EUROPA

Amburgo G20, la “polizei” voleva arrestare anche una europarlamentare italiana

Eleonora Forenza, europarlamentare GUE/NGL, racconta quello che le è accaduto dopo il corteo contro il G20 di sabato scorso. E riferisce gli ultimi aggiornamenti sulla situazione degli attivisti italiani ancora in carcere

In un tweet di sabato scorso, la polizia tedesca si è vantata di aver arrestato una europarlamentare che andava a spasso con un gruppo di presunti “black bloc“. Quella europarlamentare eri tu. Come siete stati fermati e cosa è successo?

Il corteo era appena finito, eravamo un gruppo di 15 compagni e compagne e ci stavamo allontandando per cercare qualcosa da mangiare. A un certo punto, mi sono accorta che la polizia stava fermando quelli che si trovavano più avanti. Mi sono avvicinata qualificandomi come europarlamentare e mostrando i documenti che lo certificano. La polizia ci ha detto che avevano bisogno di identificarci, perché sapevano di italiani che sarebbero arrivati in serata per compiere disordini. Io ho dato garanzie sulle persone fermate e sulla nostra situazione. Nonostante ciò, ci hanno identificato e perquisito, sia fisicamente che nei nostri effetti personali. Senza trovare nulla. Intanto, una trentina di poliziotti, insieme a quattro camionette, ci hanno circondato, comunicandoci che eravamo in arresto. Abbiamo chiesto la motivazione, ma non ci è stata fornita. A quel punto, siamo stati caricati nelle celle di due furgoni e portati davanti a una caserma. Dicevano di volerci identificare di nuovo, ma, alla fine, non ci hanno fatto scendere, tenendoci all’interno del mezzo per molto tempo. In questo frangente, ci prendevano in giro, facendo battute sui tempi del fermo. Nonostante fossi già stata perquisita, mi hanno fatto andare in bagno con la porta aperta e due poliziotte che mi guardavano. Non si sono assolutamente preoccupati del fatto che stavano arrestando un’europarlamentare. Anzi, come ricordavi, se ne sono vantati su twitter.

Dopo diverse ore ci hanno fatto scendere dalle camionette. Mi hanno detto che avevano verificato la mia carica istituzionale e che, quindi, potevo andare. A quel punto- oltre a fargli notare che già sapevano che fossi un’europarlamentare, visto che avevo esibito i documenti – ho detto che non me ne sarei andata fino a quando non fossero stati liberati anche tutti gli altri. Dopo un po’ mi hanno minacciato, dicendo che o mi allontanavo con le mie gambe o mi avrebbero portato via loro con la forza. Sono stata circondata da sette poliziotte, in maniera intimidatoria. A quel punto ho chiamato l’Ambasciata, che ha detto ai poliziotti che esistono delle prerogative parlamentari e che, vista la dinamica, la mia volontà di essere presente era legittima. Questa mia permanenza è stata vissuta molto male dagli agenti, che mi hanno provato a ostacolare in tutti i modi: non facendomi ricaricare il cellulare; impedendomi di parlare con il legal team; controllando il bagno dopo che ci andavo io, per evitare che lasciassi agli altri non si sa bene cosa; vietandomi di aggiornare i compagni. Nel frattempo, vedevo arrrivare camionette che trasportavano soprattutto italiani e spagnoli.

A un certo punto, un poliziotto mi ha detto che la detenzione preventiva sarebbe potuta durare fino a 14 giorni, secondo quanto previsto dalla legge tedesca in merito ai soggetti considerati “pericolosi”. Senza bisogno che questa pericolosità debba essere giustificata in alcun modo. Una cosa che, di per sé, ci mette fuori dalla stato di diritto. Io ho ribadito che sarei andata via solo insieme a tutte le persone fermate con me. Per questo, insieme a cinque compagni già scarcerati ci siamo accampati fuori dalla struttura detentiva in attesa degli altri. La mattina dopo, abbiamo partecipato alla manifestazione per il rilascio dei detenuti. Alle sei del pomeriggio successivo, chi era ancora dentro è stato liberato. A parte Giorgio, l’ultimo dei 15 ad uscire dal carcere alle sei del mattino successivo.

