ITALIA

Solidarietà e lotta in difesa della terra: nasce la Cassa di Resistenza No TAP

L’11 settembre inizieranno i processi agli attivisti e alle attiviste del Movimento No TAP. Sono circa 100 le persone che andranno in Tribunale con a carico 260 processi per diversi reati, mentre nasce una cassa di resistenza solidale. Anche l’azienda TAP AG andrà a processo per inquinamento e abusivismo.

Le accuse mosse contro di loro sono manifestazione non autorizzata, violazione del foglio di via, invasione di terreni privati, oltraggio a pubblico ufficiale e violenza privata legata al blocco dei camion di TAP. Inoltre, sul movimento gravano 240.000 euro di multe. Parallelamente, anche l’azienda TAP AG, andrà a processo per inquinamento della falda acquifera e costruzione abusiva.

Si tratta di una delle lotte contro il fossile più importanti d’Italia, se non d’Europa, che nei prossimi mesi verrà processata per aver deciso di resistere alla devastazione ambientale e climatica, alla prepotenza delle forze dell’ordine, agli interessi geopolitici ed economici che TAP esprime.

 

Il conflitto che dal 2011, e poi dal 2017 con più forza, si è acceso sul territorio salentino mette a nudo tante delle contraddizioni della retorica delle istituzioni nazionali ed europee su cambiamento climatico, Green New Deal e riduzione delle emissioni climalteranti.

 

In primo luogo, svela l’ipocrisia di soggetti come la Banca Europea degli Investimenti (BEI) che – sotto le pressioni dei movimenti per la giustizia climatica – promette di tagliare i finanziamenti alle fonti fossili dopo aver elargito solo pochi mesi prima generose tranche di denaro pubblico a TAP (definito Progetto di Interesse Comune Europeo) e che continua oggi a finanziare progetti energetici che rientrano pienamente nello schema delle fonti fossili intorno alla quali le economie occidentali sembrano ancora girare.

In secondo luogo, la battaglia contro TAP ha sfidato e continua a sfidare la narrazione del gas come energia pulita e fonte di transizione verso le rinnovabili, funzionale agli investimenti nel gas fossile oggi al centro delle strategie energetiche nazionali ed europee.

 

Foto di Gianluca Rizzello

 

Nel Salento si gioca una partita politica epocale nella misura in cui questo incarna i tratti di un sistema estrattivista neoliberale e coloniale che – pur trovando espressione nei territori – ha una dimensione globale. Lo scontro che avverrà nella aule di tribunale è parte di questa partita tra chi difende la terra e chi vorrebbe imporre un modello economico ed energetico basato su profitti privati e costi economici, ambientali e sanitari ricadenti sulle comunità. L’esito di questi processi è dunque importante non solo per il Movimento No TAP ma per tutti i movimenti per la giustizia climatica.

 

Alle origini della repressione: il dissenso politico trattato come questione di ordine pubblico

La campagna contro la costruzione di TAP, parte del Corridoio Sud del Gas che collega i giacimenti di gas dell’Azerbaijan alla costa adriatica italiana, ha origini nel 2011-2012 quando il progetto della Commissione Europea di costruire una nuova “via della seta” che permetta ai paesi dell’UE l’indipendenza energetica dalla Russia inizia a divenire di pubblico dominio.

In questo disegno, l’Italia giocherebbe un ruolo centrale poiché sarebbe predisposta a diventare l’hub del gas europeo, collegando prima con TAP e poi con Rete Adriatica (700 km di metanodotto che attraversa 10 regioni italiane dalla Puglia fino all’Emilia Romagna passando per numerose zone con la più alta sismicità del paese e anch’esso oggetto di contestazioni), i bacini azeri con l’Europa centrale.

La protesta si accende e assume una connotazione popolare nel marzo 2017 quando TAP – pur in attesa di autorizzazioni – inizia l’espianto degli ulivi necessario per la costruzione del cantiere di San Basilio. In poche ore, centinaia e centinaia di persone raggiungono San Basilio per fermare il passaggio dei mezzi e, poco dopo, iniziano le prime tensioni con le forze dell’ordine, la cui presenza sul territorio cresce giorno dopo giorno. Anche la lotta si intensifica e dinanzi al luogo destinato a diventare un cantiere sorge il presidio No TAP che resta col fiato sul collo all’azienda e alle guardie, pubbliche e private, che la difendono.

 

Il controllo sul territorio diventa sempre più asfissiante e nella notte tra il 12 e il 13 novembre 2017 il governo Gentiloni dichiara l’area circostante il cantiere “zona rossa”. Le forze dell’ordine, capillarmente presenti a difesa degli interessi di un’azienda, vengono percepite dagli/dalle abitanti come forze di occupazione.

 

 

Questa esperienza di lotta cambia radicalmente la percezione che gli/le abitanti hanno dello Stato e delle Forze dell’Ordine e il solo fatto di attraversare i propri paesi o le proprie campagne diventa un reato per cui molt* a settembre verranno processati. In tutti questi anni, i governi nazionali che si sono susseguiti hanno scelto di ignorare l’opposizione sia di sindaci, Regione Puglia e Ministeri (come quello dei Beni Culturali) che hanno sollevato delle criticità riguardanti l’impatto sul territorio e i rischi legati all’infrastruttura, che quella popolare.

Le uniche risposte sono state l’accentramento dei poteri decisionali, che ha permesso di saltare tutta una serie di livelli di interlocuzione, e la repressione fisica e giudiziaria. Il dissenso politico espresso dalle comunità è stato trattato – come oramai avviene di prassi – al pari di una questione di ordine pubblico dinanzi alla quale predisporre non strumenti di dialogo ma di controllo e di punizione.

 

La solidarietà è un’arma! Nasce la Cassa di Resistenza No TAP

Questo territorio riassume molte delle contraddizioni che innervano il sistema estrattivista, un sistema che depreda le risorse e opprime le comunità, che lascia nocività e si porta via ricchezze, sogni e speranze di una vita migliore. La posta in gioco non è il pagamento di una multa per aver violato il daspo e nemmeno la condanna di TAP a pagare i danni per l’avvelenamento del territorio (per quanto indubbiamente necessario e importante), ma riguarda il futuro del sistema estrattivista.

 

Le sentenze che leggeremo potranno sancire delle condanne al Movimento No TAP oppure potranno essere un granello di sabbia – o forse anche qualcosa in più – nell’ingranaggio economico neoliberale che da sempre e da ogni latitudine ci ostiniamo a voler bloccare. Affinché questo avvenga, è importante la solidarietà di ognun* di noi.

 

 

Dal 30 giugno è stata lanciata da Gastivist – network europeo che si batte contro progetti energetici basati sul gas – e dal Movimento No TAP la Cassa di Resistenza No TAP per raccogliere fondi per la difesa di attivist* contro il gasdotto e per informare sui processi che si terranno.

In meno di un mese sono stati raccolti oltre 10mila euro e la solidarietà è stata molta. Talvolta, si ha la sensazione di essere disarmati e ininfluenti dinanzi a grandi multinazionali e grandi interessi economici e geopolitici. Ci si sente un pò – per riprendere una metafora – Davide contro Golia. Certamente il nostro nemico ha tanti tentacoli e quello della repressione giudiziaria è uno di questi. La solidarietà però può contribuire a piegarlo. A noi la sfida.

 

Immagine di copertina e foto nell’articolo di Gianluca Rizzello, corteo No Tap 15 agosto 2018.