EUROPA

Il ritorno della Willkommenskultur in Germania?

Il governo tedesco ha deciso di accogliere i profughi siriani. Ma cosa si cela dietro la decisione del governo Merkel? Dalla riunificazione a oggi ragioni e politiche dell’accoglienza in Germania

Non c’è alcun dubbio il governo Merkel ha sorpreso tutti. La rottura manifesta del regolamento di Dublino è stata una mossa certamente inattesa, ma non si può considerare un inedito assoluto. Le scelte adottate dalla Germania nelle scorse settimana possono collocarsi all’interno di un linea politica molto forte nella vecchia repubblica federale, la cosiddetta Willkommenskultur, ovvero la cultura dell’accoglienza verso i richiedenti asilo sancita dall’articolo 16 della legge fondamentale e che ne ha fatto uno dei paesi più generosi verso i rifugiati. Dunque, per capire il fenomeno di oggi nella sua interezza, occorre risalire al passato, rintracciare le analogie tra l’attualità dei siriani che premono ai confini e i precedenti dei trasferimenti degli sfollati e dei rifugiati verso i länder occidentali. In due precise epoche si è manifestato un afflusso simile di profughi, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale e successivamente nelle fasi a cavallo della riunificazione. L’accoglienza per la Germania dell’ovest voleva dire principalmente tre cose, primo il rispetto dei diritti universali dell’uomo dopo la catastrofe del nazismo, secondo una politica estera antisovietica che puntava ad attrarre con leggi generose chi abbandonava i paesi dell’est e infine una strategia economica per reclutare manodopera altamente qualificata a costi bassi. Ma procediamo con ordine.

Il miracolo economico

Fin dalla stesura, la costituzione della Germania occidentale garantiva a tutti i perseguitati politici il diritto di asilo, le leggi permettevano al rifugiato l’accesso immediato al mercato del lavoro e un’attenzione particolare per il suo inserimento sociale, in più per tutti coloro che potevano dimostrare una discendenza tedesca anche lontana era assicurata la cittadinanza per Ius Sanguinis. Questi provvedimenti furono di un’importanza significativa nei primi anni del dopoguerra, quando circa 10 milioni di tedeschi furono espulsi dalle vecchie province orientali del Reich e si diressero per lo più più verso la Germania federale, a questi si aggiunsero quasi due milioni di persone in fuga dalla DDR. Lo scopo di questi provvedimenti era sia di inserire velocemente i nuovi arrivati ma essenzialmente di indebolire la Repubblica Democratica, agli occhi del mondo governi di Bonn si volevano accreditare come i portabandiera della libertà e del rispetto dei diritti umani.

Per molti osservatori dell’epoca questo avvenimento fu decisivo anche in campo economico, segnò tra le macerie della guerra l’alba del Keynesismo, milioni di profughi e sfollati divennero immediatamente forza lavoro qualifica e disoccupata da inserire nell’industria tedesca pronta a ripartire. In una manciata di anni si passò dalla ricostruzione alla crescita sostenuta, grazie al connubio tra due fattori: nuovi lavoratori inseriti in attività corrispondenti alle loro capacità e ingenti investimenti in molti settori ad alto valore aggiunto. Questa fase si concluse definitivamente nel 1961 con la costruzione del muro, sebbene il flusso si fosse già interrotto precedentemente con la fortificazione dei confini tra i due stati. La fine delle migrazioni da est fu certificata dagli accordi per il reclutamento della manodopera stipulati con l’Italia nel 1955, il primo di una lunga serie di trattati bilaterali per fornire operai alle industrie manifatturiere renane, da allora e per molti anni il Mediterraneo divenne il nuovo orizzonte tedesco.

La riunificazione

Nei decenni successivi la costruzione del muro continuarono le richieste di trasferimento, ma decisamente inferiori rispetto ai primi anni del dopoguerra. I governi dell’Est scelsero una politica flessibile, attuando delle valvole di sfogo ogni qual volta la pressione si faceva insostenibile. La situazione però nell’89 esplose, a luglio centinaia di persone fuggirono verso le ambasciate federali a Varsavia, Praga e Budapest, il mese successivo migliaia di tedeschi dell’est affluirono in Ungheria per aprirsi un varco verso la Repubblica federale attraverso il confine con l’Austria (la stessa rotta tracciata oggi dai siriani) nelle sette settimane successive quasi 50 mila persone varcarono il confine. Nel frattempo, si raggiunse un accordo per far arrivare ad occidente le persone che si erano rifugiate nelle ambasciate, ad ottobre circa 14 mila persone furono caricati su convogli sigillati e attraversarono la DDR per l’ultima volta. Il governo della Germania orientale decise allora di chiudere i confini, ma la spinta dall’interno crebbe in maniera considerevole, in molte città come Dresda e Lipsia furono convocate manifestazioni dai cittadini che rivendicavano il diritto di lasciare il paese. A novembre il muro di Berlino fu abbattuto e le migrazioni ripresero in maniera considerevole fino a determinare il crollo definitivo della Repubblica Democratica. La Germania federale vinse la sua sfida ad est, i motivi del crollo sono molteplici e non si possono riassumere in poche righe, ma di certo la fuga di centinaia di migliaia di persone mise in ginocchio la DDR e la costrinse a capitolare.

