EUROPA

Francia, un movimento che non vuole finire

Forzature del governo, stato d’emergenza, manifestazioni, scontri interni e con la polizia, blocchi, scioperi, solidarietà: il racconto di un settimana intensa nel movimento francese.

L’11 maggio, il consiglio dei ministri dà l’autorizzazione a Manuel Valls per l’utilizzo del 49.3 sulla Loi Travail, cioè per l’approvazione della stessa legge senza il voto parlamentare. Il rischio di una mozione di sfiducia “di sinistra” portata da Front de Gauche e dissidenti del PS (la mozione “di destra” non è passata per molti voti) si sgonfia in poco tempo. A rispondere al tornante autoritario imposto dal governo è la piazza, le molte piazze di Francia.

Cortei imponenti attraversano Parigi e moltissime città francesi il 12, 17 e 19 maggio. Si contano sempre in centinaia di migliaia le persone in strada in tutto il paese. La repressione poliziesca alza allo stesso tempo l’asticella, ogni corteo si chiude con le forze dell’ordine che cercano di impedire una parte del percorso autorizzato, con accerchiamenti, gas lacrimogeni e uso sconsiderato delle flashball. In più, una ventina di militanti in tutto il paese ricevono un divieto esplicito di partecipare alle manifestazioni: l’atto è permesso dalla legislazione dello stato d’emergenza ed è insindacabile.

L’intenzione del governo non è soltanto di imporre una nuova legge di austerità e impoverimento, ma anche di chiudere gli spazi di agibilità politica e democratica, di imporre lo stato d’emergenza (rinnovato per altri due mesi in vista dell’europeo di calcio) come paradigma di gestione della vita politica. Il ritornello dei casseurs da fermare ad ogni costo diventa sempre più insistente sui media, insieme all’invito ai servizi d’ordine sindacali a “inquadrare le manifestazioni”. Come ultima provocazione, il 18 maggio il comune di Parigi autorizza un presidio contro “l’odio anti-sbirri” su Place de la Republique e vieta la stessa piazza ai familiari delle vittime della violenza poliziesca, tra gli organizzatori del primo presidio anche il sindacato di estrema destra “Alliance Populaire”.

È la componente giovanile, precaria, non sindacalizzata che risponde con più prontezza sul tema della democrazia e del diritto all’agibilità. Dapprima rivendicando spazi e pratiche di lotta radicali: le manifestazioni non autorizzate, le occupazioni, l’attacco diretto a banche e mezzi della polizia. Quindi manifestando apertamente contro le violenze della polizia e la svolta autoritaria. Il 14 maggio a Rennes una manifestazione non autorizzata riesce comunque a bloccare il centro-città per tre ore, ad aprirla c’è lo striscione “né polizia, né 49.3”. Il 18 maggio a Parigi un presidio partecipatissimo prima contende la Place de la Republique ai poliziotti, poi parte per un’altra manif sauvage: più di mille persone bloccano il nord della città ed offuscano persino la notizia che sulla piazza è arrivata Marion Le Pen (sorella di Marine, anche lei nelle fila del Front National).

Nei due giorni successivi sui media francesi circolano ossessivamente le immagini di una macchina della polizia bruciata durante la manifestazione: il tentativo è quello di spaventare e dividere il movimento tra buoni e cattivi manifestanti, ma è lo stesso giornale Liberation a dover ammettere che il movimento è unito e la diffidenza verso le divise blu è ormai un tratto comune di chi scende in piazza.

La chiusura degli spazi d’azione non riesce nemmeno all’interno dei cortei. Dopo due settimane di alta tensione tra i servizi d’ordine sindacali e le componenti autonome dentro le manifestazioni, sono i primi a cedere: il corteo del 19 maggio è aperto da uno spezzone senza bandiere né delimitazioni in cui confluiscono almeno 5000 persone, uno spezzone che resiste unito quando la polizia cerca con cariche violentissime e gas di impedirne l’arrivo a Place d’Italie. Un segno di forza ed unità tra nuovo precariato e lavoro classico in via di precarizzazione, tanto più importante in questa fase mentre si avvicina la discussione in Senato della legge e scioperi e blocchi unitari potrebbero effettivamente fare la differenza.

I primi blocchi sono già avvenuti tra il 17 e il 19 maggio. Sul piede di guerra negli scorsi giorni abbiamo visto diverse categorie di lavoratori. Gli autotrasportatori e i portuali hanno bloccato alcune importanti autostrade e impedito lo stoccaggio e il trasporto delle merci in diversi porti tra cui quello di Le Havre, secondo in Francia per volume di traffico annuale, e quello di Nantes.

Gli Cheminots (i lavoratori delle ferrovie) hanno chiamato allo sciopero 2 giorni a settimana fino alla fine degli europei di calcio. I lavoratori delle raffinerie di petrolio, infine, sono entrati in mobilitazione in diverse zone del paese. Le azioni di blocco in questo ultimo caso si sono concentrate soprattutto sui depositi di carburante e sulle raffinerie stesse. In Francia se ne contano 8 proprietarie dei gruppi Total, Esso (ExxonMobil) e PetroInesose, 3 di queste (Gonfreville-l’Orcher, Port Jèrôme-Gravenchon e Donges) sono state completamente bloccate da lunedì a mercoledì. Molte delle prefetture del “Grand-Ouest” e del Nord del paese (le zone più colpite) hanno disposto misure di razionamento del carburante. Lo scenario ricorda quello che nel 2010 durante il movimento contro la riforma delle pensioni, in cui le azioni di questi lavoratori avevano determinato l’inizio di una delle fasi più intense di tutta la mobilitazione. Quello che accadrà nei prossimi giorni dipenderà molto dalla capacità che avrà il movimento di moltiplicare le occasioni di sciopero e di blocco, di difenderle dalla repressione e di praticare concretamente una “convergenza delle lotte” fatta di solidarietà e appoggio materiale.