Trastevere: i beni comuni invadono l’America.

Occupato ieri l’ex Cinema America: al via Ri_Pubblica, tre giorni per i beni comuni.

Trastevere, tredicesimo rione di Roma, nel primo pomeriggio di ieri, in molti, hanno partecipato a quella che, volendo rispettare le convenzioni, dovremmo chiamare «occupazione». Innanzitutto, però, l’“America” è un cinema chiuso e in stato di abbandono da circa 12 anni, e allora potremmo parlare, tanto per cominciare, di «riapertura al pubblico».

Lo stabile è di proprietà della Progetto Uno s.r.l. ed è stato oggetto, nel 2009, di una risoluzione del Municipio Roma centro storico che impegna la presidenza ad intercedere affinché il Comune di Roma o altro Ente Pubblico proceda all’acquisto dell’immobile o, in alternativa, vi sia l’utilizzo del privato a beneficio del sociale. Sulla vicenda è intervenuto da ultimo il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4543/2010 del 13 luglio 2010 (http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%204/2010/201002555/Provvedimenti/201004543_11.XML).

Nel vecchio Piano regolatore, l’area su cui insiste il “Cinema America” era classificata come zona A, comprendente, cioè, edifici di interesse storico, architettonico o monumentale. Trattandosi, poi, di sala cinematografica, all’edificio si applica la delibera del Comune di Roma n. 661 del 2005 che, al fine di tutelare i locali di interesse culturale, impone ai titolari di sale cinematografiche limiti precisi rispetto ai cambi di destinazione d’uso. Le proposte di riqualificazione, in particolare, devono prevedere che il 50% della struttura sia destinato a manifestazioni culturali con un minimo del 20% finalizzato a servizi in favore della popolazione locale.

La Progetto Uno s.r.l., acquisita la proprietà dello stabile, nel giugno 2004 aveva presentato al Comune di Roma una proposta di Piano di recupero ai sensi dell’art. 30, legge n. 457/78, rubricata Norme per l’edilizia residenziale (http://www2.comune.venezia.it/casa/leggi/legge457_78.asp) e che istituisce un piano decennale per interventi di edilizia sovvenzionata diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici. La proposta della Progetto Uno s.r.l. prevedeva la destinazione dello stabile in gran parte ad uso residenziale e a parcheggi, ed in piccola parte ad esercizi commerciali. L’opposizione degli abitanti impedì la conclusione dell’iter di approvazione del Piano di recupero e, quindi, fece ricadere l’edificio sotto la disciplina prima della succitata delibera n. 661 del 2005 e poi del nuovo Piano regolatore generale nel frattempo approvato dal Comune di Roma (delibera n. 64 del 22 marzo 2006), ai sensi del quale l’immobile rientra nei Tessuti di ristrutturazione urbanistica otto-novecentesca (T3) della Città storica, precludendo definitivamente la realizzazione del descritto progetto.

La Progetto Uno s.r.l. agisce quindi per vie legali chiedendo l’annullamento delle deliberazioni recanti l’approvazione del nuovo Piano regolatore generale del Comune di Roma. Il Consiglio di Stato sancisce però che il fine perseguito non costituisce interesse legittimamente tutelabile. Infatti, pur ipotizzando l’annullamento del nuovo Piano regolatore, non essendo mai giunto a termine l’iter di approvazione della proposta di riqualificazione della Progetto Uno s.r.l., l’atto sostitutivo avrebbe comunque dovuto preservare le previgenti capacità edificatorie delle singole aree e, quindi, le norme che classificavano l’immobile in zona A e lo assoggettavano alla delibera sulle sale cinematografiche. Risulta palese quindi che l’unico intento della s.r.l. era quello di giungere ad una nuova formulazione della pianificazione che potesse essere più favorevole ai propri interessi economici conseguendo, cioè, una migliore qualificazione dell’area; in poche parole, si mirava all’ottenimento di una nuova classificazione che liberasse l’edificio dai vincoli urbanistici sopra descritti lasciando campo libero ad una speculazione incurante degli interessi dei cittadini alla fruizione di spazi culturali. Fallita l’azione giudiziaria tesa al cambiamento delle regole e ridotti, quindi, notevolmente i margini di profitto, come spesso accade, il privato, piuttosto che rispettare i vincoli di legge, preferisce lasciare l’immobile di sua proprietà in stato di abbandono e disuso, regalando ai cittadini un nuovo scorcio di fatiscenza incastonato nella cornice del centro storico a mo’ di sfottò, proprio dove, secondo lo strumento urbanistico, doveva sorgere uno spazio destinato, almeno in parte, all’uso pubblico. Come nel settore dei servizi, allora, si cominci quantomeno a dubitare della mitologia del privato efficiente, panacea di ogni malagestione e capace, sotto il controllo dello Stato, di soddisfare appieno importanti interessi pubblici.

