ROMA

Di nuovo in piedi

Considerazioni a caldo sulle elezioni romane.

La sfida era difficile, forse troppo, e non è bastata la generosità di tante e tanti: Sandro Medici e la sua coalizione non hanno superato lo sbarramento del 3%, nessun consigliere comunale eletto. Un risultato deludente, ma senza esagerare. Poche, pochissime risorse economiche (14.000 euro in tutto); poco tempo; visibilità mediatica nulla; una città difficile e sconfortata dove l’unica grande vincitrice è stata l’astensione, in particolare quella dei giovanissimi. Anche i più ottimisti, infatti, limitavano la speranza ad un risultato di poco superiore al 3%.

Ne è valsa la pena? Nonostante la sconfitta, penso di sì. Spiego meglio.

La candidatura a sindaco di Sandro Medici è nata da un’esigenza precisa: definire un campo politico-elettorale alternativo al Patto di stabilità e, di conseguenza, al centro-sinistra. Esistono sinistre europeiste ma ostili al Fiscal Compact in Grecia e in Francia, in Germania e in Spagna. Non in Italia. In Italia c’è SEL che insiste, nonostante il governissimo, nell’alleanza con il PD, e a Roma lo fa raccogliendo buoni frutti (mentre il PD perde quasi 300 mila voti). Poi c’è il M5S che, nonostante il tonfo alle amministrative, rimane la forza politica anti-austerity più significativa. Complicazioni: robustamente alleata con il PD, SEL procede verso l’ingresso nella scena dei Socialisti europei, oggi Progressisti, di Gabriel e Hollande; il M5S, invece, insieme al Fiscal Compact butta alle ortiche anche l’Europa e, ossessionato dalla trasparenza e dal merito, propone un programma più sintonico con le imprese che con i precari.

La sconfitta è indubbia, ma il problema, a mio avviso, rimane intatto. Irrisolto, perché una novità romana avrebbe aiutato, ma tant’è.

Lo sforzo di Sandro Medici e di chi lo ha sostenuto, che a Roma non ha dato i frutti sperati, è risultato però vincente a Pisa e a Siena, dove non c’era Alemanno da battere e dove la prossimità facilita progetti elettorali inesistenti nella scena mediatica. Dunque è sbagliato affermare semplicemente che lo spazio politico non c’è, è più corretto dire che a Roma continuano a mancare le condizioni affinché un progetto elettorale anomalo e irriverente, nonostante una campagna elettorale vivace e coraggiosa, possa affermarsi. Troppo frammentati movimenti e reti civiche; troppo solido il rapporto tra amministrazione ed economia (dal pubblico impiego al terzo settore, dall’edilizia alle istituzioni culturali); troppo grande e complicata la città.

Il blocco capitolino suggerirebbe due strade alternative: l’astensione; la convergenza, da alcuni praticata (penso ad Andrea Alzetta, per gli amici Tarzan), con SEL. Obietto all’astensione la necessità di pensare la trasformazione radicale a partire da un ibridazione inedita tra conflitti sociali e smottamenti politico-elettorali. La convergenza con SEL, invece, rischia di essere fruttuosa sul piano elettorale e locale, ma a dir poco problematica sul terreno nazionale ed europeo. Cosa significa scegliere il campo di Hollande e di Schultz quando questo campo è del tutto compatibile con la Costituente neoliberale che sta distruggendo letteralmente una generazione e impoverendo la società intera?

Non ho risposte e il risultato di Medici non mi aiuta a rispondere, ma pongo il problema, perché non mi sembra una questione privata. E concludo dicendo che sarebbe buona cosa che il principio repubblicano trovi a Roma nuovo radicamento territoriale, così come è accaduto a San Lorenzo, con la Libera Repubblica. Magari i tempi lunghi, con molta perseveranza, possono fare la differenza.