editoriale

Perché scendere in piazza per Roma. Perché farlo oggi

Editoriale di Decide Roma verso il corteo del 6 maggio un anno dopo «Roma non si vende».
Torna ZTL: 6 maggio Roma Non Si Vende
La città solidale non è un danno erariale

Roma Non Si Vende: il 6 maggio di nuovo in corteo

L’elezione di Virginia Raggi a Sindaca di Roma avrebbe potuto aprire una fase nuova per la nostra città. Questa la speranza di molte e molti romani: la sconftta del Partito Democratico e del centrodestra, e con essi del sistema clientelare che aveva sorretto Mafa Capitale, così come la fne dell’amaro commissariamento di Tronca, sarebbero potute essere l’occasione per rilanciare una stagione inedita per Roma, capace innanzitutto di stroncare il malaffare che da sempre la affigge, ma capace anche di promuovere un’idea nuova di città. Così non è stato, così non è. Pure al netto del penoso gioco delle nomine degli assessori in Campidoglio a cui i romani hanno dovuto assistere nei primi mesi del mandato, le scelte finora portate avanti dalla nuova Giunta hanno fnito per incanalarsi nella semplice applicazione del programma di gestione della città stilato dalle giunte precedenti e implementato dal commissario Tronca.

Posti di fronte alla necessità di dover prendere delle decisioni politiche, i fumosi e ripetuti richiami al «rispetto della legalità» e alla «quadratura dei conti», si sono ben presto tradotti nell’osservanza più ossequiosa delle intoccabili leggi dell’amministrazione, nella morale del decoro e nel buon senso dei tagli alla spesa. Ad un anno di distanza dall’insediamento, è a tutti evidente l’incapacità (se così si può chiamare) di invertire la rotta sulle decisioni politiche fondamentali, quelle ereditate dalle precedenti amministrazioni ed imposte dai governi centrali e dall’Europa dell’austerity: quelle contro le quali un governo di una città che sia davvero dalla parte dei suoi abitanti dovrebbe battersi con vigore.

Roma continua così a vivere sospesa tra la cronica insuffcienza dei servizi pubblici e il sempre più concreto rischio della loro riduzione e privatizzazione, tra la dilagante emergenza abitativa e la totale mancanza di un piano per affrontarla, tra lo sfacelo della speculazione urbanistica e l’incapacità di porre freno alla svendita del patrimonio pubblico indisponibile.

Ma è proprio la mancanza di un’analisi complessa e radicale del rapporto tra i vincoli finanziari dettati dalle politiche liberiste e i bisogni della città, il vero nocciolo della questione. Una lacuna che ha portato ad un bilancio preventivo triennale in perfetta continuità con il passato, con un taglio complessivo di spesa di oltre il 17%. Il ripensamento della fnanza pubblica è di conseguenza il perno centrale su cui definire un’idea alternativa di città: la messa in discussione del debito del Comune è la condizione per rompere i vincoli che costringono le politiche ad un’allocazione selettiva e competitiva delle risorse collettive, ad una diminuzione e degradazione dell’offerta dei servizi pubblici, alla precarizzazione sfrenata del lavoro, spalancando così le porte alla (inevitabile) privatizzazione del patrimonio e dei servizi pubblici. C’è di più: l’idea che un governo effciente si misuri sulla stabilità
dei conti e sul rispetto astratto di leggi che hanno un chiaro valore anti-sociale, ha l’effetto di scaricare verso il basso le tensioni e le contraddizioni, lasciando agli impoveriti l’unica possibilità di scannarsi tra di loro per le briciole rimaste.

C’è il sospetto che la nuova Giunta, una volta posta in soffitta l’iniziale volontà di rompere con la logica dell’austerità e con l’espropriazione della ricchezza sociale esercitata dal debito, si limiti a ristabilire una connessione sentimentale con il suo popolo solo emettendo ordinanze sulla sicurezza urbana e lanciando crociate per il decoro: l’accanimento contro gli inoffensivi rovistatori dei cassonetti e l’entusiasmo con il quale la sindaca ha immediatamente recepito i nuovi poteri conferiti dal Decreto del Ministro Minniti, sembrano proprio alludere a questo scenario.
Tutto questo avviene mentre stiamo assistendo al progressivo esaurimento di ogni forma di reale partecipazione democratica: trasparenza e partecipazione erano le parole d’ordine che il Movimento 5 Stelle ha messo al centro del proprio discorso elettorale, che fne hanno fatto? Oggi gli eletti si chiudono nelle torri d’avorio degli assessorati, del Campidoglio, incapaci di istruire un dialogo, una consultazione, un ascolto che consista veramente ed effettivamente in una partecipazione di massa alle scelte politiche fondamentali. La partecipazione si riduce alla più stantìa delle deleghe politiche. Eppure, a Roma, c’è dell’altro: la Roma solidale, la Roma che si autorganizza senza attendere l’aiuto e il sostegno che pure le spetterebbe, la Roma che non solo propone ma che pratica quelle nuove forme di democrazia reale e partecipata tanto evocata dal M5S.

Circa un anno fa, il 19 marzo 2016, un imponente corteo percorse le strade della città al grido di «Roma non si vende». Quella manifestazione si opponeva in primo luogo all’ingiunzione di sfratto rivolta a più di 800 spazi sociali, associazioni culturali ed esperienze di welfare dal basso messa in opera dall’allora commissario Tronca, sulla base di uno scriteriato processo di «riordino» avviato dalla Giunta Marino. A partire da quel corteo, la rete Decide Roma ha costruito mobilitazioni, gruppi di studio e assembleee pubbliche di autogoverno per definire un programma dal basso della città, attorno ai nodi dei beni comuni urbani, dei servizi pubblici e per rivendicare un audit pubblico su debito del Comune di Roma.

Oggi, come e più di ieri, assieme a tanti altri, torniamo nelle strade di Roma con lo stesso slogan, perché il rischio di vedere Roma liquidata a banchieri e palazzinari non è cessato, perché l’alternativa si costruisce sempre dal basso, nei rioni e nei quartieri, con il coraggio di chi vive e non si rassegna di fronte alla sofferenza della città che ama.