editoriale

Sardine, sardine, sardine…

Ascolto per le Sardine e andarci in piazza. Poi si vedrà. Sperando in confluenze con altri e più solidi movimenti

Ma che casino queste Sardine, che schifo tanto il dileggio isterico di destra quanto i viscidi endorsement di “Repubblica”. Mica dobbiamo per forza “stare sul pezzo” a ogni stormir di fronda mediatico. Giustissimo, per carità, tuttavia di fronte a un fenomeno materiale, amplificato su stampa e web, ma di corpi in piazza, occorre fare qualche riflessione. Disincantata. Pragmatica. Cinica, al limite.

Vale davvero la pena di occuparci di Sardine quando in tutto il mondo dilagano riot moltitudinari e drammatici, dal Cile a Hong Kong, dal Medio Oriente ai Gilets JaunesGiusto, però, per disgrazia o per fortuna, siamo in Italia.

Ma possiamo paragonarli, per complessità di programma e grado di attivismo a Seattle, Genova, all’Onda italiana, alle primavere arabe del 2011, agli Indignados e a OWS di quel periodo? Assolutamente no, ma siamo nel 2019. Fine 2019. E nel frattempo, in vari modi, a quelle moltitudini sono state tagliate le gambe.

Ma forse che in Italia non ci sono movimenti ben più interessanti, combattivi e partecipati? I Fridays For Future, Non Una Di Meno? Sicuro, infatti è auspicabile che fra questi movimenti si stabilisca una qualche forma di condivisione e convergenza.

Sono manipolate le Sardine? La “spontaneità” pura è sempre un po’ mitica, però domandiamoci chi potrebbe manipolarli. In Emilia certo qualche connessione con la campagna elettorale c’è, ma visto che il 14 dicembre ci sarà una piazza a Roma per cui già sono annunciate parecchie migliaia di adesioni, domandiamoci chi potrebbe starci dietro: il M5S di Virginia Raggi? Il Pd fantasma di Casu e Morassut? Non diciamo cazzate, tutti insieme non raccatterebbero cento simpatizzanti. Le Sardine nascono dal fallimento, non da un complotto di quelle forze in agonia e naturalmente si portano dietro tutte le debolezze e i vuoti di un fallimento.

Diciamola tutta: risentono anche della sconfitta del ciclo di lotte no-global e post-Genova e del 2011 mondiale.

Tuttavia, in una situazione assai compromessa (a casa nostra) rilanciano frammenti di quei cicli, non riproducono gli equivoci dei girotondi, del popolo viola e dei meet-up grillini che, quelli sì, erano mossi da un Pd ancora esistente o da un M5S in fase nascente – due schieramenti che ora sono alla frutta.

Quindi perfino il canto di Bella ciao è un po’ diverso dalla fase anti-berlusconiana. Come in Cile oggi ricantare El pueblo unido, che un tempo portò male. Ricontestualizziamo sempre.

Ma lo hai letto il manifesto programmatico? Facciamo finta di no, imbarazzante. Ma è solo un’estorsione mediatica, un documento locale autopromozionale.

E tutta quell’aria da bravi ragazzi non è che mi piaccia. Ma cosa contano i miei gusti? Conta il fatto che alcune migliaia di persone – e speriamo sempre di più – sono scese in piazza su problemi di questa nostra disgraziata Italia, in parallelo e non in concorrenza con altre manifestazioni che hanno una storia internazionale e nazionale più corposa (Nudm) o sono la forma glocal di un’onda globale (FFF). E questo fa bene. Magari crescendo acquisiranno toni più energici e contenuti più articolati. Certo, trattandoli con sufficienza se non con ostilità non li aiuteremo a crescere e a collegarsi con altre istanze di lotte – quelle già indicate o le molteplici vertenze sindacali che spesso attingono allo stesso bacino generazionale e sociale.

Se sono illusioni e fuochi di paglia lo vedremo a stretto giro. È così strano immaginarsi che partecipandovi in massa ci sarà una trasfusione di temi e di forme di lotta, una transizione della giusta opposizione a Salvini a una battaglia più ampia contro il neoliberismo autoritario che oggi è la sigla di tutta la destra? Storicamente è già successo e quante volte abbiamo visto vecchi militanti scandalizzarsi per nuove leve di attivisti che fuoriuscivano dalle loro abitudini di pensiero e di azione. Spesso le nuove ondate erano futili, ma comunque i militanti coriacei ebbero torto.

Restiamo sul piano specifico senza divagare. È un po’ come per il trap (che però è roba più da FFF che da Sardine). Va preso per un fenomeno specifico e oggettivo, da non sottoporre a previa dissezione nei testi e nella qualità musicale. Come la mettiamo con Vasco e il Boss? E non parliamo dei Velvet Underground o di Jacques Brel. E i quartetti di Haydn, allora?

Peccato che non stiamo facendo la storia della musica, ma uno sforzo di decifrazione di sentimenti generazionali, di intersezione fra cultura pop, stati d’animo e reazioni contraddittorie al trend neoliberale.

Oggi non dobbiamo valutare i nuovi fenomeni come se fosse un capitolo decisivo del pensiero politico. È una cosa più modesta, solo un segnale che qualcosa si muove nella calma piatta italiana (a parte Nudm e FFF, ripetiamo sempre e con viva speranza). In certi casi non bisogna essere un meteorologo per capire che aria tira (do you remember? Spiegatelo anche ai trappologi), nel nostro caso serve ancora perché i segni sono fragili. Appunto, stiamo e state vigili, stay tuned.

Tutte le foto sono di Gianluca Rizzello