ROMA

A Roma sanzionata un’altra statua: «Rompere con il rimosso coloniale»

Attiviste e attivisti della Rete Restiamo Umani cambiano nome a via dell’Amba Aradam, dedicandola a George Floyd e Bilal Ben Messaud, e sanzionano la statua di un generale colonizzatore al Pincio.

La protesta globale contro i simboli del colonialismo e del razzismo arriva anche a Roma. Giovedì notte attivisti e attiviste della Rete Restiamo Umani hanno cambiato il nome di Via dell’Amba Aradam e di Largo dell’Amba Aradam e li hanno intitolati a George Floyd e a Bilal Ben Messaud, il primo è l’afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis, il secondo è il ragazzo tunisino morto in mare a Porto Empedocle mentre cercava di fuggire dalla nave dove era stato confinato, il 20 maggio scorso.

La Rete ha inoltre affisso tre mega poster lungo il perimetro della futura stazione della metro C Amba Aradam-Ipponio con su scritto «Nessuna stazione abbia il nome dell’oppressione». Nel frattempo, altre attiviste e attivisti, ricoprivano di vernice il busto di Antonio Baldissera, presente tra le statue degli italiani illustri al Pincio.

 

«In fermo sostegno alle e ai manifestanti che a partire da Minneapolis hanno riempito le piazze di decine di città del mondo per manifestare contro il razzismo strutturale e hanno deposto simboli di un passato coloniale rimosso, iniziamo ora a smantellare i simboli del colonialismo nella Capitale», dichiarano gli attivisti e le attiviste nel loro comunicato.

 

Via dell’Amba Aradam è una strada molto trafficata che congiunge Piazza San Giovanni a via Cristoforo Colombo. Lungo la via c’è la sede nazionale dell’Inps e l’ingresso principale dell’ospedale S. Giovanni. Amba Aradam però è il nome di una delle più orribili stragi compiute dall’esercito italiano durante la guerra coloniale contro l’Etiopia del 1936. Gli italiani massacrarono in quella battaglia più di 20.000 etiopi utilizzando, tra le altre armi, gas nervino proibito anche dalle convenzioni internazionali di guerra del tempo.

 

 

 

 

Come insegna nei suoi scritti Igiaba Scego, il colonialismo italiano è per lo più rimosso nella coscienza collettiva e pertanto una strage di queste proporzioni può essere oggi il nome di una via centrale di Roma, nonché un modo di dire giocoso per esprimere “molta confusione” e addirittura è il nome previsto per la futura stazione della metro linea C, intermedia tra San Giovanni e il Colosseo.

Antonio Baldissera invece, celebrato al Pincio come illustre italiano, era un generale capo delle truppe italiane occupanti l’Eritrea nel 1888, responsabile di stragi e violenze contro la popolazione locale.

«Appare evidente la necessità di riportare una narrazione storicamente veritiera del colonialismo italiano, delle brutalità compiute da uomini che ancora oggi le nostre istituzioni continuano a celebrare come grandi personaggi che hanno plasmato la cultura di questo paese, rimuovendo la verità sulle violenze e gli stermini compiuti dagli italiani in Africa», dichiara la Rete Restiamo Umani nel suo comunicato.

 

La Rete ha scelto di intitolare le vie a George Floyd e Bilal Ben Messaud, per sottolineare il filo rosso che lega il razzismo istituzionale statunitense e italiano, e quindi lega la violenza della frontiera che ha determinato la morte di Bilal con l’abuso di potere poliziesco che ha soffocato George.

 

Secondo gli attivisti non si può manifestare o stupirsi per quanto accade negli Stati Uniti se non si agisce contro il razzismo profondo che avvelena il nostro paese e che si manifesta in mille modi, dagli abusi polizieschi alle leggi sicurezza tuttora vigenti e intoccate, dalla mancanza di riconoscimento della cittadinanza ai nati in Italia fino allo sfruttamento dei braccianti nelle campagne del Sud.

Il razzismo, raccontano le partecipanti all’azione, in Italia è legittimato e rafforzato tramite la rimozione sistematica del passato coloniale, una rimozione che permette di percorrere via dell’Amba Aradam assuefatti e anestetizzati. A causa di quella stessa rimozione si è costruita una statua dedicata a un razzista stupratore come Montanelli, e oggi la si difende a spada tratta da tutte le colonne della stampa italiana perché altrimenti «si mettono a rischio i nostri valori», come ha scritto il “Corriere”.

Il 2 giugno scorso, la Rete Donne Migranti e Figlie aveva compiuto una azione simile davanti all’obelisco che ricorda la battaglia di Dogali, nei pressi della stazione Termini.

La Rete promette che l’azione di questa notte è solo l’inizio di una campagna di pressione per togliere tutti i simboli che inneggiano al passato coloniale e per cambiare da subito il nome della futura stazione della metro C e invita collettivi singoli e società civile di Roma a unirsi in questa battaglia che anche in Italia ha non solo un potenziale simbolico enorme ma pure un impatto immediato nell’immaginario e nel discorso pubblico.