ROMA

Strike the war: 8M sciopero transfemminista

Lo sciopero transfemminista ha invaso le strade di Roma per l’otto marzo, 20mila persone tra lavoratricə, pensionatə, studentessə e bambinə con rabbia e amore a denunciare le violenze che vivono sui loro corpi e su quelli di chi è oggi in guerra

Sono le diciassette di martedì otto marzo e da via Vittorio Emanuele, via Nazionale e viale Einaudi a Roma donne e soggettività non binarie camminano sveltə e sicurə, unə accanto all’altrə, sconosciute ma unite da unica lotta in direzione di piazza della Repubblica da cui parte lo sciopero transfemminista.

Il corteo indetto da Non una di meno “Strike the war” di ieri ha visto scendere in piazza 20 mila persone. Il primo appuntamento della giornata si è svolto davanti al Vittoriano alle dieci di mattina in solidarietà «alla popolazione ucraina pesantemente colpita dall’occupazione e in solidarietà con la popolazione civile russa che paga con una dura repressione l’opposizione alla guerra e al regime di Putin» si legge sul comunicato del collettivo, mentre più tardi lo sciopero transfemminista ha attraversato le strade della capitale fino alle porte di Piazza Venezia.

Quest’anno le rivendicazioni portate dalla marea transfemminista, oltre a denunciare la violenza di genere e le disparità nel mercato del lavoro, si sono concentrate anche contro i conflitti armati ad opera degli stati e delle potenze economiche e militari, come tra Russia e Ucraina, Israele e Palestina, Turchia e Kurdistan. A Via Cavour, dal davanzale che sovrasta la via è stato srotolato un lenzuolo: Anti War, Feminist Resistance.

Dietro al camion avvolto da un pañuelo viola un enorme striscione che dice «guerra alla guerra, sciopero transfemminista», seguito dalla marea di soggettività che con i loro corpi arrabbiati e danzanti rivendicano la loro presenza e che nel corso del pomeriggio hanno preso parola anche per chi non è potutə essere presente, perché impossibilitatə a scioperare o a ricoprire il ruolo di cura che ancora oggi nel 2022 non è equamente distribuito, ma addossato interamente a madri, figlie e donne tutte.

Gallery Renato Ferrantini

Dopo tre anni di pandemia, in cui la parola “cura” ha rappresentato una costante nelle nostre vite, occorre dunque sottolineare i danni che questa può provocare se intesa in maniera univoca: «Ci preoccupano gli studi sullo stress e sul malessere delle donne in relazione al lavoro provocati dalla crisi sanitaria, dalla gestione dei carichi di cura, dalla rinuncia al lavoro e alla carriera, dalla solitudine, dalla sovrarappresentazione nell’accesso alle pur insufficienti misure di conciliazione», scrivono le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) nel loro comunicato.

Se nei luoghi di lavoro la disparità di genere era già preoccupante, la pandemia non ha fatto altro che aggravarla e se i dati riportano una crescita notevole del livello occupazionale femminile è bene specificare che i contratti di cui si parla sono a termine e che il gap tra donne e uomini occupati è più di tre milioni secondo i dati Istat dello scorso anno, oltre a rilevare che «retribuzione oraria è pari a 15,2 euro per le donne e a 16,2 euro per gli uomini, con un differenziale di genere più alto tra dirigenti (27,3%) e laureati (18%)» riportano sempre le Clap.

Le violenze di genere, in particolare quella domestica, sono aumentate e lo smart working non sempre e non per tuttə è stato un comfort. Le risposte istituzionali di certo non suggeriscono un cambio di rotta verso uno Stato transfemminista: ne è testimone la mancata approvazione del Ddl Zan e questo oltre a reprimere la libertà personale e sessuale non garantisce e costruisce sistemi di tutela nei confronti di chi è soggettə alle molestie verbali e fisiche, a casa, a lavoro, per strada o nelle scuole.

Lə studentə hanno preso parola, denunciando gli atteggiamenti sessisti di docenti che si preoccupano dell’abbigliamento delle studentesse piuttosto che pretendere di inserire all’interno dei programmi lezioni di educazione alla sessualità e all’affettività.

La lotta transfemminista abbraccia tutte le lotte contro la violenza, comprese le rivendicazioni ecologiste. In questi giorni è stato occupato uno stabile pubblico a Roma dalla laboratoria autogestita ecologista e intitolato a Berta Cáceres «un nuovo fronte di lotta antifascista contro la violenza dell’eterocispatriarcato e del capitalismo».

La marea non sta chiedendo sconti per la festa della donna, non sta chiedendo mimose o scuse, pretende un riconoscimento, una tutela e la dimostrazione di un effettivo cambio di rotta del sistema eterocispatriarcale, capitalista e estrattivista e pretende tutto ciò ora, senza sconti.

Gallery Daniele Napolitano

Il video racconto della giornata di Patrizia Montesanti

La altre piazze

Gallery da Torino di Andrea Tedone

Gallery da Messina di Giordano Pennisi

Immagine di copertina di Daniele Napolitano