EUROPA

La Polonia sopraffatta dalla destra nazionalista

Cosa sta succedendo in Polonia? Genealogia e prospettive del pericoloso autoritarismo nazionale. E possibiità di resistenza.

Il 25 ottobre, il governo della Polonia è passato nelle mani del partito di Kaczyński Legge e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS). La più grande compagine della destra nazionalista, che solo a maggio è riuscita a far eleggere Andrzej Duda presidente, ha ottenuto la maggioranza in Parlamento (sia al Sejm sia al Senat, rispettivamente la Camera Bassa e Alta del Parlamento polacco) e si è lanciata immediatamente all’offensiva. Il piano del PiS è semplice: trasformare la Polonia in un’autocrazia nazionalista, dove la sicurezza sociale di base per i cittadini (come il sussidio di 500 złoty mensili per crescere un figlio, un innalzamento della soglia minima d’imposta sul reddito ecc.) finanziata attraverso la correzione del libero mercato (inclusa la riscossione d’imposta sulle operazioni bancarie e sulle catene di supermercati) sarà barattata con limitazioni alla libertà personale (come la sorveglianza su internet), la legislazione sarà modellata sulla morale nazionale cattolica (le leggi pro-life, la proibizione della fecondazione in vitro e la definizione del matrimonio in quanto unione tra un uomo e una donna) e su un tipo di cultura che valorizza i modelli di patriottismo eroico, gli episodi gloriosi della storia nazionale e la fedeltà alla religione.

La vittoria della destra nazionalista non sorprende, ma le sue dimensioni e le conseguenze di vasta portata sicuramente lo hanno fatto

Privo di una maggioranza costituzionale, il PiS è costretto a realizzare i suoi obbiettivi politici in due modi: mediante la presa del controllo sulle istituzioni (inclusi i mezzi pubblici di comunicazione, le istituzioni culturali, le imprese statali e l’amministrazione) e lo sfondamento delle strettoie giuridiche che nel passato quarto di secolo (cioè dal crollo del comunismo) erano servite a mettere un freno ai tentativi autocratici. Il secondo modo consiste nella presa di controllo su alcuni organi come la Corte Costituzionale, che ha il potere di mettere in discussione le leggi in contrasto con la Costituzione polacca, ma anche nell’indebolimento della separazione tripartita del potere (che non permette a un solo e unico individuo di svolgere congiuntamente le funzioni di Ministro della Giustizia e di Procuratore Generale) e nel superamento della divisione dei poteri amministrativi (centrale, territoriale e locale, ognuno con competenze separate). Il PiS sta emanando delle leggi che demoliscono gli equilibri democratici del sistema liberale al fine di aprire la strada all’immediata realizzazione del futuro politico del suo governo, facendole votare e ratificare dal Presidente ed evitando che qualsiasi tipo di controllo possa minarlo, contestarlo o fermarlo.

In meno di tre mesi da quando ha assunto il potere, il PiS ha cambiato forma alla Corte Costituzionale, ha trasformato i mezzi pubblici di comunicazione in istituzioni culturali nazionali direttamente in rapporto con il Ministro e ha ritoccato la legge sulla pubblica amministrazione così da poter adattare la sua struttura interna alle esigenze delle autorità. Allo stesso tempo è stata condotta un’ispezione negli istituti culturali pubblici per verificarne l’allineamento alla missione nazionale. Ciò è stato accompagnato da cambiamenti alle commissioni, ai comitati e alle posizioni dirigenziali delle imprese pubbliche. Il Sejm discute una dietro l’altra le leggi che sono state elaborate negli scorsi otto anni, durante i quali il PiS ha lottato pazientemente per il potere. Stanno riuscendo a cambiare la Polonia in un paese i cui cittadini potrebbero essere un po’ più ricchi materialmente (ma dubito anche di questo) ma anche sorvegliati, infiltrati, controllati e censurati.

La genesi

La vittoria della destra nazionalista non sorprende, ma le sue dimensioni e conseguenze di vasta portata sicuramente lo hanno fatto. Dopo la caduta del comunismo nel 1989, il modello di trasformazione politica messo in atto era un accordo tra il partito comunista, la corrente principale dell’opposizione democratica, con al centro Solidarność, e la Chiesa cattolica, accordo radicato nella geopolitica di quei tempi (in particolare le relazione dell’élite dell’opposizione polacca con gli USA), e si basava su una “terapia d’urto”: le riforme radicali del mercato si abbinavano a un modello decentralizzato di democrazia liberale ed entrambi si collegavano al ruolo culturale dominante della Chiesa, al tempo relativamente calma e tollerante.

