La città di Pisa, i migranti e la vuota solidarietà del palazzo

Mentre in tv scorrono le immagini di Lampedusa, il Comune stacca acqua e luce ai rifugiati di via Pietrasantina.

Sono ancora davanti ai nostri occhi le immagini e le voci del naufragio a Lampedusa, i cadaveri di adulti e bambini allineati sul molo, e il racconto dei sopravvissuti. È una tragedia senza precedenti, che chiama in causa la “fortezza Europa”, le politiche e leggi nefaste in materia di immigrazione e asilo. Proprio mentre le televisioni e i social network diffondevano le drammatiche sequenze del naufragio, a Pisa veniva staccata la luce e l’acqua al Centro di Accoglienza di Via Pietrasantina, situato a pochi metri dalla Torre pendente, ma lontano abbastanza da non essere visto e riconosciuto. La discriminazione possiamo notarla a prima vista nella segregazione spaziale dal contesto urbano circostante.

Com’è noto, Pisa ospita da due anni un gruppo di migranti fuggiti dalla guerra di Libia, ragazzi ventenni che giunsero a Lampedusa a bordo di imbarcazioni non molto diverse da quelle naufragate. Persone che hanno rischiato la vita per arrivare in Italia, e che in qualche caso hanno visto morire i propri compagni di viaggio. Le testimonianze sono state documentate da un lungometraggio del quale potete vedere il trailer:

Inizialmente il centro era affidato alla Croce Rossa, ma dal 28 febbraio di quest’anno (ovvero con la chiusura della cosiddetta “emergenza Nord Africa”) è stato occupato in attesa di sistemazioni migliori, ed era attualmente autogestito dagli stessi migranti che vi abitano. Ma per comprendere la situazione riepiloghiamo brevemente le vicende che hanno attraversato il centro di accoglienza e la vita dei ragazzi scappati dalla guerra di Libia. Dal marzo 2011 al 28 febbraio 2013 la situazione di emergenza si prolunga all’infinito, in questi due anni i migranti rimangono nei container costruiti in fretta accanto ad un deposito di vecchia ferraglia su una superficie comunale abbandonata all’incuria. Il centro viene così dato in gestione alla Croce Rossa, la quale offre solamente i pasti, raramente vengono somministrate visite o cure, infatti è l’attivismo dell’associazione Africa Insieme e di tutto il Progetto Rebeldia a denunciare la situazione di abbandono umano in cui versano i ragazzi. Pare anche che la Croce Rossa non dia la cifra completa del pocket-money ai ragazzi, trattenendo una parte del denaro con alcune giustificazioni poco chiare. Purtroppo però spesso ci si è scontrati con un muro di gomma, denunciando fatti che, parafrasando Pasolini, conoscevamo ma di cui non avevamo le prove.

Del manuale Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), ovvero il testo a cui dovrebbero fare riferimento gli enti gestori di questi campi, non vi è mai stata applicazione. A Pisa la Croce Rossa ha speso 600 mila euro per allestire dei container roventi d’estate e gelidi d’inverno, ai margini di un fosso maleodorante, nessun intervento è stato fatto per l’avviamento al lavoro e per il reperimento di un alloggio. I ragazzi infatti hanno incontrato in modo autonomo le associazioni antirazziste del Progetto Rebeldìa, come la scuola di italiano o lo sportello di tutela legale, le quali hanno prestato i primi soccorsi e si sono poste come mediatrici a fronte dello sfratto che pendeva su di loro dal 28 febbraio. Dopo due anni, i profughi sono abbandonati a sé stessi: viene infatti chiesto loro di lasciare la struttura con 500 euro di buonauscita, senza garanzie per il futuro. Per questo, i migranti decidono di rimanere nel centro, la loro permanenza è una scelta obbligata, dettata dal fatto che l’unica alternativa è la strada.

La mediazione della rete antirazzista del Progetto Rebeldia con le controparti istituzionali, Comune e Croce Rossa, ottiene una moratoria sullo sgombero e l’attivazione di tirocini di lavoro part-time che permettono ai ragazzi di sopravvivere ed imparare un mestiere. Il mese scorso si è appresa anche la notizia che questi tirocini erano tutti riconfermati per altri sei mesi ma, con una sincronia decisamente di cattivo gusto, proprio nel giorno del naufragio di Lampedusa si è pensato di tagliare la fornitura dell’acqua e dell’energia elettrica ai ragazzi migranti del centro di Via Pietrasantina: non hanno più la luce, non possono utilizzare la cucina (gli unici fornelli disponibili erano quelli elettrici), e quando arriverà il freddo non potranno scaldarsi.

La Croce Rossa ha dichiarato che non intende più sostenere le spese delle bollette, eppure i migranti si erano detti disponibili a pagare le utenze, attingendo ai magri proventi del loro lavoro. Era proprio necessario tagliare da un giorno all’altro la fornitura e lasciare i profughi al freddo? Non si poteva prendere accordi sul pagamento delle bollette? Gli ospiti di Via Pietrasantina, transitati da Lampedusa e costretti a vivere in container ai margini della città, devono oggi subire anche questa umiliazione? Un’organizzazione come la Croce Rossa, che sul petto di ogni suo volontario ha stampato il simbolo della Convenzione di Ginevra, all’improvviso e con arroganza inaudita si lava le mani della sorte di questi profughi. La speranza di un’assunzione di responsabilità anche da parte dell’amministrazione comunale è quasi nulla, del resto il sindaco Filippeschi qualche anno fa subì la condanna del Consiglio d’Europa per i continui sgomberi dei campi della comunità rom. La categoria di “accoglienza” sembra non appartenergli.

Anziché la vuota solidarietà dei palazzi per le morti di Lampedusa, un gesto concreto, a Pisa, sarebbe il ripristino immediato delle utenze e l’apertura di un tavolo di lavoro per individuare soluzioni abitative degne per il piccolo gruppo di rifugiati. Non chiedono nessuna elemosina, nessuna carità, ma diritti e dignità per delle vite già distrutte abbastanza. Purtroppo dobbiamo constatare che l’uso strumentale dell’immigrazione non fa guadagnare consenso solo alla destra, ma anche al centrosinistra di quella che fu la “rossa” Toscana.