ITALIA

Saudi’s Case: così l’Italia arma la guerra degli sceicchi in Yemen

Un’azienda italiana e l’Autorità della Farnesina che vigila sulla produzione e sulle esportazioni degli armamenti sono complici delle atrocità in Yemen. La denuncia alla Procura di Roma della Rete Italiana per il Disarmo.

«Il produttore di armi tedesco RHEINMETALL AG, la sua filiale italiana RWM SPA, e l’UAMA, l’Autorità del Ministero degli Esteri Italiano competente al rilascio delle autorizzazioni per l’interscambio dei materiali (esportazioni) e delle certificazioni per le imprese produttrici – sono complici di un attacco aereo che ha colpito una abitazione civile nel villaggio di Deir Al -Hajari, nello Yemen nordoccidentale, uccidendo un’intera famiglia di sei persone, tra cui una madre incinta e i suoi quattro figli». È la denuncia presentata alla Procura di Roma dalla Rete Italiana per il Disarmo (RID), insieme all’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) e alla Ong, Mwatana. Ed è anche ciò che è emerso durante l’incontro che si è tenuto oggi a Roma nella sede dell’Associazione della stampa estera: Responsabilità italiane nelle violazioni di diritti umani in Yemen”. Nell’esposto consegnato il 17 aprile scorso al pubblico ministero competente le organizzazioni chiedono di indagare sugli amministratori e i funzionari della società RWM Italia Spa, paventando complicità, quantomeno a titolo colposo, nei reati di omicidio e lesioni dolose. Non solo. Nella denuncia si chiede espressamente che vengano sottoposti ad indagine i funzionari ministeriali dell’UAMA, lamentando un loro presunto abuso d’ufficio. Ma al di là delle conseguenze giudiziarie, «il caso in questione evidenzia come le imprese produttrici e le stesse autorità governative europee influenzino i conflitti armati, rendendosi in tal modo complici di violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti fondamentali delle persone», dicono ancora dalla Rete Italiana per il Disarmo: «per questo abbiamo chiesto alla  Procura della Repubblica di Roma che si svolgano i necessari accertamenti sulle responsabilità penali dei dirigenti della società e i funzionari dell’UAMA per le condotte poste in essere».           

Crimini di una guerra saudita, con armi europee. È la notte dell’8 ottobre del 2016. Un attacco aereo sferrato da una coalizione militare di stati guidati dall’Arabia Saudita colpisce un’abitazione di civili, provocando la morte di sei persone, tra cui una donna incinta e i suoi quattro figli, nel governatorato di Al Hudaydah, nello Yemen nord-occidentale. Da quasi quattro anni sono l’orrore quotidiano per la popolazione yemenita, ma stavolta l’attacco avvenuto nel villaggio di Deir Al-Hajari è ben documentato, in quanto il giorno dopo alcuni osservatori membri della ONG Mwatana organizzazione yemenita per la pace si recano nei luoghi colpiti dall’attacco aereo, l’ennesimo atto atroce avvenuto senza chiare ragioni militari da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita Bahrain, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Marocco, Sudan. Sono loro gli Stati impegnati dal marzo del 2015 nel conflitto contro il gruppo Houthi e intenzionati a riportare al potere, a suon di bombe altamente tecnologiche e attacchi aerei (anche contro i civili inermi), l’ex presidente Abd Rabbu Mansour Hadi che è tuttora in esilio a Riad ( capitale dell’Arabia Saudita) dopo essere stato deposto appunto nel  marzo del 2015 dal trono yemenita. Per fare la guerra, gli Stati a sostegno della Monarchia del Golfo usano armi europee, italiane, in particolare; e la conferma giunge proprio da quanto rilevano gli osservatori della ONG Mwagtana poche ore dopo l’attacco aereo dell’8 ottobre del 2016. Infatti, dicono gli osservatori: «sul luogo dell’attacco aereo i resti ritrovati indicano che la tipologia di bomba utilizzata era della serie MK80, dotata di un sistema di guida, e proprio il codice di serie dell’armamento indica chiaramente che il prodotto è stato fabbricato da RWM Italia S.p.A., azienda italiana controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall AG ». Non è una novità, comunque. Già, dal maggio 2015, in diverse occasioni, i resti di bombe prodotte in Italia sono stati ritrovati tra le macerie di villaggi yemeniti dopo attacchi aerei sferrati dalla Coalizione di Stati a guida saudita. Nonostante, dunque, la Legge n. 185/1990 vieti espressamente l’esportazione di armi verso paesi in condizioni di conflitto armato, si continuano a vendere, per essere usate nella guerra in Yemen, bombe prodotte da RMW Italia S.p.A., azienda italiana controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall AG; e dallo stabilimento di Domusnovas, in Sardegna, dal 2015 partono sempre più numerosi i carichi di bombe pronte all’uso, direzione Arabia Saudita.

Ipocrisia yemenita «C’è una ipocrisia sconcertante, che si protrae a causa della mancata attuazione del regime normativo europeo sul controllo delle esportazioni di armi in relazione ai diritti umani». Dice Miriam Saage-Maaß, Vice Legal Director di ECCHR: «Le esportazioni di armi da parte dei Paesi europei favoriscono l’uccisione di civili, e sono gli stessi Paesi esportatori, poi, che forniscono aiuti umanitari alla popolazione colpita da queste armi». Attacca Radhya Al-Mutawakel, direttrice della ONG Mwatana, «La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha bombardato in Yemen anche scuole, ospedali, case, ponti, fabbriche. È molto triste che l’Italia stia alimentando questa guerra». Contravvenendo sia alla stessa legislazione italiana, sia alle disposizioni europee che definiscono norme comuni per il controllo delle esportazioni militari, conclude Francesco Vignarca, portavoce della Rete Italiana per il Disarmo.