ROMA

Se questo è un rave

La resa giornalistica della tragica vicenda di Francesco Ginese racconta in modo esemplare la malattia dell’informazione italiana. È sui fatti di cronaca, come sempre, che le licenze rispetto alle dovute verifiche che il mestiere del giornalismo esige vengono meno con più facilità: è sulle morti violente – di giovani e donne in particolare – che la ricostruzione può facilmente farsi fiction. È, infine, il giudizio etico, o meglio moralistico, a venire in primo piano sostituendo i fatti con un auto-proclamato dovere pedagogico nei confronti del popolo lettore. Morale e pedagogia che quasi sempre in questi casi si dimostrano docili strumenti in mano al potere per disciplinare e chiudere spazi di libertà e autonomia (l’intervento di Salvini sull’argomento ne è la testimonianza).

Il copione è sempre lo stesso, più o meno: si fa leva sulla curiosità morbosa e sull’immedesimazione; si costruisce un contesto fosco, licenzioso, illegale, violento; si mette su un processo sommario di stigmatizzazione e condanna e l’esorcismo contro il Male che ci minaccia si compie. Dai sabba delle streghe ai rave, il meccanismo narrativo, insomma, è sempre lo stesso.

È ciò che è successo puntualmente anche per l’incidente che è costato la vita a Francesco Ginese. Il ragazzo – 26 anni, originario di Foggia e da studente tra i fondatori del collettivo Link Bologna – era rimasto gravemente ferito venerdì notte tentando di scavalcare un cancello di cinta all’interno della città universitaria de La Sapienza ed è morto nel pomeriggio di domenica. La cornice narrativa l’ha preparata per tutti il Messaggero che per primo ha parlato di “rave” pubblicando un articolo nella notte tra sabato e domenica, mentre Francesco ancora lottava tra la vita e la morte. Il resto delle testate, quasi tutte, a cascata, hanno ripreso gli elementi chiave della storia: il rave illegale, il ticket d’ingresso e il business delle feste, le orde di giovani indifferenti e cinici che ballano fino all’alba.

Già ieri gli studenti di Sapienza Porto Aperto hanno chiarito in un comunicato alcuni punti essenziali. Ciò che a noi interessa, invece, è mettere in evidenza che chi ha scritto della festa all’università lo ha fatto non sulla base di notizie dirette o verificate ma ricostruendo premeditatamente uno scenario di pura fantasia. In fondo, prima di scrivere simili articoli si sarebbe potuto molto banalmente consultare il programma della due-giorni disponibile in rete, oppure, per i più scrupolosi, rivolgere semplici domande a chi ha partecipato all’iniziativa.

Su facebook, nei profili personali e nei commenti a vari articoli, tante ragazze e ragazzi stanno iniziando a dire come sono andate davvero le cose, raccontando il tipo di serata che hanno vissuto. In molti, per esempio, ricordano che non c’era alcun ticket da pagare ma una semplice offerta libera e che chi non ha potuto o voluto lasciare soldi, ha potuto comunque partecipare alla festa.

 

Cosa si è effettivamente svolto alla Sapienza?

Il 20 e 21 giugno nella facoltà di filosofia di Villa Mirafiori e nella città universitaria della Sapienza, a Roma, non è andato in scena alcun rave, ma un’iniziativa chiamata Sapienza Porto Aperto-Notte Bianca in cui si sono alternati dibattiti, perfomance e musica.

I rave possono piacere o meno, in ogni caso indicano una modalità di festa che ha delle caratteristiche molto specifiche. La parola non può in alcun modo essere utilizzata come un nome comune per indicare qualsiasi momento ludico. I rave durano 12, 24, 48 ore, o anche di più. Il suono viene diffuso attraverso potenti impianti, che spesso assomigliano a “muri di casse”. La musica tipica di queste feste è la tekno. Proprio per la loro durata e per la potenza degli impianti si svolgono in genere in luoghi distanti dai centri abitati o al massimo in grandi capannoni dismessi.

Giovedì 20, invece, nella facoltà di filosofia c’è stato un dibattito sul tema delle migrazioni negli spazi urbani dal titolo “Coesistenze nella metropoli”. Tra gli altri, sono intervenuti il progetto Baobab, la missione Mediterranea, l’esperienza di solidarietà di Ventimiglia 20k, la comunità eritrea di Roma. In serata nella stessa cornice si sono esibiti sul palco due gruppi live: i Mente Caustica Sound Project e gli Ayahuasca. Hanno suonato per un paio d’ore dal vivo, ritmi reggae e ska. Questo è un rave?

