ITALIA

Per una sorellanza transfemminista. Sugli ultimi attacchi alla comunità trans

Il corpo trans è un campo di battaglia sul quale, oltre a quello patriarcale, si esercita anche il sistema di potere capitalista. L’ unica speranza è la sorellanza transfemminista

Secondo l’eurodeputata tedesca dell’AFD Anderson, noi donne trans non siamo “vere” donne. Con buona pace delle teorizzazioni e delle pratiche femministe e transfemministe degli ultimi trent’anni, l’eurodeputata sembra sapere con certezza cosa sia una “vera” donna, quale sia la sua essenza immutabile. O, forse più verosimilmente, desidera ridurre la molteplicità esperienziale delle donne a un unico modello normativo, con un singolare che mette i brividi. A noi non è dato sapere; ma, dal momento che l’affermazione sottende se non altro una riduzione della donna al suo corredo biologico ‒ riduzione da sempre al servizio della narrazione cis-etero-patriarcale che vuole la “vera” donna rinchiusa nel domestico ad assolvere alla sua “naturale” funzione di caregiver in virtù del possesso di un utero –, tutto sommato potremmo anche accettare di non essere inclusә. Potremmo, ma significherebbe consentire a figure bigotte di monopolizzare il linguaggio, tracciando arbitrariamente i confini entro i quali si collocano i nostri variegati vissuti di donne – al plurale.

Essendo i nostri corpi degli obiettivi di colonizzazione, non possiamo abdicare al compito di nominarci come desideriamo.

Nonostante la malafede sostenga il contrario, infatti, il misconoscimento della nostra auto-nominazione non si riduce a una superflua questione linguistica, traducendosi invece nella negazione del libero dispiegarsi delle nostre vite.

Risale a circa due mesi fa l’ispezione al Careggi di Firenze, uno dei pochi ospedali sul territorio nazionale in cui allә giovani viene data la (salvifica) possibilità di accedere ai sospensori per esplorare senza sentimenti di urgenza la propria identità di genere. Chi ha deciso di effettuare il proprio percorso di affermazione di genere nella sanità pubblica sa quanto sia difficile trovare posti di questo tipo, e quanto sia importante incontrare persone ben formate che siano disposte ad accogliere senza giudizio le specifiche esigenze di una soggettività ritenuta anomala. Per quanto esistano spazi virtuosi – in cui lә psicoterapeutә ascoltano le nostre parole senza ventriloquizzarci e lә endocrinologhә le necessità del nostro corpo –, sono ancora pochissimi; mentre aprono reparti in cui vengono surrettiziamente perpetrate violentissime terapie di conversione. Invece di moltiplicare i primi, il governo ha preferito indossare una maschera minacciosa per imbonire il proprio elettorato trans-odiante, a detrimento del benessere psicologico dellә giovani – che vivranno nel terrore di un’interruzione coatta dell’assunzione di farmaci capaci di lenire la sofferenza legata allo sviluppo di un corpo non in linea con il proprio sentire.

A suscitare ulteriore rabbia sono le giustificazioni addotte, la pretesa paternalistica di difendere lә giovani mentre si impedisce loro di compiere scelte da cui potrebbe dipenderne la stessa sopravvivenza. Arrogarsi il diritto di ostacolare la libera espressione di sé rivela come sia il potere esercitato mediante il controllo ciò che si desidera, e non la protezione di persone perfettamente in grado di scegliere per sé. D’altronde, i continui atti di violenza ai danni delle soggettività trans non fanno che svelare il tentativo biopolitico di stabilire un controllo sui nostri corpi, considerandoli di volta in volta proprietà di qualcunә – come testimonia l’istituzione di un tavolo tecnico governativo finalizzato a discutere le linee guida dei percorsi di affermazione di genere in giovane età con un evidente intento di preclusione dell’accesso ai percorsi stessi, cioè di brutale restrizione di quella che dovrebbe essere la libertà di autodeterminarsi fisicamente e psichicamente.

Gli agenti del cis-etero-patriarcato – coloro che lo perpetuano – comprendono istintivamente quanto, discostandosi dalla norma e bloccandone dunque la riproduzione, i nostri corpi mutanti rappresentino una minaccia per il mantenimento del loro privilegio.