Il vecchio Stato Sociale fu demolito rapidamente e si realizzò la privatizzazione della sanità, dell’educazione, dei trasporti pubblici e la paralisi dei diritti dei lavoratori insieme alla liberalizzazione del mercato del lavoro e alla dissoluzione del sistema generale di sicurezza sociale. Lo Stato rinunciò ai propri obblighi di gestione dei sistemi sociali, culturali ed economici, delegandoli alle regole del mercato, alle ONG e alle organizzazioni di carità (spesso gestite dalla Chiesa). Esso fu incoraggiato a farlo dalla struttura stessa del sistema politico, scaturita dalla paura del dominio autoritario: il potere fu diviso tra un governo, un parlamento bicamerale, un presidente, i governatori delle provincie (voivodati), i parlamenti delle rispettive province, i Comuni e le giunte comunali, i sindaci dei powiat (grosso modo il corrispettivo delle contee inglesi e americane) e dei borghi e i governatori delle gmina (le unità più piccole della divisione amministrativa) nelle aree rurali. Oltre ciò, venivano aggiunti dei controlli sotto forma di organi speciali (una specie di difensore civico o organo supremo di revisione), più la valvola principale: la Corte Costituzionale.

Le riforme neoliberali comportarono un inasprimento della diseguaglianza sociale, della povertà, delle cattive condizioni lavorative e un senso vacillante di stabilità e di vita dignitosa, mentre la decentralizzazione delle Stato contribuì all’istituzionalizzazione del concetto liberale di non interferenza nelle politiche pubbliche da parte delle istituzioni statali, da cui derivò l’impotenza dello Stato di sostenere la legge e garantire l’ordine sociale. L’adesione della Polonia all’Unione Europea nel 2004 ha fatto in modo che l’azione politica passasse definitivamente a strutture transnazionali, lasciando al governo polacco il ruolo di mediatore tra diversi gruppi d’interesse e di moderatore di dinamiche sociali, che interviene occasionalmente quando le cose sfuggono di mano. Questo è il modo in cui si è sviluppata l’ideologia dell’ “hot tap water” (nel senso di buona “ordinaria amministrazione”), attuata con successo da Donald Tusk – presidente in carica del Consiglio Europeo – e la sua moderata piattaforma civica per gli otto anni del suo mandato (2007-2015).

L’approfondimento dell’ineguaglianza sociale, insieme all’astensione dello Stato dalle sue responsabilità, ha creato un terreno fertile per il nazionalismo polacco: un senso perduto di dignità e legittimazione, una reazione alla povertà, a una trasformazione culturale che buona parte della società trova difficoltà a seguire e una crisi d’identità che non può essere sanata neanche dalla Chiesa nonostante la sua posizione indiscussa. La destra ha gestito e organizzato per anni queste emozioni, grazie alle quali ha guadagnato sostegno e si è rafforzata. La vittoria del PiS è il contraccolpo conservativo alla trasformazione neoliberale.

Maledizione, te ne sei andato, dove sei?

La spietatezza di questo trionfo ha a che fare con un altro fenomeno storico: l’assenza in Polonia – proprio come negli altri stati dell’ex blocco sovietico – di una sinistra forte. Per tutto questo periodo di trasformazione, la scena politica polacca fu dominata da uno schieramento post-comunista, che si sfasciò soltanto in conseguenza delle elezioni del 2015, fondato sul vecchio sistema del Partito polacco unito dei lavoratori (Polska Zjednoczona Partia Robotnicza).

La delegittimazione delle idee di sinistra, dovuta alle patologie autoritarie del comunismo, resero difficile dopo il 1989 la ricostituzione della sinistra in quanto movimento sociale. Negli anni ’90 assistemmo allo sviluppo dei movimenti femminista, ecologista e anarchico, ma fu solo nel decennio successivo che la Sinistra poté affermarsi con la comparsa di organizzazioni LGBT, nuovi sindacati, il partito dei Verdi, circoli come Krytyka Polityczna che crearono un nuovo modello di pensiero di sinistra, di pratiche sociali e di universo di valori. Alla fine i movimenti militanti urbani e i partiti politici della sinistra non comunista come Razem, che alle ultime elezioni ha goduto di qualche attenzione pubblica, hanno fatto sì che la Sinistra iniziasse a diventare più visibile, più riconoscibile e un attore sempre più forte del palcoscenico politico. Ma occorreranno anni prima che la Sinistra possa diventare un punto di riferimento culturale, sociale e, in ultimo ma non meno importante, politico – a meno che non venga soppressa dall’autoritarismo nazionale. È ovvio che la combinazione tra la lunga occupazione della Sinistra, realizzata dai post-comunisti, e le influenze storiche abbiano reso la sinistra incapace di arrestare la marcia trionfale dello schieramento nazionale.