Venerdì, invece, l’evento si è spostato tra le mura della città universitaria. Lo spazio della festa comprendeva il viale che porta alla Minerva e quello antistante alla facoltà di lettere. Era effettivamente diviso in quattro punti in cui si svolgevano delle attività. Vediamo quali.

Primo. Tra la facoltà di fisica e la statua simbolo della Sapienza ragazze e ragazzi si sono esibiti in un live painting: hanno colorato dei pannelli. Contemporaneamente è andata in scena la mostra del “Movimento di emancipazione poetica”.

Secondo. Intorno alle 19 davanti alla facoltà di chimica sono iniziate due lezioni aperte di sport: muay thai e kickboxing. Studentesse e studenti hanno potuto praticare queste due discipline in maniera gratuita e aperta, con la presenza di insegnanti riconosciuti. Intorno alle 21 nello stesso spazio è iniziata una “roda de capoeira” dei Balanco do Mare e Soluna. Disposte a cerchio, le persone presenti hanno potuto ascoltare e danzare al ritmo delle musiche brasiliane suonate dal vivo, con gli strumenti.

Terzo. Su viale della Minerva dal tardo pomeriggio fino all’incirca a mezzanotte si sono alternati spettacoli di giocoleria e musica. Anche in questo caso non era presente alcun impianto e le bande e i musicisti hanno suonato gli strumenti che si erano portati da casa, allietando la serata dei tanti presenti. Così hanno fatto, ad esempio, i Pink Puffers Brass Zone con la potenza dei loro fiati.

Quarto. L’unico piccolo impianto di amplificazione di tutta l’iniziativa Sapienza Porto Aperto – Notte Bianca si trovava davanti alla facoltà di lettere. Qui dalle 10 si sono alternate diverse perfomance: come quella del collettivo artistico Cuercia, dell’attore Davide Grillo o del trio acustico Cantagallo. Intorno all’1 è un iniziato un dj set a cura di Mondo Cane che per poco più di un’ora ha messo musica funky e beat. Verso le 2.15 / 2.30 un ragazzo ha annunciato dal palco: «Purtroppo c’è stato un incidente e dobbiamo spegnere la musica. Vi chiediamo di lasciare l’università in forma tranquilla».

 

Un’iniziativa di questo tipo può in qualche modo essere definita un rave?

Ovviamente no. Farlo significa mentire in maniera spudorata e strumentale. Qualcosa che già dovrebbe essere estraneo alla deontologia giornalistica ma che con un ragazzo giovanissimo tragicamente scomparso provoca un enorme ribrezzo.

Il carattere pubblico di Sapienza Porto Aperto, come delle altre iniziative serali organizzate dagli studenti alla Sapienza, ne fanno eventi differenti dai rave. Ma spingere su questo immaginario è funzionale a enfatizzare la presunta pericolosità del loro carattere “illegale”. Operazione non semplice visto che varie generazioni di studenti prima di questa hanno vissuto aule e strade della città universitaria senza chiedersi se fosse necessaria o meno l’autorizzazione per farlo.

Infine, la più macroscopica delle falsità è quella sulla conclusione dell’iniziativa. Contrariamente a quanto riportato da il Messaggero e poi da altri giornali, l’iniziativa è stata interrotta e conclusa immediatamente dagli studenti stessi, con la collaborazione di tutti i presenti.

L’università è uno di quegli spazi di vita comune in cui la solidarietà e la compartecipazione si danno con immediatezza e in forme di condivisione collettiva. Questo tipo di disposizione anche affettiva, spesso presente nelle feste studentesche, lo è stata a maggior ragione stavolta, garantendo il sereno svolgersi degli eventi ma anche spegnendo la musica e interrompendo la festa quando necessario, condividendo e accogliendo l’appello per donare il sangue la domenica successiva, combattendo fino all’ultimo insieme a Francesco.

Utilizzare la morte, inaccettabile, di un ragazzo per colpire la comunità studentesca e cancellarne gli spazi di condivisione è una vigliaccata la cui legittimazione non può passare per verità. È una responsabilità di tutti fare in modo che non accada, che la macchina del fango si fermi, a partire dal racconto dei fatti che ognuno tra le centinaia di ragazze e ragazzi presenti venerdì alla Sapienza può fare.