EUROPA

Tous les garçons et les filles

A Parigi, Prove di estrazione di valore dalla strada per la città liberista. In un museo che non è un museo, in una scuola che non è una scuola, un’esposizione di street art avvolge giovani sviluppatori di applicazioni, trasformandoli in cavie di loro stessi.

Parigi. La sua architettura non ha rivali nel cambiar pelle. Quando il mattone finanziario programma di spalmare il proprio dominio sulla città non fa certo prigionieri. Intere parti urbane, negli anni, hanno accompagnato la pesante sostituzione edilizia, con la cacciata di chi quei luoghi abitava da sempre. Pantin, il primo storico “ensemble” popolare ad est a ridosso della Villette, è oggi diventato il quartier generale di Hermès, grande griffe della moda mondiale.

I suoi nuovi edifici, disseminati a pioggia intorno una nuova piazza, sembrano parlarsi con il “restauro” del vecchio mulino che oggi, al di là del canale, è diventato la sede generale del gruppo Paribas.

Insieme hanno trovato le occasioni, prima, per circondare il vecchio quartiere “comunista”, quello delle grandi realizzazioni popolari dell’architetto Ferdinand Pouillon, poi, man mano che hanno conquistato, insieme allo spazio necessario per le loro attività, la volontà per demolire il sistema delle case riunite intorno ai cortili che caratterizzavano un tessuto fatto di piccoli quadrati, dove uno spazio verde era sempre presente all’interno del progetto morfologico di assemblarsi tra loro delle abitazioni. Una rigenerazione urbana che ha portato fuori dal quartiere molte famiglie, impossibilitate a reggere i nuovi prezzi portati dal nuovo “abitare”.

Quando, come è successo a Batignolles, nell’ arrondissement XVII, si decide di affrontare il tema di cosa fare al posto delle aree ferroviarie in dismissione, si costruisce addirittura un modello abitativo. Qui lo spazio pubblico, in questo caso rappresentato da un doppio sistema di un parco, non è un servizio, ma è l’elemento che fissa le regole del gioco. Consistono nel dosare e misurare il prezzo degli alloggi rispetto quanti alberi si vedano dalle finestre, quanti metri si disti dalla sua entrata.

Lo spazio a terra per le operazioni di rendita non sembra bastare mai. Si chiede a Renzo Piano di costruire un grattacielo ad ospitare il nuovo Tribunale che, anche a dispetto della sua altezza, sembra non riuscire a sollevarsi dall’essere attanagliato tutt’intorno dai risultati di quella che potremmo chiamare architettura del densificare.

Stupisce quindi quando inizia a circolare la notizia dell’apertura di un nuovo Museo, lungo il boulevard Bessières, da cui alzando la testa si vedono le aule del Tribunale progettate dall’architetto genovese. Stupisce ancora di più perché questo Museo viene “offerto” come un luogo d’arte fin dal suo nome Art42 e la mostra con cui intende presentarsi alla città è dedicata alla Street art. Lo stupore è destinato a continuare perché, il museo, si può visitare soltanto, dopo essersi prenotati, per soli due giorni alla settimana.

Non resta che “segnarsi” e mettersi in fila, il programma sembra interessante e vogliamo capire come i “francesi” abbiano risposto all’ossimoro di rappresentare in un luogo chiuso espositivo quell’espressione artistica nata e fatta per la strada.

Ci mettiamo così in fila e solo allora ci accorgiamo che l’edificio non sembra avere una faccia. È tutto ricoperto da un grigliato di ferro. Come se l’architetto avesse sollevato da terra le griglie della metropolitana e le avesse appoggiate alla facciata. Un primo segnale si coglie proprio aspettando il proprio turno perché, a gruppi di venti, si viene presi “in carico” da un paio di giovani che si presentano subito dicendo che loro sono allievi di questa straordinaria scuola. Non resta che stare ad ascoltare.

Quelle griglie continuano ad inquietarci, in fila ce lo diciamo, anche perché l’edificio confina con l’imponente mole del Lycée Honorè de Balzac e il museo, così arredato, finisce con il sembrare un suo annesso tecnico. Quando finalmente si entra, si resta sopresi

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Non puoi muoverti come vuoi, anche perché non c’è nessuna indicazione. Non esiste alcuna insegna grafica. Nulla, neppure una freccia. Sei preso in consegna dai due scout. Fogli alla mano, ti portano davanti alle opere ed iniziano a leggerti quello che rappresentano.

Intorno passano decine di ragazzi anche perché, ci dicono ad un certo punto, che quella è una scuola dove “per carità non ci sono né un preside né un direttore, né lezioni”. Ci sono, perché lungo il percorso ci arriviamo dentro, due grandi “open space”, con grandi file di tavoli con almeno 800 computer Apple ultimo modello.

