EUROPA

“Welcome home!” Atene, dove la solidarietà è rivolta

Un racconto da Exarchia sulle due occupazioni nate da poco per accogliere, dal basso e in maniera auto-organizzata, i rifugiati che transitano da Atene.

Accade dopo la metà di settembre, ad Atene, che a quanto pare ancora non le ha viste tutte. Dopo il ritorno dalla “migrazione” estiva sulle isole, per chi se lo può appena appena permettere, e dopo una vittoria elettorale triste, svuotata. Si vocifera già da qualche tempo che serve un passo in avanti, ora che la tensione ai confini è alle stelle. Ora che in quel parco così vicino al centro (1) rimangono solo i tossici che lo abitano da anni. Ora che nella piazza lì a due passi, attraversato lo stradone che ti fai mille volte al giorno con l’Acropoli sbattuta in faccia, lontana eppure sempre così evidente, resistono in pochi, sparsi, infreddoliti e spesso sorpresi dagli improvvisi acquazzoni di fine estate. Ora che il governo ha attrezzato spazi inadeguati e fuori mano (2), per risolvere un’emergenza ampiamente prevedibile e che si trascina da mesi. Mentre a volte pare sempre ci si svegli una mattina e, guarda un po’, si preferisca buttarsi nel mare che vivere sotto le bombe.

Per chi viene da un paese come l’Italia, dove i migranti sono molto spesso identificati, rinchiusi, nascosti, e quando liberi ghettizzati ai margini delle città e dei quartieri, l’Atene dell’estate 2015 è stata quanto meno un’esperienza straniante: viaggiatori, itineranti, nomadi per qualche mese, uomini, donne, vecchi e bambini si sono raggruppati nel centro della città – come nelle isole (3) – sostenuti solo da iniziative auto-organizzate e nessuno, per lungo tempo, li ha cacciati via. Le proteste di residenti e commercianti ci saranno pure state, ma tante volte trovavi, passando, vecchi greci seduti stretti sulle panchine e, vicinissimi, quei quindicenni stanchi, sporchi, coi volti segnati da terre lontane, la fermezza di chi non ha scelta, la gioia di chi è giovane, ed è scampato. Ed erano lì, non potevi far finta di niente.

Così, una mattina in mezzo alla settimana, Exarchia si è svegliata con un’ex mensa universitaria occupata, che dopo qualche giorno è diventata un altro palazzo, a cinque minuti di distanza – statale, questa volta (ex ETEAM, Banco Comprensivo Sussidiario dell’Assicurazione Impiegatizia), per ridurre il rischio di sgombero e assicurare stabilità a un’esperienza nuova, già difficoltosa per mille altre ragioni. Un’occupazione organizzata e rivendicata da AK – Movimento Antiautoritario (4), ma aperta alla partecipazione di chiunque voglia trovare risposte nuove alla presenza in città, negli ultimi mesi, di migliaia e migliaia di migranti siriani, afgani, iracheni, curdi. Muovendosi oltre il puro assistenzialismo, un’esperienza politica autonoma prova a costruire un percorso condiviso contro una gestione della crisi-migranti da parte dei poteri forti europei oscillante tra incompetenza, chiusure nette, brutalità poliziesca e buonismo interessato, utile a meritarsi, semmai, un premio Nobel per la pace.

