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Sorveglianza speciale per chi ha partecipato alla rivoluzione del Rojava: intervista a Jacopo Bindi

Il nuovo teorema repressivo della Procura Torinese si accanisce contro attivisti che hanno accompagnato la lotta per la libertà in Siria del Nord: la decisione finale slitta al 25 marzo

La Procura di Torino ha chiesto la sorveglianza speciale per 5 attivisti che nei mesi scorsi hanno partecipato a diverso titolo alla esperienza rivoluzionaria del confederalismo democratico in Rojava. Abbiamo intervistato uno di loro, Jacopo Bindi, che più volte aveva raccontato la propria esperienza ad Afrin per Dinamopress. Gli abbiamo chiesto di raccontarci questa vicenda che parla di repressione e deliri persecutori, ma anche di tanta solidarietà e di necessità di continuare a costruire ponti con quanto accade in Siria,

 

Quando è perché è stata richiesta la sorveglianza dalla procura nei vostri confronti?

La sorveglianza speciale è stata richiesta dalla procura il 3 gennaio. Il 23 c’è stata la prima udienza ma non si è ancora arrivati a una conclusione. Tutto è stato rimandato al 25 marzo e in quella udienza si deciderà se verrà applicata o no. Se venisse applicata prevederebbe una serie di limitazioni fortissime della nostra libertà pur in assenza di un reato e di un processo. Chiedono l’allontanamento da Torino durante il giorno, la possibilità di rientrare solo di notte, la revoca della patente e una serie di altre limitazioni tra cui, tra le più gravi, quella di non poter incontrare più di 3 persone contemporaneamente. Questo annullerebbe il lavoro che noi cinque stiamo facendo: iniziative e conferenze per raccontare alla società italiana quello che accade in Siria e nei cantoni del Rojava, un lavoro fondamentale che non può essere interrotto. Per Davide diventerebbe impossibile presentare il libro che ha scritto sulla rivoluzione in Siria del Nord.

 

Quale strategia c’è, a tuo parere, dietro questa mossa della Procura?

Gli atti della richiesta di sorveglianza sono tutti centrati sulla nostra partecipazione a YPG e YPJ in Siria. Siamo accusati di aver avuto un addestramento militare che ci ha reso pericolosi per la società e ci sono centinaia di pagine che riguardano i video che abbiamo fatto dalla Siria, gli articoli scritti una volta tornati, le conferenze, il libro di Davide, insomma, centinaia di pagine che parlano di noi in Siria. Questo è un attacco contro noi cinque, ma in realtà contro tutti coloro che hanno dato la vita per combattere l’ISIS, cioè lo YPG e YPJ.

E’ una strategia tuttavia perdente, chi è andato in Siria a combattere l’ISIS è oggi ben visto dalla società italiana. Abbiamo avuto un insperato sostegno mediatico e politico. La posizione della procura è debole davanti all’appoggio che abbiamo ricevuto. La stessa città di Torino ha votato una mozione a nostro favore e a favore della rivoluzione in Sira del Nord. Tutto questo li ha messi in difficoltà.

La procura di Torino ha mostrato negli anni di odiare i movimenti sociali e chiunque la pensi diversamente da loro, dai NO TAV alle lotte cittadine, e pertanto pure chi va a lottare con YPG e YPG contro l’ISIS.  Quindi entra nella loro logica anche l’attacco nei nostri confronti. Usano la peggior ipocrisia per dire che cinque persone sono pericolose in Italia quando invece siamo andati anche per proteggere la società italiana dall’estremismo islamico.

Per la procura chi è stato in Rojava difendendo i valori che la rivoluzione esprime rappresenta una minaccia per tutti.

 

La reazione nel paese è stata buona, in particolar modo mi ha colpito la lettera dello zio di Valeria Solesin.

C’è stata molta solidarietà da tante parti d’Italia. E’ un tema che trova favore nella società. I politici hanno fatto propaganda sull’ISIS accusando tutti i migranti di essere potenziali terroristi. Ora cinque persone che lo hanno combattuto sono perseguitate: un fatto del genere spinge la gente a intervenire e esprimere solidarietà.

Ci ha fatto moltissimo piacere ricevere la lettera dello zio di Valeria Solesin, era giusto poco prima dell’udienza e ha avuto un bellissimo effetto su di noi.

