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Venezia 4 / “Miss Marx”

In concorso alla 77° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, “Miss Marx”, un film della regista italiana Susanna Nicchiarelli sulla traiettoria esistenziale di Eleanor Marx, figlia più giovane di Karl. Una storia a cavallo tra attivismo politico e vita privata che sembra ancora appartenerci

Come se l’anima rock di Nico – icona che Susanna Nicchiarelli già portò alla Mostra del Cinema – fosse migrata nei panni di Eleanor, Miss Marx ci conferma quanto la regista sia aderente ai suoi personaggi. Questo film, opera produttivamente impegnativa e in gara per il Leone d’Oro, è un lavoro che mette in scena la vita della più giovane e prediletta figlia di Karl Marx, negli ultimi quindici anni della sua vita. Un film che racconta la dipendenza morale e la capacità di liberarsene come una delle cose più difficili al mondo.

Dopo i titoli di testa glamour sulle note di Waves of History, appare Eleanor davanti a noi. È in questa prima scena che Nicchiarelli condivide con lo spettatore il fascino che a buon diritto prova per questa donna. È energica, una brava divulgatrice, carismatica ma fragile nei sentimenti.

 

Il contesto in cui questo carattere si fa superficie visibile è quello della sua vita adulta, che va dal 1883, anno della morte del padre, al 1898, anno della sua stessa morte avvenuta intenzionalmente per avvelenamento.

 

Nella prima sequenza del film, vediamo la giovane Marx commossa in un monologo commemorativo al funerale del padre. Eleanor, detta Tussy per la sua passione per i gatti, ricorda la storia d’amore, travagliata e piena di passione, dei suoi genitori. Una storia idealizzata di cui, vedremo, tenterà invano di essere erede attraverso il rapporto con Edward Aveling, appassionato come lei di teatro, amante della letteratura, divulgatore delle teorie evoluzioniste e attivista socialista, con cui scrisse The Woman Question, probabilmente il prodotto migliore della loro relazione. Un saggio fondamentale che dimostrava come l’emancipazione delle donne e l’uguaglianza dei sessi non dovesse essere uno dei nodi del movimento socialista ma, in quanto questione fondamentalmente economica, il prerequisito per qualsiasi forma efficace di rivoluzione. Eleanor era una fine analista del capitalismo industriale, integrando il ruolo delle donne nelle lotte della classe operaia e portando così avanti il lavoro di suo padre.

Nel film tutto questo è raccontato. A tratti in modo quasi didattico ma comunque compatto e con una struttura narrativamente efficace e visivamente molto accurata. Si intrecciano costantemente attivismo e vita privata. I viaggi di Eleanor negli Stati Uniti, i suoi discorsi pubblici, le visite nelle fabbriche, la lotta insistente contro il lavoro minorile. Il piglio pragmatico e la spiccata capacità relazionale nel suo impegno politico sono ritratti negli interventi che imprime alla società vittoriana di fine Ottocento: è presente nei luoghi del lavoro, tra gli scioperi delle folle operaie, in dialogo con i sindacati. Al contempo c’è l’eredità privata del padre, il rapporto col suo mentore Engels, gli sforzi a cui la costringe il suo compagno di vita Aveling, la relazione con la domestica. Biografia privata raccontata nell’intimità di una partita a scacchi, tra le pile di manoscritti, lettere e traduzioni.

 

Foto di Emanuela Scarpa, Credits Vivo film, Tarantula

 

Scene di massa e inserti di repertorio da un lato, dimensione privata e sguardi in macchina dall’altro. E così, con questa studiata alternanza, Nicchiarelli fa emergere uno dei temi centrali della vita di Eleanor e di Miss Marx: il tradimento.

 

È il fardello collettivo e insopportabile da cui si sente generata, presa tra relazioni sempre maschili, come fosse suo malgrado la più virile delle donne. Percepisce il tradimento come una bestia prodotta dalle sue stesse relazioni, operazione congiunta di un padre che rinnegò il proprio figlio, fratello ritrovato troppo tardi, avuto con la domestica di una vita, di un mentore e collaboratore in grado di sincerità solo in punto di morte, di un compagno mai sposato ma di cui Eleanor usava il cognome – Marx Aveling – che abusò reiteratamente del suo amore. È questo il vincolo morale di cui lei non riesce a liberarsi, di cui non è in grado di organizzare una rappresentazione convincente. Morirà per questo, convertendo disgraziatamente il senso del tradimento subito in fallimento politico.

La musica punk rock spezza questa storia, come fosse lo strumento di un montaggio che Nicchiarelli fa in onore di Eleanor e, forse, in onore di un’idea ugualmente centrale nel film: non dobbiamo pensare il genere femminile a partire dai suoi progressi, il patriarcato è una bestia della nostra società e dunque un terreno di lotta perenne che non può essere condotto nella sola coscienza del soggetto femminile. Il rock non vuole allora sottolineare l’indubbia modernità di Eleanor, ma piuttosto provocare lo spettatore contemporaneo in una storia dal ritmo che ancora gli appartiene.

Lasciata sola, la rappresentazione più convincente che miss Marx riesce a organizzare di sé, attinge dalle sue passioni letterarie, da quello Shakespeare tanto amato da suo padre, da quell’Ibsen adattato insieme a suo marito. Nonostante il suo immenso lavoro, Eleanor sente di essere rimasta Tussy imprigionata nella sua “casa di bambola”, sorella immaginaria di quella Nora – magnifico personaggio del dramma di Ibsen – che invece riuscì a dire in faccia a suo marito: «so che il mondo darà ragione a te, Torvald, e che nei libri sta scritto qualcosa di simile, ma quel che dice il mondo e quel che è scritto nei libri non può essermi di norma. Debbo riflettere col mio cervello per rendermi chiaramente conto di tutte le cose».

 

Foto di Emanuela Scarpa, Credits Vivo film, Tarantula