L’abbandono diventa quindi sottrazione di uno spazio alla comunità a dispetto dei vincoli urbanistici posti a tutela di un diritto della collettività ed di un interesse pubblico. Ecco perché, spingendosi oltre le convenzioni, quella di ieri potrebbe essere considerata per certi versi una «riappropriazione» più che un’«occupazione».

La vicenda riporta ad un altro edificio, stavolta di proprietà pubblica, sempre nel rione Trastevere: il Palazzo degli esami (http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/11/09/g8-palazzo-degli-esami-dopo-10-anni-e-milioni-di-euro-spesi-ancora-non-e-finito/210453/), edificio del 1912, ex sede dei concorsi di Stato, ormai da dieci anni in fase di ristrutturazione; una voragine di denaro pubblico che, anche a lavori fermi, ha inghiottito 600 mila euro all’anno solo per la permanenza dei ponteggi, a tutto vantaggio della Imac S.p.A. che doveva occuparsi della ristrutturazione. Finora sono stati spesi 10.000.000 di euro per portare a termine solo la facciata esterna, mentre i lavori interni si può dire non siano nemmeno iniziati. Così mentre pare che il Comune di Roma, nel clima spensierato dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, abbia chiesto fondi per altri 40.000.000 di euro per il completamento dei lavori a fronte di un costo reale stimato non superiore ai 12.000.000 (http://www.corriere.it/editoriali/09_luglio_20/ernesto_galli_della_loggia_noi_italiani_senza_memoria_a297de16-74ea-11de-95fa-00144f02aabc.shtml), sull’edificio è stato imposto il segreto di Stato, in un primo momento, perché doveva ospitare i servizi segreti, poi, trovato un altro tetto per gli 007, il segreto di Stato è rimasto, giustificato dal fatto che – pare – la struttura sia ora destinata alla Guardia di finanza. Piccola precisazione, la ditta appaltatrice dei lavori è di proprietà di Pierfrancesco Murino, rinviato a giudizio per corruzione e associazione a delinquere nell’inchiesta sugli appalti del G8 e dei Grandi eventi. Alla luce di tutto ciò sia consentito almeno il dubitare che dietro il segreto di Stato si celi l’intenzione di tenere i cittadini all’oscuro riguardo a ciò che attiene la destinazione dell’immobile e l’utilizzazione dei fondi pubblici destinati alla sua valorizzazione. Un po’ come avviene per le discariche e i siti inquinati in Campania e in altre Regioni, laddove, una volta sottoposti tramite decreto alla disciplina dei siti di interesse strategico, viene derogata ogni norma sull’accesso alle informazioni ambientali e impedita ogni manifestazioni di dissenso.

Le due vicende di gestione del patrimonio edilizio offrono alcuni spunti di riflessione. Il caso del Cinema America, come abbiamo detto, testimonia il fallimento del privato nel conciliare il proprio profitto con gli interessi pubblici. Il Palazzo degli Esami è invece un esempio di cattiva gestione pubblica. Emerge la negazione di qualsiasi possibilità di partecipazione dei cittadini alle scelte che riguardano la gestione del proprio territorio, tuttavia, nel caso del Palazzo degli Esami non ci si può limitare a parlare di malagestione pubblica. In tempi in cui la leva del debito spinge in maniera strumentale verso la privatizzazione del patrimonio pubblico e dei servizi essenziali, va osservato, invece, che l’esempio del Palazzo degli Esami dimostra come, da un lato, la malagestione pubblica certo alimenti il debito il cui risanamento viene posto a carico del cittadino, dall’altro però, i soldi malgestiti sono destinati ad arricchire proprio i privati che dovrebbero costituire la soluzione del problema attraverso la cessione di una grande fetta del patrimonio dello Stato e della gestione dei servizi essenziali. In sostanza, la politica corrotta fa gli interessi dei privati nella concessione di appalti, in questo modo crea quello stesso debito che serve a giustificare la spinta alla privatizzazione.

Descritto il contenitore passiamo al contenuto. L’occupazione temporanea del Cinema America ospiterà la tre giorni di Ri_Pubblica (http://www.ripubblica.org/), iniziativa nata da un impulso del Coordinamento romano acqua pubblica e organizzata poi da una coalizione trasversale di realtà di movimento, comitati, cittadini, per discutere del tema dei beni comuni e per trovare convergenze di azione intorno a tre grandi aree tematiche: territorio, finanza e democrazia partecipata. I beni comuni hanno invaso l’America, allora, perché un’iniziativa ad essi dedicata si svolgerà in uno dei tanti luoghi di una Roma abbandonata icona di un modello di gestione del territorio che gli organizzatori pensano debba essere superato. Ri_Pubblica rappresenta forse, nel nome stesso, non una semplice spinta in direzione contraria alle politiche di privatizzazione dei servizi, dei luoghi, dei saperi, ma la volontà di affermare un nuovo modello di gestione pubblica che accolga le istanze di democrazia partecipata ed equità. Ri_Pubblica significa riappropriazione e ripensamento dei propri territori e del proprio futuro.