ROMA

Invito alle associazioni minacciate di sgombero

Una pioggia di lettere sta cadendo su associazioni e spazi sociali della città di Roma: lettere, come sappiamo bene, che dispongono lo sgombero di realtà che, a vario titolo e con differenti modalità, costruiscono ogni giorno la città solidale e mutualistica.

Ciò che si sta prospettando – nella cornice impropria e mortificante di Affittopoli – è la cancellazione di un’enorme ricchezza sociale della città, e delle garanzie di esistenza stessa di questa ricchezza che nel tempo erano riuscite a darsi. Il riferimento è alla delibera 26/1996 e al suo brutale surclassamento attraverso l’approvazione (da parte della giunta Nieri-Marino) e l’ottusa applicazione (da parte del commissario Tronca) delle delibere 219 e 140 del 2015. In base a queste delibere, il patrimonio comunale, anche quello dato in concessione per attività di utilità sociale, deve essere riacquisito e messo a bando. La logica risponde a due criteri fondamentali: la redditività, da una parte, che impone la valorizzazione economica e finanziaria dei beni immobiliari del Comune di Roma; la trasparenza, malgrado Mafia Capitale abbia potuto svilupparsi proprio sul sistema del bando di evidenza pubblica, definito dai magistrati criminogeno.

Oltre il danno la beffa, dopo decenni di incuria e inadempienze da parte dell’amminitrazione, alle associazioni e agli spazi sociali vengono ricalcolati gli affitti dovuti non più in base a quanto definito nella delibera 26, cioè l’abbattimento dell’80% del canone di mercato per chi svolge attività di utilità sociale, ma al 100%. È evidente e innegabile il carattere vessatorio e ricattatorio di tale richiesta.

Il dato più inquietante è che l’azzeramento delle garanzie conquistate dalle esperienze di autogestione e dall’associazionismo a Roma sia stato perseguito, e con eccesso di zelo, nella parentesi del commissariamento, in un momento quindi di vacanza della politica, tanto più grave se si considera il ruolo della Corte dei Conti nel preordinare e disporre, ben aldilà delle proprie competenze, sgomberi, sfratti e “recupero crediti”.

A tale attacco si è data una risposta plurale e forte con la campagna Roma non si vende! – Decide Roma. Da una parte, la grande mobilitazione del 19 marzo ha portato in piazza più di 20.000 persone per difendere questo patrimonio comune della città, si è rilanciato con le assemblee popolari, che si sono moltiplicate in diversi quartieri della città lo scorso 9 aprile, per aprire uno spazio costituente e programmatico sulla città. Dall’altra, occupando le impalcature della Basilica di Massenzio lo scorso 13 aprile, si è agito puntualmente sulla questione sgomberi ribaltando una situazione di blocco dell’interlocuzione, visibilizzando un conflitto di poteri, emerso chiaramente sulle pagine dei giornali, tra Commissari e Prefettura e costringendo i candidati sindaco ad una presa di parola sulla questione.

Tra un sistema politico corrotto e clientelare e un governo tecnico di commissari e prefetti, come nel più classico “guardia e ladri” all’italiana, individuiamo la necessità di uno spazio altro, alternativo.

Una terza via che parla di democrazia dal basso, della possibilità di scegliere insieme, cittadini e cittadine, sulla gestione del patrimonio comune, sulla sua destinazione d’uso. Una terza via che parla di investimenti pubblici per servizi di qualità, di beni comuni, e che dunque rifiuta la logica di un debito illegittimo frutto di speculazioni finanziarie e del pareggio di bilancio.

Bene, questa terza va costruita a partire da un confronto pubblico, dal basso, capillare, aperto ai territori e a chi vive e abita la città, a chi costruisce ogni giorno welfare e solidarietà. Ma non parte d zero: le esperienze delle delibere sugli usi civici del Comune di Napoli e il regolamento sui beni omuni del del Comune di Chieri in Piemonte, ci parlano di un’altra strada percorribile in cui è riconosciuto il valore dell’uso oltre la proprietà, in cui si immaginano nuove forme di tutela e cogestione dei servizi e dei beni comuni tra amministrazione e le soggettività autonome interessate a prendersene cura.

Adesso la contesa si sposta, dunque, dal piano della resistenza al piano della proposta. Nei due mesi – decisivi – che ci separano dalle elezioni, infatti, la sfida è quella di elaborare una proposta normativa dal basso, che contenga nuovi principi e nuovi criteri per la gestione del patrimonio immobiliare di questa città. Una proposta che tenga al centro la garanzia dei beni comuni urbani per le generazioni presenti e per quelle future; che fondi sull’uso, e non sulla proprietà, il diritto alle scelte di gestione del patrimonio pubblico; che si basi sul riconoscimento delle comunità informali che si prendono cura del territorio, a partire dalla loro autonomia ossia, etimologicamente, dalla loro capacità di “darsi le regole da sé”. Una proposta in grado di riformulare il concetto stesso di servizio, aldilà del pubblico, interpretando in modo avanzato e estensivo il principio costituzionale di sussidiarietà.

Una proposta che sappia essere effettivamente utile per tutte le associazioni, le realtà, le onlus, i corpi intermedi, i gruppi che sono colpiti dall’efferato e scriteriato “piano di riordino” messo in atto dai grigi funzionari dell’amministrazione capitolina, su mandato di Marino prima e di Tronca poi.

Una proposta, ancora, che attraverso un confronto schietto e diretto sia in grado di vincolare i candidati sindaco alle scelte future sulla gestione del patrimonio pubblico.

Una proposta che non consenta all’attuale amministrazione commissariale di diventare “costituente”, nel senso di assumere decisioni che vadano oltre gli stretti margini di scelta e di azione entro i quali dovrebbe muoversi chi – senza essere stato eletto né legittimato – si appresta a concludere in brevissimo tempo il proprio mandato, perché le soluzioni che i Commissari possono proporre non possono che essere transitorie.

Ma per creare un’alternativa forte c’è bisogno di creare unità e condivisione. A partire dai punti già proposti sulla piattaforma www.decideroma.com nella sezione “Carta”, convochiamo allora per sabato 23 aprile alle ore 16.00 in Piazza dell’Immacolata a San Lorenzo una grande assemblea pubblica, che scriva effettivamente la Carta di Roma Comune.