PRECARIETÀ

Contro la Buona Università: noi non siamo capitale umano!

Appello dei ricercatori verso la convention del Pd il 23 e 24 ottobre a Udine per preparare la nuova riforma dell’università. L’appello dei precari della ricerca alla mobilitazione contro le politiche del governo Renzi

Il 23 e 24 ottobre, Udine ospiterà la kermesse promossa dal Partito Democratico dal titolo “Più valore al capitale umano”. A prima vista, potrebbe trattarsi dell’affabile slogan di promozione di un convegno nazionale dei responsabili risorse umane FIAT capeggiato da Marchionne. Invece, ad una lettura più attenta, scopriamo che dietro la sgradevole e ormai sorpassata retorica del “capitale umano”, il Partito Unico di Governo ha organizzato il momento più importante per discutere e promuovere l’imminente riforma dell’università pubblica, ovvero quella che è passata alle cronache come “La Buona Università”. Con un nome del genere, e visti gli infausti esiti della famigerata riforma della “Buona Scuola”, non possiamo che metterci in allerta.

La kermesse viene anticipata da tempestive e galvanizzanti dichiarazioni del Primo Ministro Renzi all’Università di Venezia e della Ministra Giannini al Corriere la scorsa settimana, riguardanti l’imminente “cambio di rotta” che il governo porterà al carrozzone universitario.

Il primo promette lo sganciamento dell’Università pubblica dal perimetro della Pubblica Amministrazione: coraggiosa e radicale decisione, assunta da Renzi grazie ad attenti studi che avrebbero dimostrato che “non si governa l’università con gli stessi criteri con cui si fa appalto in una Asl o comune”. Ringraziandolo per l’acuta osservazione, notiamo che la notizia, ripresa da tutta la stampa tale e quale come le rimpiante veline del MINCULPOP, non ci dice nulla di più di quello che l’enfant prodige avrebbe inteso nel gorgogliare siffatta corbelleria. Come è noto a tutti tranne che a lui stesso infatti, l’università pubblica non bandisce (ancora) appalti come le Asl e i Comuni, perché trattasi (ancora) di istituzione preposta alla ricerca e alla formazione. Cosa vorrebbe dire dunque sganciare l’università dalla PA? Significherebbe forse un nuovo processo di privatizzazione? La finanziarizzazione della ricerca? Un’ulteriore precarizzazione dei ricercatori? O, come qualcuno paventò già alle prime dichiarazioni sulla buona Università prima dell’estate, l’obbligo di partita iva per tutti i precari della ricerca?

La Ministra Giannini, dal canto suo, ci rassicura sciorinando cifre da capogiro: previste 1000 assunzioni RTB ogni anno per i prossimi tre anni, con un investimento totale di 150 milioni; pronto un concorsone per 500 eccellenze italiane e straniere (50 milioni quest’anno, 75 dal 2017); infine, si fa per dire, “liberalizzazione delle assunzioni RTA”, eliminazione dei vincoli previsti dal turn over, e via alle assunzioni per tutti, senza più alibi per gli atenei! Peccato che non ci siano i soldi per farlo, nota il giornalista in un sussulto di deonotologia professionale, ma, ci convince Giannini, “tutto è sempre migliorabile, ma questo è solo l’inizio di quello che vogliamo fare nelle nostre università, stiamo dando un segnale anche per i prossimi anni: vogliamo invertire la rotta e investire nel capitale umano”.

Dopo questa raffica di dichiarazioni entusiasmanti, ci stavamo precipitando a fare le valigie per salire subito sul treno AV dell’”Italiacolsegnopiù”, che sfreccerà da Ca’ Foscari a Boston senza fermate intermedie, per correre verso un futuro “dinamico”, dove “la mobilità tra università sarà sia verticale sia orizzontale” e le stesse università di sprovincializzeranno aprendosi al mondo, mente i cervelli invece che mettersi in fuga accorreranno…

Poi, mentre a Roma decine di studentesse e studenti iscritti alla Sapienza venivano manganellati perché colpevoli di non voler pagare un biglietto d’entrata per accedere ai loro dipartimenti, dove per tre giorni si teneva un’esposizione commerciale di multinazionali come Google e Citroen, ci siamo fermati e abbiamo cominciato ad avere dei dubbi – vecchio vizietto dei ricercatori “lenti”, che si dilettano a spaccare il capello in quattro, non avendo di meglio da fare.

