EUROPA

Tra rivolta e tentazioni autoritarie, dove va l’Ucraina?

Matteo Tacconi è un giornalista che da anni si occupa di est Europa, al momento collabora con il quotidiano Europa, il Manifesto e la rivista Limes; è autore di diversi libri e cura il blog radioeuropaunita.wordpress.com. Con lui abbiamo deciso di provare a capirci di più di quello che sta accadendo in Ucraina, oltre le semplificazioni o le fascinazioni esotiche per gli scontri di piazza.

La crisi politica in corso in Ucraina sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno. Le opposizioni hanno dato l’ennesimo ultimatum al presidente Viktor Yanukovich, chiedendo le dimissioni del suo governo e nuove elezioni. Quali direzioni potrà prendere la crisi nei prossimi giorni?

Difficile prevederlo. Ogni pronostico può rivelarsi azzardato, lo scenario è pieno di variabili. Ma partiamo in ogni caso dalla situazione attuale. Negli oblast (regioni) dell’occidente, quelle dove i partiti dell’opposizione raccolgono la stragrande maggioranza dei loro voti, sono in corso occupazioni nelle sedi dei governatorati. Questo lascia intendere due cose. La prima: l’opposizione, che sta discutendo con Yanukovich su possibili vie d’uscita concordate dalla crisi, cerca di conquistare potere negoziale. La seconda: l’ala movimentista e azionista dell’opposizione ha deciso di fare di testa propria. Tra le due mi pare più probabile la prima, ma c’è comunque un pezzo di opposizione che non vuole colloqui, ma la capitolazione di Yanukovich e della sua cricca. Quanto al presidente, sappiamo che l’altro giorno ha dato ordine alle forze di sicurezza di reprimere, “facilitato” in questo dal fatto che a partire da domenica dei gruppi di estrema destra, evidentemente addestrati, hanno deciso di agire e scendere in prima linea, aprendo una vera e propria guerriglia urbana. Yanukovich ha visto in questo il pretesto giusto e dunque ha usato la forza. Dove voleva arrivare? Forse anche lui, sapendo che avrebbe dovuto negoziare, voleva arrivare al tavolo “a giochi fatti”, così da mettere l’opposizione davanti al bivio: non chiedetemi troppo, perché avete visto di che natura è l’alternativa. Sicuramente, invece, Yanukovich ha cercato di associare le frange violente della protesta alla protesta tout court, che è sempre rimasta su una linea tendenzialmente pacifica, di resistenza civile. Il messaggio non è passato. L’ipotesi è che Yanukovich possa, debba concedere qualcosa. Ma è evidente che le richieste dell’opposizione, che vanno dalle dimissioni del governo alle presidenziali anticipate al 2014 (anziché il 2015), come alla cancellazione delle cosiddette leggi “anti-protesta” (vedi domanda successiva), sono eccessive. Quindi lo spazio della trattativa è ristretto. Bisogna poi vedere cosa diranno i russi. Quando hanno concesso a Yanukovich il salvataggio da 15 miliardi di dollari hanno preteso in cambio stabilità. Quindi la domanda è: Mosca asseconderà l’ipotesi negoziale e in che misura, eventualmente? Oppure chiederà a Yanukovich di chiudere i conti con la protesta?

Quali sono gli schieramenti che si stanno fronteggiando nella vita politica e sociale Ucraina? La scelta di orbitare attorno alla Russia di Putin o di scegliere il campo europeo cosa ha fatto esplodere nella società ucraina?