 

Quali sono i prossimi passaggi che affronterete?

Il 25 marzo ci sarà una udienza determinante. Abbiamo fatto molto fino al 23 gennaio e ora tocca continuare. Continueremo con una logica: questo non è un attacco a noi ma alle forze siriane democratiche e allo YPG e YPJ. Vogliamo pertanto continuare ad andare in giro a raccontare la nostra esperienza, ascoltando cosa pensa la gente.  Riteniamo che sia il modo migliore per lottare. Lo dobbiamo alle persone con cui siamo stati in Siria, alla popolazione civile che abbiamo conosciuto. Allo stesso modo possiamo raccontare cosa ci ha spinto a fare quella scelta, è il modo migliore per rispondere politicamente a questi attacchi. Poi ci sono aspetti tecnici di competenza degli avvocati.

 

Viste le fonti che hai e le tue conoscenze, vuoi aiutarci a descrivere la situazione sul campo ora?

E’ importante ricordare che la guerra contro l’ISIS è ancora in corso. Ci sono ancora alcuni villaggi in mano agli uomini del califfato nella provincia di Der Er Zohr, dove si svolgono battaglie durissime perché i miliziani sono asserragliati nei villaggi e tengono in ostaggio i civili.

I compagni di YPG e YPJ stanno ancora combattendo, vengono ancora feriti e a volte muoiono per riconquistare questi terreni. Sono gli ultimi lembi di terra ma è molto difficile conquistarli. La situazione internazionale ha poi fatto sì che lo  stato Islamico potesse rialzare la testa. Quando Trump ha annunciato il ritiro delle truppe e la Turchia ha minacciato l’invasione della Siria, le forze democratiche si sono spostate a nord e lo stato islamico ne ha approfittato e ha compiuto controffensive violentissime, in cui decine di compagni hanno perso la vita.

Gli Usa hanno annunciato il ritiro delle truppe. La motivazione risiede nei grossi costi sostenuti dagli stati che stanno sostenendo le guerre in Medioriente. Inoltre nel 2019 sarà l’anno del contrasto all’Iran, secondo l’amministrazione Usa. Per attaccarlo gli USA devono legarsi alla Turchia che è alleato chiave nella regione.

Negli ultimi anni non è corso buon sangue tra Usa e Turchia, anche per l’appoggio Usa a YPG e YPG, inoltre Erdogan ha stretto rapporti con Iran e Russia per seguire i propri interessi. Questo ha creato un allontanamento della Turchia dagli Stati Uniti, ed un avvicinamento tra Erdogan e Putin.

Questa mossa di Trump aiuta invece a riavvicinare la Turchia anche se non è andata come il presidente Usa avrebbe voluto. Il ritiro non è ancora avvenuto e sarà lento. Avverrà, perché i preparativi sono stati fatti, ma c’è stata la necessità di discutere cosa implichi. La Russia non vuole che la Turchia entri troppo dentro il territorio siriano e perché sostiene bande jijadiste che lottano contro Assad.

È stata proposta, da Usa e Turchia, la creazione di una safe zone di 30 km dal confine turco-siriano. Dal punto di vista della rivoluzione non è accettabile perché ci sono le principali città, abitate dalla maggioranza kurda, e la Turchia ha mostrato di voler fare una pulizia etnica contro questo popolo. Inoltre reprimerebbe qualunque cosa sia legata alla rivoluzione confederale.

YPG e YPJ stanno facendo la loro proposta al governo di Damasco per ricostruire la Siria su basi diverse, democratiche e garantendo autonomia al nord del paese.

 

Tra due settimane un grande corteo attraverserà a Roma per chiedere la libertà per Ocalan, quale è il significato di questo corteo ora?

La situazione richiede di scendere in piazza. In Turchia la situazione repressiva peggiora giorno dopo giorno, ci sono proteste e scioperi della fame nelle carceri. In Iraq la Turchia sta cercando di fare operazioni contro il PKK ma nel mentre provoca danni alla popolazione civile con vittime e la popolazione civile insorge in protesta. La rivoluzione in Rojava è sotto assedio.

E’ il momento in cui le persone che credono nella libertà, nella solidarietà nell’amicizia tra i popoli scendano in piazza e dimostrino la propria vicinanza e opposizione in particolar modo alla politica della Turchia.