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Israele, lo sciopero dei richiedenti asilo africani è a oltranza

I migranti in lotta sono determinati a proseguire la mobilitazione fino a quando il governo non accetterà le loro rivendicazioni, mettendo fine alle leggi autoritarie e razziste a cui sono sottoposti rifugiati e richiedenti asilo in Israele.
Leggi l’appello alla mobilitazione e al sostegno internazionale (trad. italiana di DINAMOpress)

Continua la lotta dei richiedenti asilo africani di Israele, determinati a proseguire fino a quando il governo non accetterà le loro rivendicazioni. Intanto varie associazioni israeliane dei lavoratori, come quella degli albergatori e della ristorazione, si sono schierate a fianco degli scioperanti.

Dopo le mobilitazioni di massa dell’altro ieri, con il corteo dei 30000 confluito in una Rabin square stracolma, e di ieri, davanti agli edifici delle principali istituzioni internazionali e delle ambasciate americana e di i molti Paesi europei, la giornata di oggi è stata segnata da una grande assemblea e poi da una conferenza stampa.

I manifestanti si sono riuniti a Levinsky Park, piazza simbolo della protesta, per discutere su come proseguire la mobilitazione. Numerose forze di polizia, con cavalli e tank pieni di skunk water presidiavano la piazza. Durante l’assemblea, che durerà tutto il giorno, e’ stata annunciata una nuova marcia verso Gerusalemme. Moltissimi sono stati gli interventi dei richiedenti asilo e di solidarietà, tra cui quello molto sentito di Reuven Abergel, che negli anni 70 militava tra le pantere nere israeliane: “Voi siete rifugiati, se andrete in prigione, io vi raggiungerò”

La conferenza stampa, ospitata in uno spazio della comunità eritrea, non conteneva tutti i media presenti. Mulugeta, richiedente asilo eritreo, ha ricordato come siano state le politiche israeliane di arresti di massa e di durata indefinita ad averli costretti ad una decisione tanto difficile e gravosa come lo sciopero ad oltranza. I loro lavori erano gia’ duri e mal pagati, la loro comunità gia’ povera, ma hanno sentito di non avere scelta. Chiede che il governo la smetta di mentire alla popolazione e di istigare odio e paura verso di loro. Chiede che gli sia data una possibilita’, almeno fino a quando non sara’ possibile per lui tornare a casa in sicurezza.

Zemhret, anch’egli eritreo e da 6 anni in Israele, chiede che il governo cessi gli arresti di massa e liberi i fratelli nelle prigioni in mezzo al deserto. Ricorda come in queste prigioni siano in 130 a condurre uno sciopero della fame e come questi non abbiano accesso all’assistenza medica. Moussa viene dalla Repubblica Centraficana ed e’ in Israele da anni. Spiega perche’ ora si rivolgono alla comunita’ internazionale: il governo israeliano continua, infatti, a sostenere di garantire I diritti umani, continua a dire che in Holot hanno cibo e acqua, “ma che cosa ne e’ della liberta’ e della giustizia. Cosa ne e’ del nostro futuro?” L’appello alle NU e alla sua agenzia per I rifugiati e’ forte, chiede che non restino ancora a guardare mentre il governo di Israele continua ad umiliarli, “we have no time to wait”.

Sumaya viene dal Darfour. Secondo lei “la lotta e’ stata la migliore scelta possibile. Abbiamo anche mostrato di essere una comunità che rispetta la legge”. E’ stato nel momento in cui hanno visto i propri fratelli marciare dalle prigioni nel deserto verso Gerusalemme che hanno capito che il momento di agire era giunto. “Non abbiamo leader, tutti insieme abbiamo deciso di muoverci…Sappiamo di non essere soli, in tutto il mondo ci stanno supportando. Noi non chiediamo molto, solo che Israele rispetti I trattati internazionali che ha firmato, che venga a controllare se siamo rifugiati, o no, che guardi cosa sta succedendo in Sudan ed in Eritrea. Israele e’stato tra i primi a firmare la Convenzione sui rifugiati negli anni 50. Se non vogliono rispettarla, che rimuovano la firma dal trattato.”

Alla domanda se hanno guardato alla storia del genocidio degli ebrei prima di venire qui rispondono: “Si, certamente, ma quello che abbiamo trovato non ha nulla a che fare con l’ebraismo, questo governo non ha nulla a che fare con l’ebraismo”.

Dal canto suo, il governo non sembra disposto a cedere su nessun punto. Il primo ministro ha ribadito la linea dell’esecutivo, secondo cui i manifestanti non sono rifugiati (nonostante la maggior parte provenga da Paesi sconvolti da conflitti interni, come l’Eritrea, il Sud Sudan e il Darfour) ma “infiltrati africani”, cioè migranti economici in cerca di lavoro che non hanno diritto a vivere in Israele. Oltre a respingere le richieste dei manifestanti, il governo ha anche deciso di infischiarsene delle decisioni dell’Alta Corte di Giustizia, che ha recentemente condannato le misure legislative che riguardano le forme, i tempi e le procedure di detenzione, dichiarandole contrarie al diritto alla libertà individuale e alle leggi fondamentali dello Stato di Israele.

Il governo è estremamente preoccupato ed è intenzionato a tenere il pugno di ferro perché il significato della lotta dei richiedenti asilo africani va oltre le richieste di riconoscimento della protezione internazionale e di garanzia dei diritti, ma riguarda lo stesso futuro di Israele, in bilico tra opposte possibilità. Quella di uno Stato multiculturale in cui anche i non ebrei possano godere di diritti e libertà, o quella di uno stato monolitico dal punto di vista religioso e razziale, determinato a inseguire la propria sicurezza interna attraverso il genocidio dei palestinesi e la deportazione di tutti i migranti africani.

Per il 22 gennaio, i richiedenti asilo hanno lanciato un appello alla mobilitazione internazionale a sostegno della loro lotta, invitando a manifestare davanti alle ambasciate e ai consolati israeliani per aumentare la pressione sul governo di Netanyahu

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