Le retate di attivisti internazionali sono iniziate sabato pomeriggio, dopo il grande corteo conlusivo. In particolare, gli attivisti italiani sono stati fermati in modi differenti: alcuni per strada, a margine delle mobilitazioni, altri aspettati sotto casa, probabilmente a seguito di controlli sui registri turistici da parte della polizia. Visto che hai seguito questi fermi, puoi darci un quadro generale di quello che è successo?

Quando siamo stati fermati noi, la prima cosa che ci hanno detto è che stavano attenzionando gli italiani, ma anche gli spagnoli. Già questo dà l’idea di una profilatura del soggetto pericoloso: italiano potenzialmente pericoloso, come musulmano potenzialmente terrorista. Sappiamo di due compagni fermati con la pistola puntata alla tempia, mentre scendevano dalla macchina per andare al corteo. Noi siamo stati presi duecento metri dopo la conclusione del corteo. Altri ancora sono stati fermati nei pressi dell’università, in una situazione in cui era in corso una vera e propria caccia agli attivisti internazionali. Penso che questo sia un punto politicamente importante da sottolineare, perché questa tattica è servita a costruire l’immaginario secondo cui lo straniero proveniente dal Sud Europa è un potenziale pericolo per l’ordine pubblico. Questo è un elemento molto grave, insieme a quello strutturale della sospensione dei diritti durante lo stato d’eccezione.

Proprio la settimana scorsa a Bruxelles, ho partecipato a un incontro per la costruzione di una “Rete europea per il diritto di dissenso in difesa delle lotte sociali” insieme al collettivo Berlin Migrant Strikers, con cui ho preso parte alle mobilitazioni contro il G20, e all’Osservatorio sulla repressione. In quell’occasione abbiamo messo a fuoco le dinamiche che stanno trasformando l’Europa da “continente dello stato di diritto” a “continente dello stato d’eccezione”. Uno spazio politico in cui gli elementi repressivi e securitari non agiscono per punire dei reati, ma per prevenire dei comportamenti potenziali, in base a degli incerti profili di pericolosità. Questo è esattamente quello che è accaduto ad Amburgo.

Al momento, alcune decine di manifestanti sono ancora in arresto. Ci sono anche sei italiani. Qual è la loro situazione?

Quasi tutti sono stati fermati nella giornata di venerdì e rimandati a giudizio. Cinque si trovano nella struttura detentiva di Belverder, il sesto da un’altra parte. Quasi tutti sono accusati di partecipazione ad atti vandalici e attacco alla sovranità dello Stato. Entro 14 giorni dal momento della convalida dell’arresto ci sarà l’udienza che stabilirà se possono attendere il processo da liberi o devono farlo in carcere. Queste sono le ultime notizie che ho ricevuto poco fa da Ambasciata e Consolato. Comunque, non lasciamo soli i compagni e non smettiamo di chiederne la liberazione immediata. Stiamo anche valutando se prendere delle iniziative nei confronti delle rappresentanze diplomatiche tedesche in Italia.

In generale, come giudichi la gestione dell’ordine pubblico da parte della polizia agli ordini di Hartmut Dudde?

A proposito di Dudde, voglio sottolineare che, al di là della ridicola rivendicazione su twitter, ogni volta che chiedevo informazioni alla polizia sul perché del nostro fermo la risposta era: «Perchè l’ha deciso Dudde, noi obbediamo soltanto agli ordini». Un classico rimpallo di responsabilità sulla catena di comando. Comunque, in generale, quello che ho visto ad Amburgo è stata una polizia completamente allo sbando, incapace di gestire la manifestazione di massa del sabato e la conflittualità diffusa nei quartieri di St. Pauli e Altona nelle giornate di giovedì e venerdì. Ho assistito a una repressione del tutto irrazionale, che alternava elementi di violenza con altri quasi comici. Oltre a chiamare una mobilitazione all’Ambasciata tedesca in Italia, ho anche intenzione di denunciare a livello parlamentare i fermi indiscriminati, il tentativo di arresto di una europarlamentare ed episodi inaccettabili come quello delle pistole puntate alla testa.

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