Di cosa parlano Renzi e Giannini quando parlano di Buona Università, di capitale umano, di cervelli in corsa? In questo treno ad alta velocità, nonostante il “segno +”, non sembrano esserci posti per tutti, e i biglietti, come quelli per gli studenti romani, sembrano costare molto cari. Il “concorsone dei 500” appare come una manovra di propaganda, rivolta solo a quelle che Giannini definisce “eccellenze” vere e proprie, “i migliori in tutto il mondo, i più qualificati, l’alta velocità del merito e dell’eccellenza”. Come abbiamo denunciato più volte, la retorica dell’eccellenza, del merito e della valutazione ad alta velocità è un dispositivo profondamente fuorviante, discriminante e punitivo, che nulla ha a che fare con la produzione di conoscenza e con i processi di cooperazione tipici del lavoro cognitivo.

L’introduzione della valutazione viene infatti proposta come unica soluzione per risolvere i mali ormai storici del sistema universitario: quali baronato, ineguaglianza, nepotismo, clientelismo, perché si presume che la produzione scientifica possa essere misurata tramite criteri oggettivi, matematici e quindi neutri. In realtà dietro a questa retorica c’è il tentativo di nascondere il processo di dismissione e svalutazione del sistema formativo italiano e di individualizzazione e precarizzazione delle molteplici figure (studenti, ricercatori, tecnici, professori) che rendono viva l’Università.

Ci chiediamo in che modo verranno definiti i criteri e le modalità di reclutamento di questi 500 “lonely heroes” della ricerca, ma sospettiamo già che si tratti di una logica escludente e differenziale, tipica del dispositivo meritocratico, e probabilmente anche incostituzionale, visto che a quanto si può dedurre dalle dichiarazioni sensazionalistiche dei Nostri, e dalla bozza della legge di stabilità, questa selezione verrà definita nei criteri da un DPCM aggirando le già contestate modalità di reclutamento previste per tutti i ricercatori “normali”, quelli che da anni si barcamenano per mantenere in vita i dipartimenti delle proprie università per poi essere espulsi inesorabilmente dal sistema universitario.

Su queste procedure, inoltre, e soprattutto sul ruolo della stessa ANVUR, radicalmente criticata da docenti e ricercatori non solo per il sistema arbitrario di valutazione messo in atto negli anni scorsi ma anche per la mastodontica spesa che rappresenta per le casse pubbliche, notiamo che la bozza della legge di stabilità prevede un ulteriore aumento di spesa per 3 milioni di euro, metà dei quali si ricaveranno dal FFO delle università e l’altra metà dal Fondo ordinario per i Centri di ricerca. Chapeau!

E dunque come si finanzierà la sbandierata liberalizzazione dei concorsi RTA? Dovremmo dunque accontentarci della risposta laconica di Giannini sulla “migliorabilità” del sistema e l’importanza del “segnale” da dare? Inutile dire, inoltre, che gli RTA sono contratti a tempo determinato che non garantiscono alcuna possibilità di continuità carriera accademica. Sarebbe questa svolta nel reclutamento accademico, la nuova figura pre-ruolo che da anni rivendichiamo per eliminare gli assegni di ricerca, strumento di ricatto e di inferiorizzazione permanente dei precari della ricerca, che non prevede alcun ammortizzatore sociale e rientra ancora nell’ambito della formazione professionale? Purtroppo non abbiamo la memoria corta – altro vizietto dei ricercatori “lenti” – , e ricordiamo bene le dichiarazioni di Renzi e Giannini sulla Buona Università, rilasciate pochi mesi fa secondo le quali la riforma dei processi di reclutamento avrebbe dovuto rifarsi al modello del “Jobs Act” e dei contratti a tutela crescente, che, con buona probabilità, si andranno ad aggiungere alle altre forme contrattuali precarie e in via di espulsione (ma di corsa!) dall’università pubblica. La sintesi, dal punto di vista del reclutamento, l’idea della neo Renzi University è quindi semplice e chiara: assumere con fini meramente di propaganda elettorale 500 “futuri Premi Nobel” per nascondere la deliberata e micidiale scelta di “puntare” tutto sul precariato, trasformando il corpo docente in un’enorme distesa di figure precarie usa e getta.