Il risveglio

L’assalto del PiS alle istituzioni democratiche ha suscitato la risposta immediata della società civile, di cui la manifestazione più spettacolare è stato il movimento sociale raggruppato attorno al Comitato di Difesa della Democrazia (Komitet Obrony Demokracji, KOD). Il Comitato fu fondato nel novembre 2015, su iniziativa degli attivisti impegnati in questioni civiche. Dal 3 dicembre, il KOD ha organizzato dei picchetti per protestare contro le decisioni successive prese dal parlamento. Una delle più cruciali fu il tentativo del PiS di prendere il controllo della Corte Costituzionale. Il 12 dicembre, a detta degli organizzatori, durante una manifestazione in difesa della Corte di Varsavia, erano presenti circa 50.000 partecipanti. La settimana successiva, si sono svolte migliaia di grandi manifestazioni in 23 città della Polonia. Il 9 gennaio 2016, la gente è scesa in 20 piazze diverse in difesa dell’informazione pubblica.

Le manifestazioni organizzate dal Comitato uniscono attivisti, leader dell’opposizione parlamentare, ONG progressiste, giornalisti tradizionali e indipendenti e migliaia di cittadini che tutti insieme costituiscono la forza unificata della “più grande opposizione” alle autorità. Le manifestazioni sono appoggiate anche dai leader storici di Solidarność, incluso Lech Wałęsa. Contemporaneamente, l’opposizione al PiS è manifestata anche da altri circoli, ad esempio dal partito Razem, mentre i centri dell’opinione pubblica (compresi i media privati e indipendenti) hanno assunto una posizione rigida, chiaramente critica nei confronti dell’appropriazione indebita della Polonia da parte del PiS. L’opposizione raccoglie adesioni ogni giorno, così come fa il senso di solidarietà e legittimazione nell’ambito complesso del diritto nazionale.

Cosa facciamo ora?

La Polonia sta attraversando un momento storico. L’atto di appropriazione indebita dello Stato da parte della destra nazionalista, al quale stiamo reagendo, non ha precedenti fin dall’era comunista, ma ugualmente inedita è la reazione sociale, che mostra la resistenza alle azioni del governo e al partito al potere. Sicuramente si deve fare il possibile per alimentare l’impegno civile e contribuire a mobilitare le masse contro le autorità ogni volta che si verifica un’azione di delegittimazione democratica. Allo stesso tempo dobbiamo fare un passo ulteriore. La Polonia, dopo la caduta del PiS – qualora riuscissimo a rovesciarlo e a difendere quel che è rimasto dell’ordine costituzionale – non potrà rimanere a lungo il paese che è stato negli ultimi 25 anni. Il passo successivo consiste pertanto in un duro lavoro teso a sviluppare la visione di una Polonia che tenga a freno l’impulso neoliberale in favore della giustizia sociale, del superamento dell’ineguaglianza, di uno sviluppo armonioso e sostenibile e della difesa della libertà individuale così come della diversità delle identità collettive. Senza meno, raggiungere questi obbiettivi è un passo cruciale anche sul fronte della solidarietà internazionale, così come per la cooperazione dei movimenti e delle organizzazioni sociali per la democrazia in Polonia e nell’intera regione centroeuropea. Pertanto siamo coinvolti in un lavoro difficile, oneroso e gratificante.

Igor Stokfiszewski: (1979) è un critico letterario e teatrale, specializzato in arte politicamente impegnata. Dal 2006 è diventato membro del movimento polacco di sinistra Krytyka Polityczna, a cui partecipa come attivista, editore e giornalista. Nel 2012 è stato membro del team di supervisione della settima Biennale di Berlino. È autore del libro Zwot Politiczny (La svolta politica, 2009).

Fonte: politicalcritique

Traduzione di Daniela Galié per DINAMOpress