MONDO

Quando emigra un’italiana

Elisa è una delle tante italiane all’estero, una “migrante economica” come piace definire alla stampa le persone che non fuggono da guerre. Questo è un breve ma significativo racconto del suo ultimo attraversamento della frontiera argentina.

Oggi sono rientrata in Argentina da “turista” dopo essere uscita alcuni giorni fa. Si tratta di una piccola éscamotage che molte persone straniere che vivono nel Paese adottano per evitare di chiedere permessi di soggiorno e complicarsi la vita con la burocrazia.

Funzionario: “Signorina, si è fatta scadere il visto, ora se decide di tornare o restare deve rifare tutta la trafila amministrativa”.

Io: “Eh già, ma tanto in Italia per un pochino ci sarei dovuta tornare comunque”.

Funzionario: “Vabbeh, ma poi tornerà qui, vero? È stata bene spero… decidono così tanti di restare alla fine”.

Io: “Certo, penso che, almeno per un po’, vivrò in questo Paese”.

Funzionario: “Ah, bene. Mia nonna era italiana, mio nonno invece armeno. Mi piacerebbe andarci un giorno, in Italia. Beh, buone ‘vacanze’ in Argentina allora, faccia buon viaggio”.

Io: “Grazie a lei e buona giornata”.

Cammino verso il bagno all’altro lato della frontiera pensando ai titoli giornalistici di questa mattina, di ogni mattina, alle “emergenze” che spacciano i giornali di oltreoceano, su un fenomeno migratorio che di nuovo, rispetto allo scorso anno, non ha proprio nulla. Penso alle morti in mare, alle promesse di occuparsi con straordinaria solerzia di aiutare gli Stati dell’Africa centrale a militarizzare le proprie frontiere. Alla distinzione artificiale tra chi cerca una vita nuova lontana dalla fame, le malattie o la siccità, chi scappa dalle bombe o chi magari vuole semplicemente potersi muovere liberamente.

Al brivido di disgusto che provo a dover spiegare ai miei attuali amici e compagni che in Europa non per loro non sarà facile restare più di tre mesi: inutile che facciano programmi, come noi siamo abituati a fare qui, su un viaggio di un anno per darsi tempo di ammortizzare i costi e conoscere persone e luoghi con la giusta calma. Alla tranquilla leggerezza di saltellare di qua e di là dalla frontiera si sostituisce passo dopo passo l’eco di una eredità di cui mi sento responsabile: bianca, europea, italiana per la precisione.

Ci sono momenti come questo in cui, di fronte a questa immagine della ristrettezza fisica, linguistica, culturale, musicale, visivamente un po’ slavata che vedo riflessa allo specchio mentre mi lavo le mani, per un attimo, mi viene una gran voglia di sprofondare nella vergogna.