Ci devi girare intorno perché lungo quelle pareti e quei pilasti si trovano le 150 opere di street artists, provenienti dalla collezione di Nicolas Laugero Lassere, direttore della scuola Icart (l’università pubblica dove si formano i manager francesi che andranno a dirigere musei e gallerie e soprattutto a far parte di coloro che decidono il mercato dell’arte). Se Bansky è presente con una palizzata in legno rimossa dalla recinzione di un cantiere, Blu, Ericailcane, Miss Van, Evol, Clet, Jonone… presentano opere grafiche (stampe, lito, gauche, collages..). Alcune sono vere e proprie installazioni costruite appositamente per il luogo. Ma perché tanti computer in un posto che viene presentato come un museo?

Per scoprirlo basta allontanarsi un po’ dal gruppo. Spiando chi sta dietro i computer ti accorgi che in quei video non c’è traccia di nessun disegno, di nessuna immagine. Né sul tavolo vedi alcuna matita. Le mani di chi sta lavorando compulsivamente danzano sulla tastiera e, dallo schermo, vengono vomitate sfilze di numeri e codici. Come resistere a fare domande?

Così vieni a sapere che questa in realtà è una scuola del tutto particolare fondata da Xavier Niel (il padrone di Free il maggior fornitore di sistemi d’informatica del paese). Ci troviamo in “una scuola innovativa” per giovani dai 18 ai 28 anni. La scuola è rivolta a chi è “nato per programmare”. Si è ammessi dopo una selezione che avviene attraverso giochi on line, e dopo i test, a seguire, un colloquio. Oggi gli allievi sono 2500 selezionati fra le 70 mila richieste. L’école 42 è aperta 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. I ragazzi, non hanno vincoli orari. Vanno quando vogliono. All’ora che vogliono

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Hanno, questa la regola d’ingaggio, un certo numero di progetti da consegnare pensati e realizzati. Un impegno che li vedrà occupati dai tre ai cinque anni. Dopo aver terminato e messo a punto tutti le 21 “applicazioni”, faranno uno stage in azienda. Il sistema di valutazione è “peer to peer”, cioè il lavoro viene valutato dai compagni. Sarà per questo che nessuno stacca la faccia dal proprio computer e se parlano con noi lo fanno perché vedono bene che non siamo un loro collega?

Ma chi è Xavier Niel? E’ il fondatore di Free, la riconosciuta rivoluzione tecnologica francese che ha costretto il mercato ad inseguirlo. Fa i soldi. Tanti. Così investe in due direzioni, il finanziamento delle start up e i media. Sembra scommettere ancora sulla carta ed insieme a Pierre Bergé e Matthieu Pigasse nel 2010 compra Le Monde. Poi il Nouvel Observateur. Non tralascia d’interessarsi ai siti di giornalismo di inchiesta, da Mediapart a Bakchich. Attraverso la sua offerta di Free mobile è ancora attivo al top del mercato informatico del paese. Il suo patrimonio personale è stimato in 8 miliardi di euro

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La sua passione attuale è quello che vede fare da quei ragazzi che smanettano in continuazione. Pensa così ad una scuola, gratuita, per “geek”. Investe 200 milioni in quello che ha intenzione di far diventare «il più grande incubatore al mondo di start up». L’école 42, garantisce studi gratuiti per giovani selezionati ai quali non è richiesto nessun titolo di studio. L’investimento è di 6 milioni di euro l’anno. La selezione degli allievi avviene già dopo un mese. Fra i 2500 mila ammessi dopo trenta giorni il loro numero si riduce ad 800.

“Noi non selezioniamo” ha dichiarato Neil rispondendo alla domanda di chi gli chiedeva quali fossero i criteri di scelta degli alunni, ” testiamo la loro motivazione, la loro capacità a resistere alla pressione e la loro voglia di riuscire”. Così gli alunni passano il loro tempo a programmare, giorno e notte, non c’è diritto all’errore, ci si impone un’autodisciplina ferrea.

Aperta 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, la scuola non ha stanze per dormire, ma si può fare la doccia. Ed è per questo che si vedono asciugamani stesi sulla balaustra delle scale. Una sfilza di drappi colorati che ormai sono diventate le protesi di quei corpi che, così come avviene per le opere che colleziona e ora presenta, devono prima di tutto essere capaci di riuscire a tenere gli occhi aperti sull’abitare.

La scuola Art 42, “museo che non è veramente un museo, dentro una scuola che non è veramente una scuola” punta a catturare dalla strada quello che nella strada viene prodotto, per impossessarsene e confinarlo in un’“applicazione”, inventata da giovani condannati a vivere senza futuro, privati dell’invenzione della propria vita, in un futuro senza la ricchezza di quella strada, tenuta fuori dalla città liberista da ogni progetto di rigenerazione urbana.