Stefano Cucchi, nuova perizia ma la verità giudiziaria non si avvicina (?)

Ne parliamo con il giornalista Checchino Antonini

Checchino Antonini è un giornalista e un compagno, fino alla chiusura è stato firma di punta di Liberazione, ora scrive su globalist.it . E’ stato Checchino a rendere pubblico il caso di Federico Aldrovandi, seguendolo passo passo assieme alla famiglia, e con la stessa passione civile e rigore professionale si è occupato e si continua ad occupare della storia di Stefano Cucchi che ieri ha visto una nuova puntata…

Ieri è stata depositata l’ennesima perizia sulla morte di Stefano, che cosa contiene?

Ci sono una serie di elementi molto contraddittori e, sostanzialmente, c’è il tentativo di escludere le botte dalle cause di morte. E’ la riduzione di un caso complesso di malapolizia innescato dall’ossesione proibizionista a un banale caso di malasanità. Non che non ci siano responsabilità della sanità penitenziaria, l’orrore del “repartino” del Pertini, ma il calvario di Cucchi restituisce la brutalità del sistema di prevenzione e di quello carcerario. Le periferie di Roma sono una prateria per le pratiche di fascisti, criminalità organizzata e repressione, con delle zone grigie dove questi mondi si incontrano e si rendono vicendevolmente omaggio. Non bisogna dimenticare l’opacità della città giudiziaria: all’udienza di convalida Cucchi arrivò con le carte sbagliate, risultava essere albanese, sei anni più vecchio e senza casa. Prova tu a sbagliare una virgola in un documento ufficiale e vediamo che cosa ti può capitare. Il pm del processo, che ha passato l’estate alla ricerca di una frattura pregressa nella storia clinica di Cucchi, è lo stesso protagonista di un’altra vicenda legata all’ossessione securitaria che ha soffocato la nostra città: è stato il titolare dell’indagine sullo stupro alla Caffarella, quella in cui fu sbattuto in prima pagina un rumeno assolutamente estraneo ai fatti. E ora questa vicenda della morte di Stefano, inquinata anche dalle ambigue conclusioni della commissione d’inchiesta del Senato sul servizio sanitario presieduta da Ignazio Marino. Anche allora si disse che sarebbe bastato un cucchiaino di acqua e zucchero per salvare Cucchi sorvolando sui sistemi in voga tra le guardie carcerarie e i corpi di polizia quando prendono in carico cittadini in stato di arresto o detenzione. Sorvolando sulle condizioni in cui Cucchi arrivò in tribunale dopo la prima misteriosa notte in guardina. Non era per la malnutrizione se non riusciva a stare in piedi!!

Cosa ti aspetti dall’udienza del 19?

Mi aspetto uno scontro tra periti. O, almeno, lo spero.

La storia di Stefano fa emergenre diversi elementi incontrovertibili: gli abusi come “sistema” e non eccezione da parte delle forze di sicurezza, lo stato di abbandono dei detenuti nelle strutture carcerarie e i danni del proibizionismo, la faciloneria con cui vengono confermate pene detentive in attesa di giudizio…

Esistono una macchina della paura e una della repressione. Probabilmente sono il surrogato delle politiche sociali e, forse, della politica tout-court. Sono il fronte interno della guerra globale, l’abbiamo detto molte volte, la risultante del nuovo modello di difesa introdotto dal centrosinistra (ricordiamocelo anche nel segreto dell’urna e nella vicenda pubblica della scelta degli alleati), sono l’altra faccia del neoliberismo. In questi anni, grazie alle battaglie “genovesi” e al caso Aldrovandi s’è sviluppata certamente una sensibilità diversa che inizia a dare risultati almeno in termini di connessione tra vertenze diverse di memoria, verità e giustizia. La tensione deve restare permanente, per una legge sulla tortura, per un codice alfanumerico, per la rimodulazione della formazione e del reclutamento delle polizie, per liberarci della necessità del carcere e dei Cie.

L’articolo di Checchino Antonini su globalist