Tutti giù per terra!

Non lasciamoci travolgere dalla sindrome fine-di-mondo, la Costituzione in pericolo

Esattamente come i due maggiori disastri economici della scora settimana –le svendita di Telecom agli spagnoli e di Alitalia ad Air France-Klm– sono le conseguenze ineluttabili di due sporche operazione di privatizzazione (D’Alema) e di finta italianizzazione (Berlusconi), gestite in combutta da rispettabili banche (factotum Passera) e da incensati “capitani coraggiosi”, così la commedia congressuale del Pd pone sullo stesso piano “buoni” e “cattivi”, dimostrando trattarsi della stessa banda, accucciata sulle ginocchia del neoliberismo. Il caotico frastagliamento dello scontro interno è stato provvidenzialmente tamponato dalla campagna costituzionale dissolvente del PdL e dal sovrapporsi delle vicende giudiziarie di Berlusconi e della conseguente crisi di governo (che vediamo se davvero crisi sarà), della voce grossa di Letta al dibattito sui programmi economici, ma non fino al punto da oscurare l’imbarazzante vuoto di idee del Pd e del sempre più querulo satellite Sel.

I due schieramenti che si fronteggiano nel Pd sono, al dire dei mass media, i conservatori-moderati e gli innovatori-rottamatori, la coalizione eterogenea di vecchio apparato che si riconosce nel grigio candidato segretario Gianni Cuperlo (proposto da D’Alema e condiviso con diffidenza da Bersani ed Epifani) e quella, altrettanto eterogenea e con pezzi sciolti di apparato (Veltroni e Franceschini, scusate se è poco, magari pure Fioroni) che tifa per Matteo Renzi. Non è neppure chiaro l’obiettivo del contendere: formalmente sono primarie per il segretario del Partito, ma non si capisce se, a norma di Statuto, costui si identifica con il candidato premier in elezioni anticipate oppure no. Ragion per cui il premier in carica, Letta, pur proclamatosi neutrale, vede con molta diffidenza l’ascesa di un Renzi che mira evidentemente a conseguire, dal trampolino di segretario, una candidatura automatica a premier in elezioni anticipate. Il tutto è complicato dal collasso del governo di larghe intese e dal rebus di come e quando arrivare a una nuova consultazione, passando o meno per un Letta-bis. Un garbuglio politico-istituzionale in cui i due pezzi del Pd portano solo rivalità personali e risentimenti di vecchia data, ma neppure lo straccio di un’idea.

Lo schieramento “conservatore” conserva infatti un apparato (con i suoi finanziamenti), ma nessun programma per quanto invecchiato, è la somma di debolezze sconfitte e reciprocamente ostili (Bindi, D’Alema, Bersani), per di più rischia a una sconfitta elettorale, anche se dovesse presentarsi a puntello di un Letta ringhioso, emancipato dall’abbraccio mortale delle larghe intese.

Lo schieramento “innovatore” si identifica al momento con le idee o meglio le interviste e le battute di Renzi. Certo, quello che ha più probabilità di battere Berlusconi in una competizione tutta mediatica e personale quale di certo sarà la prossima, in assenza di un ciclo di lotte sociali. Definirlo un blairiano o cercare i suoi ispiratori in Yoram Gutgeld o Davide Serra o Pietro Ichino sarebbe peraltro un elogio sperticato, al massimo indica un orientamento spontaneo a destra, perché quello specifico è un rosario di bischerate. Cominciò, lui sindaco di Firenze quindi con etichetta impegnativa, proponendosi di completare l’incompiuta facciata michelangiolesca di S. Lorenzo (perché allora non la troppo ruvida e appena sbozzata Pietà Rondanini?), seguì un imbarazzante libro Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter, florilegio di castronerie sull’Alighieri, Cosimo dei Medici e Machiavelli, il sequestro di Ponte Vecchio a favore di una festicciola di concessionari d’auto, ecc. Ma ben più promettenti sono le idee sull’Università, che si sottraggono al suo consueto vizio dell’improvvisazione e perdurano da oltre un anno. Dall’autunno 2012 il nostro Fonzie, abbagliato dalle classifiche mondiali universitarie e dalle farneticazioni dell’Anvur, si lancia in smaccati encomi della competizione e della selezione meritocratica, che dovrebbe sottrarci al dominio provinciale del baronato e consentirci di esportare e importare talenti, puntando in prima battuta all’aumento delle tasse e all’introduzione del prestito d’onore. Due ricette già fallite negli Usa, fino al punto da generare una bolla speculativa di debito universitario, e che per di più in Italia si scontrano con la riluttanza delle banche a finanziare le imprese, figurati quei fannulloni di studenti! L’aumento delle tasse invece, c’è stato e la fuga dei cervelli, pure, l’invasione di quelli stranieri chi l’ha vista…

Nelle più recenti interviste a Lilli Gruber e alla prestigiosa rivista scientifica Max, il nostro si scatena: «come sarebbe bello se riuscissimo a fare cinque hub della ricerca…Cinque realtà anziché avere tutte le università in mano ai baroni, tutte le università spezzettatine, dove c’è quello, il professore, poi c’ha la sede distaccata di trenta chilometri dove magari ci va l’amico a insegnare, cinque grandi centri universitari su cui investiamo», cinque poli da piazzare nel ranking di Shanghai e per il resto liquidare metà delle università di serie B.

Ha senso puntualizzare queste miserie, mentre sull’Italia si abbatterebbe lo tsunami della crisi istituzionale e delle elezioni anticipate? Ma certo. Tutti decaduti! Si tratta della stessa miseria, ammantata di toni apocalittici, dell’angelo della distruzione che annuncia dimissioni-burla e del katechon Letta che trattiene l’Anticristo, con lo scambio giocato e congelato fra aumento Iva e aumento benzina, un gran polverone sulla legge di stabilità e una sostanziale acquiescenza ai vincoli della finanza internazionale e di una Bruxelles sempre più tedeschizzata dopo la vittoria della Merkel. Può far piacere vedere il suicidio della destra berlusconiana, ma non facciamoci illusioni sulla sinistra che aspira, oggi con maggiore chances, di prenderne il posto –vedi il coro confindustriale ed ecclesiale al riguardo. Tanto meno sul ruolo progressivo che vi avrebbe Sel, dispostissima a traghettare Letta fuori dalla palude, e via vaneggiando: ma Vendola, che ti traghetti?