EUROPA

Quali edifici sono stati bruciati durante le rivolte di Nantes?

Il 3 luglio 2018 nel quartiere del Breil, a Nantes, Aboubakar Fofana, 22 anni, viene fermato per un controllo stradale da due CRS (celerini francesi). Perderà la vita di lì a pochi minuti, per uno sparo che lo ferisce mortalmente alla carotide. La versione del poliziotto incriminato parla inizialmente di “legittima difesa”, poi viene corretta con un “colpo accidentale”. Entrambe le versioni sembrano smentite dai video di alcuni testimoni.

La morte di Aboubakar genera diverse notti di scontri a Nantes (e anche in misura minore a Garges les Gonesses, periferia di Parigi, dove Aboubakar è nato). Ho provato a dare una lettura di queste notti di scontri e di alcuni dei motivi delle violenze, attraverso gli edifici che sono stati colpiti.

 

 

Getto di una bomba molotov contro il commissariato nel quartiere di Saint-Herblain.

Non è difficile spiegare perché un commissariato venga attaccato. Nei quartieri popolari la polizia francese si comporta come una forza di occupazione. In particolare a Nantes, molti testimoni intervistati dopo l’omicidio parlano del clima che si respira negli ultimi mesi, da quando le forze di polizia sono state incrementate: controlli continui, specialmente sulla popolazione non-bianca, controlli spesso accompagnati da modi minacciosi o derisori. Ma questa città non è una mosca bianca: in Francia né in Europa, l’uso arbitrario dei poteri di polizia e l’impunità sono una costante. Pochi giorni prima dell’omicidio di Aboubakar, un poliziotto ubriaco aveva forzato un posto di blocco da ubriaco con la propria macchina, per lui 4 mesi con la condizionale, per Aboubakar (che forse provava a scappare, senza aver ferito nessuno) la pena di morte.

 

 

Un edificio annesso al tribunale nel quartiere di Dervallier.

«La police assassine, la justice acquitte», cioè «La polizia uccide, la giustizia assolve», è uno slogan intonato spesso dai movimenti contro le violenze di polizia e contro il razzismo di stato. Una frase che fotografa un colladauto meccanismo, alla violenza poliziesca fa da contraltare un sistema giudiziario complice. Lo stato francese non tiene statistiche ufficiali e moltissimi casi di violenza non vengono nemmeno denunciati, ma un’inchiesta recente, che analizza i casi tra il 2010 e il 2016, riporta che ogni anno tra i 1200 e 1400 poliziotti vengono denunciati per violenza. Questo si traduce in sole 50 condanne all’anno, di cui la metà prevedono pene di prigione. Solo in un caso la pena non è stata sospesa. Persino il poliziotto che ha ucciso Amine Bentoutsi sparandogli alla schiena, caso reso famoso dal collettivo «Urgence Notre Police Assassine», è stato condannato a 5 anni ma non ha fatto nemmeno un giorno di prigione. D’altra parte, delle quasi 20mila denunce annuali per «infrazioni contro forze dell’ordine» (la metà per “oltraggio”), il 50% termina con una pena di imprigionamento resa immediatamente effettiva.

I poliziotti responsabili della morte di Adama Traoré, ucciso il 19 luglio 2016 nel commissariato di Beaumont sur Oise (Parigi), non sono ancora stati messi sotto inchiesta, mentre 5 fratelli di Adama sono in carcere senza prove concrete a loro carico, in un vero attacco politico al Comitato che lotta per ottenere verità e giustizia. Per questi motivi il prossimo 21 luglio è indetta una grande marcia proprio a Beaumont sur Oise, un evento che si annuncia storico.

 

 

Un edificio municipale del comune di Nantes nel quartiere di Dervallières dato alle fiamme.

La sindaca Johanna Rolland, del Partito Socialista, lavora da mesi a stretto contatto col ministero dell’interno e col primo ministro: in particolare per organizzare lo sgombero della ZAD di Notre-Dame-des-Landes e per implementare un piano di pattugliamento speciale dei quartieri popolari della città. Nessuna sorpresa quindi, che gli edifici del comune siano presi di mira… e che lo sia anche la vettura personale della Rolland, andata in fumo durante la terza notte di scontri.

 

 

Bruciata la facciata del liceo Leonardo da Vinci nel quartiere della Bottière.

L’attacco agli edifici scolastici solleva generalmente il biasimo di molta sinistra bianca francese, anche quella critica verso l’operato della polizia. In realtà gli incendi delle scuole rispondono al sentimento diffuso che queste istituzioni siano uno strumento di controllo sociale e di marginalizzazione. La polizia entra spesso dentro gli istituti nei quartieri popolari, con la complicità delle presidenze. Tutt’altro che un luogo di emancipazione, la scuola è ad esempio un luogo di riproduzione delle retoriche razziste: la legge del 2004 che vieta di portare il velo a scuola è uno dei principali casi di islamofobia di stato.

 

Incendiata la biblioteca associativa del quartiere Malakoff

Anche in questo caso a essere colpita è un’istituzione che dovrebbero fornire un servizio, addirittura un luogo “liberamente utilizzabile”. La sindaca Rolland è corsa a farsi fotografare davanti all’edificio bruciato, per cercare di cavalcare la (poca) indignazione.

Ma oltre il “servizio”, nel caso delle biblioteche nazionali parliamo di luoghi che vengono innestati dall’alto su un territorio, spesso in corrispondenza di una ristrutturazione o una riqualificazione e sono disconnessi dal suo tessuto reale. Le banlieue francesi sono da mezzo secolo territori con diffuse dinamiche di conflitto nei confronti delle istituzioni, con una storia di educazione popolare radicata nelle lotte degli immigrati (e dei loro discendenti) dalle colonie. I centri culturali e le biblioteche sono una risposta a questa specificità, dei presidi culturali della Repubblica in territori potenzialmente ostili. «In questo contesto la biblioteca pone una questione di principio che dice “lasciateci fuori dagli spazi di conflitto”, si presenta come un rifugio di pace, ma non è strano se a volte le onde conflittuali che attraversano i quartieri popolari arrivano a toccare la biblioteca per chiedere: “Sei la nostra biblioteca o la loro? Chi decide del budget e dei libri presenti? Siamo noi, gli abitanti del nostro quartiere, o voi, che ne traete un profitto?”» [Da un’intervista a Denis Merklen]

 

 

Bruciato un polo dell’impiego.

Secondo un’inchiesta del 2016, il tasso di disoccupazione nelle periferie francesi è al 26,7%, contro un tasso medio del 10%. Un semplice dato fotografa una separazione radicale. I centri dell’impiego in Francia erogano il sussidio di disoccupazione e accompagnano nella ricerca del lavoro, sono cioè quei luoghi che riproducono una specifica disciplina sociale, che gestiscono questa divisione interna al paese, e che impongono un filtro burocratico a ogni sussidio. L’esperienza della trafila al Pole Emploi è spesso descritta come umiliante e alle entrate dei centri si trovano bodyguard addetti alla sicurezza incaricati di gestire la situazione nei casi più complicati. Un altro avamposto di quello Stato visto come un occupante.

 

Tagliato con un flessibile il palo di una telecamera di sorveglianza, che poi è stata bruciata.

A volte le parole sono semplicemente superflue e un gesto racchiude tutta la gravità di un’oppressione e tutta la forza della resistenza. Foucault non era francese per caso: il panopticon da lui immaginato come modello dell’istituzione moderna, trova certamente una concretezza estrema nell’esagono di oggigiorno.