MONDO

Realismo politico e rivoluzione: una prospettiva femminista

Di cosa parliamo quando parliamo di rivoluzione? Una riflessione sul recente ciclo di lotte come rilancio dell’antagonismo politico a partire dalla rivoluzione femminista.

In Cile, ma non solo, gli slogan e le pratiche dello sciopero femminista entrano in azione nell’ambito di un processo di sciopero generale plurinazionale.  Chi ha detto che c’è più spazio per la rivoluzione?

Scrivo queste parole mentre il Cile è in fiamme grazie a una spettacolare insurrezione studentesca, mapuche, popolare e femminista che ha ribaltato lo scenario prediletto del neoliberismo in America Latina fin dai suoi inizi nel 1973. Potrei riflettere su questo tema anche a partire dalle recenti proteste in Ecuador, quelle che stanno avvenendo ad Haiti o quelle che alcuni mesi fa hanno fatto tremare Puerto Rico, solo per rimanere da questa parte del globo.

 

Con questo contributo propongo una riflessione sul recente ciclo di lotte come rilancio dell’antagonismo politico a partire dalla rivoluzione femminista.

 

Ancora una volta la sfiducia rispetto all’uso della parola rivoluzione è un sintomo del suo uso limitato a certi episodi storici e ratifica la sfiducia per il presente, che si traduce nell’insistenza sull’impossibilità che il presente possa essere all’altezza di un modo storico specifico di dispiegarsi della rivoluzione.

Situarmi nelle rivolte che stanno avvenendo e nella dinamica del processo politico dello sciopero femminista transnazionale degli ultimi anni (in più di cinquanta paesi, un processo che non si limita alla geografia occidentale) significa rivendicare un realismo rispetto all’uso di questo termine. La rivoluzione femminista di questi tempi mette in discussione il proclama della fine della rivoluzione che, basato sulla fede nella sconfitta, finisce per pacificare e dequalificare tutto quello che esiste come dinamica di disobbedienza, rivolta e cambiamento radicale.

 

Di quale rivoluzione parliamo? La rivoluzione dei corpi, nelle strade, nei letti e nelle case permette situare questi conflitti e proiettare il punto di arrivo di questa lotta, ben espresso dallo slogan: “vogliamo cambiare tutto!”

 

Il desiderio di rivoluzione, vissuto a partire dal realismo di un vero e proprio terremoto che coinvolge le relazioni sociali che vengono così alterate in tutti gli spazi a partire dalla radicale messa in discussione dell’esistente e dall’insubordinazione, afferma che il tempo della rivoluzione è adesso (e non un lontano obiettivo finale).

Vediamo quel che è accaduto in Cile: gli slogan e le pratiche dello sciopero femminista si estendono a livello di massa come sciopero generale plurinazionale. Si tratta di una accumulazione di esperienze che ha saputo cambiare i tessuti delle lotte, i loro modi di organizzarsi, le loro formule politiche, le alleanze storiche.

Tutto questo viene espresso dalle scritte sui muri. Faccio due esempi: «Ci devono una vita», come sintesi per invertire la relazione definita dal debito, di chi è debitore rispetto a chi, scritto sui muri delle banche nel paese dei Chicago Boys, con l’indice di indebitamento pro capite maggiore in tutta la regione. A fronte dell’aumento del costo della vita quotidiana, ovvero dell’estrazione di valore da ogni momento della riproduzione sociale, si propone una disobbedienza finanziaria con lo slogan pratico di #EvasioneDiMassa.

Il secondo esempio di un murales-sintesi è: «Poliziotto, fascista, tua figlia è femminista», che mira a una profonda destabilizzazione patriarcale a cui il fascismo dei nostri giorni risponde come reazione al tempo stesso micropolitica e strutturale.

In questa ampia sequenza, che si ispira al Cile come scenario particolarmente significativo, possiamo rimettere in gioco il concetto di Rosa Luxemburg di Realpolitik rivoluzionaria. Entrambi questi piani non vengono sperimentati come contrapposti:  riforma o rivoluzione non appaiono come coordinate che dividono l’azione. C’è una simultaneità di temporalità che non funziona come disgiunzione: si compongono rivendicazioni specifiche relative a malesseri quotidiani con uno slogan che dice “vogliamo tutto”.

Mi interessa sottolineare questa doppia temporalità perché, nella misura in cui si tratta di una simultaneità e non di una sequenza progressiva, ci permette sviluppare una critica radicale del capitalismo neoliberale e una ridefinizione della nozione di totalità.

Si tratta di un rifiuto concreto e contundente  dei molteplici spossessamenti e delle nuove forme di sfruttamento con cui il capitale muove alla conquista delle nostre vite, con una battaglia lungo ogni frontiera in cui oggi si da lo scontro corpo a corpo (dal debito domestico alla precarizzazione, dal neo-estrattivismo e le sue zone di sacrificio alla militarizzazione, dalla criminalizzazione delle frontiere alla produzione di nemici interni).

 

Quando il movimento femminista diventa un femminismo di massa, come accaduto negli ultimi anni, diventa una risposta ai modi filantropici e paternalisti con cui si vorrebbe risolvere la precarietà, imponendo modalità conservatrici e reazionarie di soggettivazione basate sulla paura.

 

Realismo politico rivoluzionario è dunque un modo di connettere le trasformazioni quotidiane con l’orizzonte di cambiamento radicale, un movimento di qui e ora, di mutua imbricazione, in una politica dal basso. Cosi, la teleologia dell’obiettivo finale viene spiazzata, non perché smetta di esistere o venga indebolita, ma perché entra in una relazione temporale altra con la politica quotidiana, impregnando di politica rivoluzionaria ogni azione concreta e puntuale. L’opposizione tra i due ambiti diventa cosi complementarietà nei termini di una radicalizzazione politica concreta che il femminismo sta portando nelle strade, nei letti e nelle case.

Ancora: crea una temporalità strategica che è il dispiegamento del tempo presente del movimento. Riesce ad agire nelle contraddizioni esistenti senza attendere che appaiano soggetti assolutamente liberati piuttosto che le condizioni ideali per le lotte, senza nemmeno riporre la fiducia in un unico spazio capace di rappresentare la totalizzazione della questione della trasformazione sociale.

In questo senso, fa appello alla potenza di rottura di ogni azione e non limita la rottura a un momento finale e spettacolare nell’ambito di una accumulazione strettamente evolutiva. Questo implica un altro spessore della nozione di femminismo come rivoluzione quotidiana, perché si contende il modo in cui l’orientamento di ogni crisi si determina a partire da pratiche concrete e, da questo punto di vista, ci consegna una prospettiva preziosa per la politica femminista. Una politica che non può situarsi al di sotto della pragmatica vitalistica, del desiderio di rivoluzionare tutto e per questo stesso motivo con capacità di reinventare il realismo. Un realismo politico rivoluzionario.

 

Pubblicato su: Revista Contesto – Ctxt. Traduzione in italiano: Alioscia Castronovo per DINAMOpress.

Foto di copertina: @JoseMiguelAraya. Manifestazione in Cile.