Il progetto è abitativo (5), seppur calato nella specificità dei flussi umani che attraversano Atene per un tempo ridotto, pronti a re-immettersi nel vortice del viaggio, della fatica, dei confini e di una burocrazia mai del tutto comprensibile, dopo qualche giorno di riposo e organizzazione. Ed è un progetto nuovo, mai sperimentato prima in queste contingenze, per questo costantemente problematizzato: ogni aspetto della quotidianità è messo in discussione e approfondito, nel contesto di una partecipazione costante e quantitativamente incredibile, mano a mano che i giorni passano e che emergono le prime difficoltà. Come coinvolgere effettivamente i migranti nella gestione pratica e soprattutto organizzativa dello spazio, evitando che restino semplici “ospiti”, quando si tratta di transitanti a brevissimo termine? Come relazionarsi con le iniziative statali riguardanti la crisi umanitaria? Come avvicinare chi ancora rimane in piazza Viktoria, in un campo improvvisato e privo di servizi, senza ovviamente costringere nessuno a muoversi? Come fare propria una lotta che, oltre gli slogan, ha come protagonisti uomini e donne che molto spesso rivitalizzano i nostri sogni di rottura delle barriere e dei confini animati da una folle e dolorosa disperazione, più che da desideri di rivolta? Interrogativi che rimangono per lo più senza risposta, ma testimoniano una capacità di muoversi nella realtà densa di significato perché foriera di ulteriori dubbi, ulteriore questionare, cadere, sbagliare tutto, ricominciare, nel dialogo costante con ciò che dopo un viaggio arriva, e accade davanti ai tuoi occhi, nella sua ruvida e opaca imprevedibilità.

Si mantengono alcuni punti fermi, in primis la necessità di costruire relazioni con esperienze simili, dalle isole fino al centro di Atene. Con Lesvos, Kos, Chios, i collegamenti sono costanti, così come con chi, sotto il cartello comune Aλληλεγγύη στους πρόσφυγες – Solidarity with Refugees in Greece (Self-organized Initiative of Solidarity to Refugees/Immigrants), a partire dal campo di Pedio tou Areos fino alle missioni che si spingono nell’Egeo per portare aiuto concreto, ha continuato a reclamare per le iniziative di base della capitale greca la possibilità di muoversi in modo indipendente, così da segnalare la distanza da politiche istituzionali insufficienti, ambigue ed escludenti. Un’altra occupazione, la loro, a dieci minuti dalla prima, con scopo prettamente organizzativo: un magazzino con abiti, cibo e generi di prima necessità, una cucina, una base operativa per chi si muove nella città e oltre dimostrando ferma opposizione a un’Europa chiusa e fortificata, un’Europa per pochi, al limite per chi se la può permettere o per chi risulta utile per qualche tempo, un’Europa che finge di non essere tra le cause di questo esodo di massa e ne blocca il movimento, come a Ventimiglia poco più di una settimana fa, un’Europa che provoca crisi e poi le lascia sulle spalle di chi non può sostenerle, gettando nel baratro intere generazioni. Parlare di questo, in Grecia, è quasi ridondante: conoscono bene la litania, da anni, e non ne possono più di ascoltarla – hanno capito chi è il nemico, e lo affrontano direttamente dove attacca. Così, i problemi sono tanti, i rischi anche, gli sforzi e le iniziative autogestite sempre di più.

A volte, Atene fa male al cuore – per il dolore di un futuro che non esiste più, per le vite spente negli usi e negli abusi che la disperazione produce, per la sensazione costante e violentissima di non avere più nulla. Ma Atene resiste, compatta, solidale, ribelle, generosa, e Atene è tutti quelli di diverso colore, origine, lingua che la abitano anche solo per qualche giorno, e non si riesce a domarla – è qualcosa che ti fa lasciar lì un pezzo di cuore.

(1) Pedio tou Areos, sede di un campo auto-organizzato per migranti e rifugiati attivo tra luglio e agosto nella capitale greca, cfr. Francesca Coin, Solidarity is our weapon. Sul terzo memorandum in Grecia.

(2) Tra tensioni e proteste si sta svolgendo il trasferimento dei rifugiati da Viktoria a Galatsi, su atenecalling.org; oltre al campo sportivo olimpico di Galatsi, anche il vecchio aeroporto di Elliniko è stato predisposto per accogliere i migranti.

(3) Cfr. Costas Efimeros, Death, solidarity and political games in the Aegean, su thepressproject.gr.

(4) Exarchia: nuova occupazione “Refugees Welcome”, su atenecalling.org.

(5) Info (anche in inglese) sulla pagina facebook: Κατάληψη Στέγης Προσφύγων/Μεταναστών Νοταρά 26, e sul sito www.notara26.info