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Ultime parole

In un articolo inviato al Jornal do Brasil poche ore prima di essere uccisa, Marielle Franco dichiara che l’intervento militare non è una soluzione. Abbiamo tradotto e pubblicato questo articolo per far risuonare ancora la sua voce

Riforma del Lavoro, Riforma costituzionale della spesa pubblica, Riforma della Previdenza sociale. L’impatto di questi profondi cambiamenti, ispirati ad un progetto politico retrogrado, in linea con precisi interessi asserviti al capitale internazionale e a vari settori dell’impresa, destina centinaia di migliaia di cittadini e cittadine a una inevitabile spirale di povertà.

È in questo contesto che proviamo ad ampliare lo sguardo sull’Intervento Federale di Sicurezza Pubblica a Rio de Janeiro e analizzarne le reali intenzioni, considerando il fatto che il nostro stato si posiziona al decimo posto per indice di violenza, dopo altri come Sergipe, Goiás e Maranhão – per citare alcuni esempi segnalati nell’Annuario di Sicurezza Pubblica.

Date queste premesse, l’Intervento Federale viene giustificato utilizzando argomenti che non trovano conferma nella realtà cittadina. La nostra domanda che non smette di riecheggiare allora è: perché a Rio de Janeiro?

Le ultime esperienze dimostrano come l’occupazione permanente da parte delle Forze Armate non abbia risolto il problema della sicurezza. Inoltre, è importante osservare in quali anni l’esercito viene inviato per strada a “risolvere” una supposta situazione emergenziale. Quel che hanno in comune non è l’avvenimento di un episodio che metta seriamente a rischio la sicurezza pubblica, ma l’essere tutti anni di elezioni. Qual è stato il risultato di queste politiche?

L’uomo incaricato dell’intervento militare federale, il generale Braga Netto, ha dichiarato che “Rio de Janeiro è un laboratorio per tutto il Brasile”. E ciò a cui assistiamo è che in questo “laboratorio” le cavie sono i neri e le nere, abitanti delle periferie, “faveladi”, lavoratori e lavoratrici. La vita di queste persone non può diventare oggetto di esperimenti per nuovi modelli securitari. Il dito puntato contro le favelas, come luogo del pericolo per antonomasia, della paura che si diffonde in tutta la città, risveglia il mito delle classi pericolose, come sottolinea bene la psicologa Cecilia Coimbra, collocando la favela al centro del discorso e rendendola il nemico pubblico per eccellenza.

Nell’ultimo fine settimana, almeno cinque persone sono morte e quattro sono rimaste ferite nella Regione metropolitana di Rio. Tra queste, quattro erano donne. Alba Valéria Machado è morta nel tentativo di proteggere suo figlio, a Nova Iguaçu. Natalina da Conceição è stata colpita durante uno scontro a fuoco tra la Polizia Militare e i narcotrafficanti a Praça Seca. Janaína da Silva Oliveira è morta in un tentativo di aggressione a Ricardo de Albuquerque. Tainá dos Santos è stata raggiunta da un colpo di fucile nella comunità di Vila Aliança. Sono le stesse donne nere che perdono ogni giorno i loro figli a causa della “letalità” intrinseca alle periferie da cui provengono. Questi numeri spaventosi dimostrano che anche ora, a quasi un mese dall’inizio dell’intervento militare, la tanto propagandata “percezione di sicurezza” non va oltre un mero discorso politico-mediatico. Ed è come se le morti non avessero un preciso colore, classe sociale e provenienza. Non abbiamo dubbi: la sicurezza pubblica non si fonda sulle armi. Ma su politiche pubbliche in tutti gli ambiti. In quello della salute, dell’educazione, della cultura e con la creazione di posti di lavoro e di reddito.

È urgente monitorare questo processo, occupandoci di lottare affinché i diritti individuali e collettivi siano garantiti, le istituzioni democratiche siano preservate e continuino a mantenere la loro autonomia. Se le cose andassero diversamente, si rivelerebbe un panorama molto pericoloso in una società con una forte tradizione “patrimonialista”, poco avvezza a un sentire democratico e con una relazione storicamente violenta con la propria popolazione più vulnerabile.

Articolo originale pubblicato su Jornal Do Brasil

Traduzione a cura di DINAMOpress