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Rifiutare il collasso

Alice in Borderland e Sweet Home, serie tv presenti su Netflix, affidano entrambe alla figura del hikikomori, del ritirato sociale, il compito di combattere il collasso del mondo.

Che Squid Game sia un precipitato della società della competizione e una sua critica feroce, appare chiaro. Ci sono altre due serie coreane, su Netflix, che appaiono ancora più radicalmente critiche nei confronti della società della prestazione. Una basata sui survivor games, meno fumettosa e più interessante, Alice in borderland, e adesso una apocalittica, Sweet home. La cosa interessante è che in ambedue è centrale la figura di un hikikomori, un ritirato sociale. Che prende in mano la situazione e si propone per la salvezza di tutti. Proprio perché estraneo alla logica di un mondo che ha rifiutato radicalmente, è in grado di tracciare una strada per la salvezza.

Il ritiro sociale infatti è legato a richieste prestazionali particolarmente marcate e a una forma di protezione dall’angoscia data dallo sguardo dell’altro puntato addosso. Il terrore dello sguardo incombe giudicante sull’adolescente, che prende rifugio nell’intimo della sua camera, la sua nicchia ecologica di sopravvivenza e, molto spesso, nell’ambiente virtuale della rete. Ci si chiude nella propria caverna – ma, attenzione, una caverna da dove si vede il mondo – per far fronte allo smisurato sentimento della vergogna che prende davanti allo spettro dello sguardo altrui. La vergogna – sentimento che nell’epoca di Narciso ha sostituito il senso di colpa – erompe con esiti distruttivi a fronte del senso di fallimento e di inadeguatezza per le richieste performative a cui si è sottoposti prima dai genitori e poi dalla scuola.

Se per la generazione precedente i sintomi ansiosi e depressivi erano sempre più sollecitati dall’affermazione della cultura prestazionale, per la generazione di adolescenti cresciuti in una società totalmente prestazionalizzata il senso della vergogna sociale e l’incubo del fallimento sono onnipresenti – e in alcuni si mostrano in questi esiti estremi, in un romitaggio parasuicidario nella propria camera.

Se è vero che nel corpo dell’hikikomori precipitano le contraddizioni della società della prestazione, allora non può che essere lui a portare a compimento quella ribellione muta, implicita e fallimentare che aveva preso corpo nel suo ritiro. Chi aveva rinunciato volontariamente alla parola, decide di parlare, e parla per tutti. Chi aveva rinunciato all’azione, agisce per conto di tutti. In Alice in borderland la figura dell’hikikomori è speculare a quella di una ragazza altrettanto estranea alla società, che ha vissuto nei boschi e le rocce, e legge Thoreau. Ambedue, dalla loro postazione romitica, di estraneità assoluta, sanno orientarsi meglio degli altri nell’inferno di una città deserta come in Alice in borderland (e suona speculare quel che, in Sweet home, il doppio mostrificato dice all’hikikomori: «Volevi che sparissero tutti!») o in un condominio assediato dai mostri come in Sweet home.  Nel collasso totale, a condurre il gioco è chi già aveva assunto su di sé il collasso sociale e, ripartendo da una minima comunità di affetti, l’hikikomori può procedere verso la salvezza, combattendo i propri mostri, che sono quelli di tutti.