La morbosa attenzione con cui si producono norme che regolano la nostra forma di esistenza è l’ossessione del potere cis-etero-patriarcale verso lә streghә contemporaneә che si sottraggono al suo ordine. Se per funzionare il cis-etero-patriarcato ha bisogno del binarismo di genere, se ha bisogno, cioè, di fabbricare soltanto due soggetti, l’uomo e la donna, ai quali imporre due destini già codificati – uno dei quali di subalternità – legati attraverso la monogamia eterosessuale; allora i nostri modi di essere non addomesticati confondono i criteri di leggibilità mediante i quali si esercita il potere maschile. Sospetto che, oltre a odiarci come tuttә coloro che non riescono a subordinare, i machisti siano terrorizzati da noi; non solo perché, rifiutando un copione di genere stereotipato, incarniamo un tradimento di genere capace di distruggere la narrazione essenzialista dei generi e della presunta superiorità maschile mediante la quale il patriarcato si legittima; ma anche per una sorta di terrore identitario: le nostre vite rappresentano possibilità di esistenza e relazione alternative che fanno traballare le certezze di chi spreca la propria vita nell’automatica ripetizione di norme limitanti.

Dinanzi a soggettività anomale e indisciplinate che minacciano di scardinare gli assunti su cui si fonda il dominio maschile, al potere non rimangono che due strategie, entrambe orientate all’instaurazione di un controllo sul corpo volto a preservare il binarismo: la negazione e l’addomesticamento. La negazione, visibile ogniqualvolta la nostra esistenza venga misconosciuta, come nell’uso del dead name e del misgendering da parte dei media, oppure nella violenza agita sullә bambinә trans da parte di famiglie abusanti che sottopongono lә loro figliә a traumatiche terapie di conversione. L’addomesticamento, che, attraverso la narrazione del corpo trans come di un corpo malato – difettoso dalla nascita, bisognoso di essere paternalisticamente “aggiustato” e normalizzato/normato – mira a reinserirlo nel binarismo per salvare la presunta verità di quest’ultimo e riaffermare la superiorità del genere maschile su quello femminile. Qualsiasi tentativo di infantilizzazione che ci impedisca di scegliere liberamente il nostro percorso, di uscire dalla logica dicotomica maschile-femminile, qualsiasi sovradeterminazione rientra nel dispositivo di addomesticamento; ma anche la violenza sessuale, un atto di potere volto a ristabilire il dominio del genere maschile su quello femminile.

Le psicoterapie imposte mascherate da tutela, le diagnosi patologizzanti, la privazione di parola, le discriminazioni e i giudizi arbitrari, ogni forma di violenza fisica e psicologica, fino ad arrivare allo stupro e al transicidio sono tentativi di addomesticamento che mirano a riassorbirci nell’ordine maschile – tentativi che, spesso, uccidono veramente.

Sarebbe già abbastanza, se il corpo trans non fosse un campo di battaglia sul quale, oltre a quello cis-etero-patriarcale, si esercita anche un altro sistema di potere, quello capitalista. Il 12 febbraio con la Determina n. 93/2024 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la riclassificazione di Sandrena da farmaco di fascia A a farmaco di fascia C da parte dell’AIFA. Per chi lo ignorasse, Sandrena è un gel contenente estradiolo che viene prescritto a molte donne trans che hanno deciso di includere il trattamento farmacologico nel loro percorso di affermazione di genere. A differenza dei farmaci di fascia A – totalmente rimborsati dal SSN –, quelli di fascia C risultano a totale carico dellә pazienti. Contemporaneamente, ma in maniera nient’affatto sorprendente, il costo di Sandrena è più che raddoppiato, costringendo quelle donne trans che, autodeterminandosi, hanno deciso di portare avanti il proprio percorso di affermazione di genere nel privato a una spesa esorbitante, difficilmente sostenibile per moltә. Qualcunә potrebbe biasimare la scelta di sottrarsi al SSN, ma talvolta velocizzare i tempi del pubblico mentre il proprio corpo cambia è una questione di sopravvivenza; talvolta l’accesso alla sanità pubblica è un miraggio; talvolta si vuole semplicemente scegliere per sé.

Ciò che interessa sottolineare è come per queste persone non ci sia altra scelta che pagare, in quanto l’ordine cis-etero-patriarcale in cui tuttә noi siamo inseritә non fornisce alternative: adattarsi ai tempi, ai modi, e ai costi imposti dallo Stato per il percorso di transizione – accettare che il proprio percorso sia sorvegliato e guidato – oppure esporsi allo sfruttamento capitalista nel totale misconoscimento della propria affermazione identitaria. Sfruttamento che, a ben vedere, non risparmia neanche chi sceglie il pubblico: a tal proposito, è utile ricordare i costi della relazione di incongruenza di genere – praticamente obbligatoria per chi voglia iniziare la terapia ormonale e spera in un processo di riattribuzione anagrafica senza troppi intoppi.