La fine del Willkommenskultur 26 maggio 1993

In una Bonn assediata dagli autonomen si concluse l’epoca della Germania “paradiso dei rifugiati”. La modifica dell’art. 16 della costituzione mobilitò manifestanti da tutta Europa, per tutta la giornata il Bundestag venne cinto d’assedio per impedire ai parlamentari di entrare. Gli elicotteri sorvolavano ripetutamente la città per portare nelle aule i deputati rimasti bloccati dai cortei, altri giunsero con i traghetti turistici aggirando i blocchi. Nonostante la forte opposizione sociale il Parlamento a larga maggioranza approvò un principio che successivamente diventerà l’architrave dei regolamenti di Dublino: chi entrerà transitando da un paese terzo considerato sicuro sarà automaticamente espulso.

Il servizio di un TG dell’epoca sulla manifestazione (min. 5:37)

A fine serata con un epitaffio i manifestanti prediranno il triste futuro tedesco e dell’intera Europa: oggi i politici sono entrati al Bundestag come i profughi entreranno in Germania domani: per aereo e per nave, non da frontiere chiuse. Del resto molte delle ragioni dietro l’attuazione di politiche d’asilo generose erano venute meno, la fine della guerra fredda e la riunificazione resero inutili la perpetuazioni di misure di attrazione dei rifugiati da oriente in chiave anti-sovietica, negli anni ’90, inoltre, l’economia tedesca era in una fase di stagnazione, non solo si erano esaurite da decenni le misure espansive keynesiane ma affioravano i problemi economici dovuti ai costi per la riunificazione. Le politiche a favore degli esilianti diventavano esclusivamente dei costi, perdevano i connotati politici ed economici che le avevano motivate. Nei primi anni ’90, inoltre la guerra civile nell’ex Jugoslavia e l’implosione di molte nazioni della galassia sovietica, crearono di nuovo enormi flussi di richiedenti asilo che in tre anni superarono il milione, ma questa volta la Germania pose dei limiti, Schaeuble dichiarò « Il diritto di asilo resta ma non se ne potrà più abusare. Non siamo qui per restringere le libertà ma per affrontare l’emergenza. L’abuso del diritto d’asilo minaccia la nostra stabilità. È urgente arrivare ad accordi con i nostri partners CEE»

I rifugiati siriani, il ritorno della Willkommenskultur?

A distanza di 22 anni è lo stesso governo di Berlino a rimettere in discussione un principio da loro stessi ideato per fare scudo contro gli arrivi in massa di rifugiati. Così come lo aveva ideato e imposto agli altri paesi europei, se ne disfa o almeno non lo considera più adeguato al presente. Una reazione in parte dovuta alle costanti violazioni dei regolamenti da parte dei paesi di frontiera Ue come Grecia e Italia e in parte dall’irresistibile spinta di migliaia di persone ai confini tedeschi. La domanda da porsi è se anche oggi come nei primi anni del dopo guerra vi sono delle ragioni politiche ed economiche dietro questa scelta. Il tempo trascorso dalla decisione è troppo breve per assumerne delle certezze, ma alcune ipotesi possono formulate. In quests mesi la Germania vive una in crisi morale paragonabile all’epoca post nazista, certo non siamo più davanti alla catastrofe del nazismo, né tanto meno si può seguire la scorciatoia di definire l’attuale esecutivo come un erede, ma la durezza delle misure di austerity imposte alla Grecia hanno causato sconcerto in milioni di europei e nelle opinioni pubbliche è sorta la paura nei confronti di una Germania nuovamente aggressiva. L’accoglienza dei siriani allora può essere letta in parte come la necessità di far prevalere nuovamente la versione tedesca dei diritti umani e della solidarietà, il volto buono dell’egemonia tedesca. D’altro canto questa mossa può avere degli effetti nel breve termine anche in politica estera, oggi la Germania non solo accoglie ma pretende la riscrittura delle politiche d’asilo in Europa e difficilmente un paese che si è fatto carico della gran parte delle richieste d’asilo troverà resistenze alle sue decisione, del resto è prossima la costruzione degli hotspot in Italia e Grecia e l’imposizione di quote per la ripartizione dei richiedenti asilo. La crisi dei rifugiati inoltre, ha mostrato un elemento di primaria importanza, oggi il governo di Berlino è l’unico attore nello scacchiere europeo, certo l’ottica in cui guarda all’unione è quella tedesca, ma tutti gli altri paesi sono accartocciati in azioni di breve periodo impauriti dal crescente nazionalismo interno e non hanno saputo né avuto la forza di proporre alternative.

Infine il più grande quesito riguarda la strategia economica, ovvero se la decisione del governo Merkel ne prepari un nuovo indirizzo. L’assorbimento dei rifugiati nel dopoguerra avvenne grazie agli ingenti investimenti pubblici, certo si può sostenere che oggi il mercato del lavoro tedesco necessita di nuova manodopera così come negli anni ’50-’60, infatti a partire dal 2008 sono stati creati un milione di nuovi posti di lavoro in netta controtendenza con il resto dei paesi europei. Tuttavia al momento questi posti sembrano riempiti dalle migrazioni intra-europee, infatti nel solo 2013 più di un 1,3 milioni di persone si sono trasferite in Germania, dunque i nuovi arrivi potrebbero anche essere eccessivi rispetto alle richieste delle aziende. La crisi cinese e la conseguente probabile riduzione dell’export verso l’estremo oriente, potrebbe ricondurre ad un ripensamento della sua politica economica, avvero come rianimare la domanda interna senza aumentare i salari e a fronte di una riduzione demografica ormai irreversibile. La cancelliera Merkel seguirà l’esempio di Adenauer ovvero trasformerà i rifugiati in disoccupati, allora era l’alba del Keynesismo e oggi?