiglio Indigeno di Governo (CIG). All’interno di questo ambito è nata l’idea di esprimere una portavoce, che potesse essere il volto delle persone senza volto.

Le elezioni politiche sono uno dei contesti in cui più si manifesta il livello di emarginazione ed esclusione in cui è costretta la popolazione indigena. Nelle comunità rurali i brogli e la compravendita di voti sono fatti quasi inevitabili, mentre invece per molti le elezioni neppure esistono in quanto non possono votare perché non registrati. A maggio 2017 il CNI decide di scegliere come portavoce una donna Marichuy (Maria del Jesus Patricio) che si presenta con queste parole: “Partecipare, accettare di partecipare accogliendo la proposta del CNI e dei fratelli dell’EZLN è non tanto lavorare per una questione di portare voti, né di andare a sedersi alla sedia maliziosa, al contrario la nostra partecipazione è per la vita e per l’organizzazione e la ricostituzione dei nostri popoli che sono stati colpiti anno dopo anno, e credo che ora dobbiamo avere una nuova forma per continuare a esistere. Credo che non solamente i popoli indigeni saranno coinvolti, ma il fatto di partecipare in questo progetto è per invitare tutti i settori della società civile organizzata e non, perché anche loro uniscano gli sforzi possibili per distruggere questo sistema che ci sta uccidendo tutti. Noi, come popoli indigeni abbiamo analizzato che lotteremo per la vita e la vita include terra, territorio, acqua alberi e li stanno distruggendo tutti”.

La sfida è evidente, cogliere il contesto politico delle elezioni per riuscire ad emergere con la questione indigena e permettere a questa di acquisire spazio nel dibattito politico e nel discorso pubblico. Non è stata una scelta semplice e non è stata una scelta priva di tensioni all’interno della parte di Messico particolarmente vicina alla questione indigena e all’EZLN, che hanno evidenziato i rischi di immettersi in una campagna elettorale che sarà sicuramente spietata. Le sue differenze dai partiti tradizionali sono evidenti. Marichuy dice “I partiti fanno campagna per giungere alla presidenza, portano dispense e si impegnano a seguire situazioni che non seguono, promesse che non compiono.” Al contrario, chiarisce, “quello che propone il CNI è l’organizzazione dal basso e, più che accumulare voti per ottenere il potere, articolare forze che stanno in basso, poter denunciare quello che sta accadendo nelle comunità, il processo di spoliazione progressiva. Per questo la nostra partecipazione sarà diversa, sarà denuncia, organizzazione, articolazione, dare a conoscere tutto quello che sta realmente succedendo nelle comunità e nei quartieri.”

Marichuy sta affrontando non pochi problemi con la propria candidatura, a partire da una difficoltà grave nel raccogliere le firme necessarie per candidarsi. Infatti sono necessarie 866.593 firme che si possono prendere solo attraverso una app che gira solo su telefonini estremamente costosi. Ma Marichuy va avanti, comunità per comunità, ascoltando la gente, cercando di comprendere i problemi vissuti e le resistenze che si sono sviluppate, rinforzando con le sue parole la speranza e l’unione. Lottare per la vita significa resistere e costruire; come insegnano le EZLN, ogni autonomia si realizza attraverso un’arte che non si vede e non si sente, che si chiama organizzazione.