Stabilendo un controllo sui nostri corpi mediante l’imposizione di un unico percorso di transizione possibile e negando qualsiasi percorso alternativo, il sistema cis-etero-patriarcale rende docili allo sfruttamento capitalista.

Sandrena è un salvavita psicologico, e come tale dovrebbe essere trattato. Ma ciò presupporrebbe un reale interesse nei confronti della vita e della salute psicologica delle persone trans. Ridurre l’accessibilità agli ormoni significa esporre le persone trans al rischio di un malessere pervasivo che può avere un tragico epilogo. Ma a chi interessa la salute delle persone trans?

Se a qualcunә interessasse realmente, allora non si fingerebbe di attribuire la sofferenza presente all’interno della comunità trans a presunti pentimenti o patologie psichiatriche, ma si guarderebbe in faccia la realtà, ammettendo che, oltre alla difficoltà di barcamenarsi in un sistema socioculturale come il nostro, le persone trans subiscono costantemente violenza anche da parte delle istituzioni. Basti pensare all’imposizione di un percorso patologizzante che, nei casi positivi, termina con una diagnosi in cui si dichiara la persona disforica, e in quelli negativi con il tentativo di conversione al genere prescritto alla nascita; ai continui slittamenti dei processi di riattribuzione anagrafica, che espongono le soggettività trans a crudeli abusi; all’esclusione dall’accesso lavorativo. Il contesto socioculturale che ingloba le nostre vite è reso ancora più instabile dal doloroso percorso a ostacoli che ci viene imposto per ottenere l’accesso alle terapie e il riconoscimento giuridico.

C’è chi, in malafede, vorrebbe utilizzare questi argomenti come deterrenti rispetto al percorso di transizione stesso, ma le soggettività trans sanno come transitare sia l’unico modo che abbiamo per attraversare il mondo. E, spesso, sanno anche come farlo a prescindere dal permesso delle istituzioni – alle quali bisognerebbe ricordare che la negazione della nostra esistenza non si risolverà mai nella nostra scomparsa. Dinanzi alla disumanizzazione e alla distruzione ecologica che si dispiega di fronte ai nostri occhi, non serve certo scomodare Judith Butler per affermare che la cosiddetta civiltà occidentale si fonda su un gesto di divisione della vita, la separazione fra forme di vita considerate portatrici di valore, e dunque degne di riconoscimento e di conferimento di privilegio (economico e sociale), e forme di vita che, discostandosi dalla norma(lità), vengono considerate inferiori e sacrificabili – e come tali sono narrate, significate e costruite nell’immaginario al fine di legittimarne il controllo, la subordinazione e lo sfruttamento.

La nostra società cis-etero-patriarcale e capitalista ha instaurato e riproduce costantemente una piramide sociale che vede al vertice il maschio bianco eterosessuale cisgender abile e ricco.

Contro il marchio di inferiorità che espone le nostre vite alla violenza, contro la preclusione della libertà di scegliere cosa fare del nostro corpo, l’unica fonte di speranza continua a risiedere nella resistenza agita dalla sorellanza transfemminista e dalle nostre parentele impreviste. Il 31 marzo è stata la giornata della visibilità trans. Una giornata da vivere con orgoglio, perché, nonostante tutto il letame che ci cade addosso, essere trans significa rubare una libertà che la società con le sue costrizioni di genere aveva ipotecato; rifiutare l’amputazione di sé in nome della libera espressione della propria identità con le sue emozioni. Significa amare la propria fioritura, abbracciando un’unicità scomoda e fastidiosa, che mette a disagio coloro che sprecano le proprie vite nella meccanica ripetizione di un copione già scritto. Significa vedersi cominciare a vivere quando si pensava di essere interiormente mortә, riscoprendo con gioia di avere un corpo.

Ma il 31 marzo non è che una data simbolica, proprio come l’8 marzo: per noi, per tuttә noi, ogni giorno è un normale giorno di lotta, perché quotidianamente siamo costrettә ad affrontare la cultura mortifera di una società gerarchizzante che ci vuole schiavә ubbidienti e rispettosә. Non ci resta che la resistenza transfemminista, fatta di condivisione di saperi e di strategie di sopravvivenza, ma anche di pratiche affermative e relazioni affettive; perché l’amore dellә compagnә può rivoluzionare già ora la vita di chi osa unirsi. Per quanto ci abbia invisibilizzatә, la storia non è mai riuscita a cancellarci. Dobbiamo lottare unitә, perché ci stanno privando di tutto, e si pentiranno di quanto poco da perdere ci stiano lasciando.

Immagine di copertina di Alisdare Hickson (Wikicommons)