Quelle stesse figure che a questa kermesse non sono state coinvolte se non come, appunto, “capitale umano” su cui intervenire gerarchicamente, alla stregua di una merce dotata di cognizione ma alla quale non viene riconosciuta autonomia e possibilità di determinare i propri percorsi di lavoro e ricerca. Infatti, curiosamente, nel comunicato di presentazione della kermesse leggiamo che l’asse portante di tale evento sarebbe “coinvolgere pienamente i protagonisti” dell’Università e della ricerca, dell’Istruzione Tecnica Superiore e dell’Alta Formazione Artistica e Musicale. Ma allora chi sono i protagonisti di cui si parla nel comunicato? La risposta sembra surreale, ma per il Partito di Governo tali protagonisti sono: Ministri, presidenti CRUI, sottosegretari, dirigenti di partito e altre figure che, come ricercatori, abbiamo mai visto frequentare aule, corridoi e laboratori delle università e dei centri di ricerca. Esattamente i luoghi nei quali il lavoro vivo dell’università – quello precarizzato, sfruttato e sempre più reso invisibile – contribuisce quotidianamente alla sopravvivenza e alla sostenibilità di dipartimenti e centri di ricerca.

L’evento promosso dal PD, con il quale si intende aprire il dibattito sull’imminente riforma dell’Università, sembra ancora una volta omettere, disconoscere e nascondere il lavoro vivo e fondante dell’università. Quello stesso lavoro che, con buona pace di Ministri e Governo, prevede sempre più spesso attività non retribuite, disponibilità permanente all’esecuzione di un “lavoro di cura” dell’istituzione che non dovrebbe competere ai precari (come la supervisione delle tesi o il supporto alla conduzione degli esami), e altre attività assimilabili al badantato (relazioni con gli studenti, affiancamento umano al docente di riferimento, bella presenza sempre e comunque).

Alla luce di queste considerazioni, il Coordinamento Ricercatori Non Strutturati Universitari ha deciso di essere presente a Udine, perché a partire dal riconoscimento delle condizioni di sfruttamento e della sistematica invisibilizzazione dello status di ricercatori e lavoratori dell’università, rivendichiamo il nostro ruolo centrale. Vogliamo uscire dall’ombra, rifiutiamo lo status di fantasma o entità invisibile che ci viene cucito come una camicia di forza, e saremo a Udine non per sederci passivamente ad un tavolo di discussione, ma per prendere veramente parola ed essere protagonisti di una trasformazione dei mondi della formazione e della ricerca. Una trasformazione che non può che partire da noi, e non certo da ministri e segretari di partito che vedono nei dispositivi manageriali la grammatica di riforma dell’università.

Per noi l’università deve fondarsi sulla cooperazione orizzontale, e vogliamo che sia un luogo nel quale il lavoro, in quanto tale, venga riconosciuto; accanto alla possibilità di costruire liberamente percorsi di riflessione, conoscenza e ricerca senza essere subordinati alla tagliola della valutazione dall’alto, così da poter costruire conoscenze capaci di interagire anche con i conflitti e le contraddizioni che una fase di violenta crisi e austerity come questa produce sistematicamente.

*tratto da ricercatorinonstrutturati.it