Fino a due mesi fa l’Ucraina era un paese ancora nel “limbo”. Non aveva legami formali con la Russia, né tanto meno con l’Ue, tali da sbilanciare definitivamente o quanto meno molto chiaramente il suo baricentro, dall’una o dall’altra parte. Nel corso del 2013 sul piatto c’è stato proprio questo. L’Europa proponeva Accordi di associazione e sul libero scambio, con l’obiettivo di conseguire una maggiore integrazione con Kiev. Questo non presupponeva una futura adesione all’Ue. Ma i russi l’hanno percepito come un atto teso a diminuirne l’influenza su Kiev (effettivamente in parte lo era), pilastro fondamentale dei piani strategici di Putin nello spazio post-sovietico. Con l’Unione eurasiatica, che dovrebbe partire nel 2015, il Cremlino vuole fissare paletti più solidi nel “cortile di casa”. Da qui è scattata la controproposta di Putin, che è stato molto abile a cogliere il difetto, grave, dell’impianto delle offerte targate Ue, calando al tavolo soldi cash, utili a salvare Kiev da una probabile bancarotta. Il pacchetto allestito da Bruxelles non li prevedeva, lasciando questo compito al Fondo monetario, che però chiedeva a Yanukovich riforme costose, che scardinavano la rete di misure paternalistiche su cui si base il suo consenso (tariffe energetiche basse, occhio di riguardo sui salari pubblici…). Insomma, Putin ha dato e non ha chiesto sacrifici. Ha garantito la sua sponda a Yanukovich (malgrado il presidente russo non ne abbia stima), in cambio di una garanzia sulla stabilità e sulla conferma degli interessi russi nel paese. Questo ha spostato, come non mai, il baricentro ucraino verso Mosca. Al tempo stesso, ha spezzato l’ingranaggio del “limbo”, facendo infuriare quei pezzi di Ucraina che vogliono l’ancoraggio a occidente o, più semplicemente, non vogliono Yanukovich al potere. Nel campo della protesta c’è infatti chi aspira alla prospettiva europea, chi sta in piazza perché vuole combattere Yanukovich, chi fa entrambe le cose. C’è eterogeneità. Come ce n’è tra i partiti dell’opposizione. Quello della Tymoshenko, Patria, è su posizioni europeiste, con qualche richiamo al nazionalismo. Il partito dell’ex pugile Vitali Klitschko (Udar) si colloca al centro, grosso modo come Patria, ma ha una dimensione più “liberal” – se così si può dire – e riesce a prendere voti anche nelle regioni dell’est, dove Yanukovich fa incetta. Poi ci sono i nazionalisti di Svoboda, radicati nel solo ovest ucraino. Qualcuno li bolla come neonazisti, altri come esponenti dell’eversione “nera”. Questi elementi possono anche esserci, ma Svoboda è anche un partito che raccoglie voti di protesta. Nel 2012 è andato in doppia cifra, entrando per la prima in Parlamento. Prima di allora, a livello nazionale, aveva ottenuto solo le briciole (sul piano regionale invece è presente da tempo nei consigli di alcuni oblast). Insomma: tutti questi voti sono stati voti di protesta, di rifiuto dei partiti tradizionali. Non mi sembra, infatti, né che gli ucraini siano così sensibili al verbo dell’estrema destra. Nè tanto meno i cittadini di Kiev, dove alle politiche del 2012 Svoboda è divenuto il secondo partito.

Le leggi liberticide approvate il 16 gennaio scorso dal parlamento ucraino sospendono di fatto la democrazia formale nel paese?

Sono delle leggi orrende, che spianano la strada all’autoritarismo, rafforzano la discrezionalità del potere centrale, limitano sia il diritto a protestare che la libertà di stampa. In questi giorni s’è tracciato un paragone con l’Ungheria di Orban. Fuorviante. A Budapest non s’è arrivato a tanto. Se mai il modello è quello russo, sempre che di modelli si possa parlare. In ogni caso, se non sospesa, la democrazia in Ucraina si è fortemente contratta. Si parla ora di una possibile revisione di queste misure. Staremo a vedere.

Qual è il ruolo delle organizzazioni di estrema destra come Svoboda nella rivolta di piazza?

Svoboda sta chiaramente a destra, molto a destra. Sa anche mobilitare la sua gente. A Leopoli, la roccaforte di questo partito. Come a Kiev, dove a inizio gennaio c’è stata una marcia che ha visto la partecipazione di 15mila militanti. Sebbene sia giusto sottolineare il carattere estremista di questo partito, è sbagliato – qualcuno tende a farlo con insistenza – sostenere che l’estrema destra si sia appropriata dalla piazza. Si rischia di delegittimare una battaglia civile, che va avanti da due mesi, contro il sistema di potere corrotto e poco trasparente di Yanukovich. Altro conto sono le formazioni come Pravyi Sektor che da domenica hanno deciso di muovere battaglia contro le forze di sicurezza. Non so quali siano i loro legami con Svoboda. Magari Svoboda cerca di tenere i piedi in due staffe, cercando sia di accreditarsi come partito indiscutibilmente ancorato all’arco istituzionale, sia di mantenere una presenza in prima linea. Oppure no. In ogni caso quelli di Svoboda detestano Yanukovich e la Russia. Non mi stupisce quindi che siano in piazza dalla prima ora. Quando si gioca una battaglia così accesa tutti vogliono dire la loro.