Pubblicità d’azzardo

Da Pavia un contributo su media e gioco d’azzardo, tra giornalismo investigativo e immaginario pubblicitario.

Una premessa di metodo: il punto di vista di chi scrive è quello di uno studente dell’ultimo anno di Giurisprudenza e di un attivista antimafia. Soprattutto è quello di un osservatore del modo in cui i media parlano degli argomenti che di volta in volta decido di studiare.

In queste righe voglio gettare un rapido sguardo al racconto mediatico del gioco d’azzardo da parte del mondo dell’informazione da un lato e da parte di quello dell’intrattenimento dall’altro. Passerò in rassegna alcune inchieste giornalistiche e la realtà che ci hanno mostrato, poi sposterò l’attenzione sul modo in cui funzionano le campagne pubblicitarie legate all’azzardo.

Da circa tre anni a questa parte, è molto cresciuto il numero di pubblicazioni, articoli, libri e programmi televisivi dedicati al tema. Qualche dato: nel 2011, il programma di Raitre Report se n’è occupato in due puntate, quelle dell’8 maggio e del 30 ottobre. È stata la trasmissione di Milena Gabanelli a portare alla luce, almeno per il pubblico televisivo, i rapporti tra l’imprenditore Francesco Corallo (tempestivamente resosi latitante) ed i clan ‘ndranghetisti dei Condello di Reggio Calabria e dei Valle-Lampada, che spadroneggiano nella provincia di Pavia. Francesco Corallo è il maggiore azionista della Bplus, che prima si chiamava Atlantis, cioè l’impresa che fino al settembre di quest’anno sarà titolare della concessione sulle slot machines legali, quelle che dovrebbero essere collegate al centro di controllo dei Monopoli di Stato. Corallo ha avuto rapporti anche con un esponente del Pdl, Amedeo Laboccetta (fino a quest’anno in Parlamento, ma non più rieletto a febbraio) e con Massimo Ponzellini, uno dei giganti del mondo finanziario italiano, ora indagato per una serie di reati che comprende la corruzione ed il finanziamento illecito ai partiti.

Sempre nel 2011, Giovanni Tizian pubblica il libro Gotica (‘ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea). Il giornalista racconta gli investimenti delle mafie nel gioco d’azzardo, spiegando in che modo i clan prima si infiltrano e poi mantengono il controllo sul territorio emiliano. Tizian coglie talmente tanto nel segno che la sua inchiesta gli fa guadagnare quello che qualcuno si ostina a definire come una specie di status symbol: la scorta. Immediatamente dopo la pubblicazione di Gotica, infatti, un boss, intercettato al telefono, lo minaccia di morte, perché ha toccato un nervo scoperto negli affari della ‘ndrangheta. “O la smette o gli sparo in bocca”, dice.

Lo scorso anno, varie testate – la rassegna stampa va dal Fatto a Famiglia cristiana– celebrano Pavia con appellativi che, a seconda della fantasia del titolista, spaziano da “la capitale del gioco d’azzardo” a “la Las Vegas d’Italia”. Pavia ha il poco lusinghiero primato nel rapporto tra numero di macchinette installate e numero di abitanti. Una slot ogni 110 persone, dati di fine 2012.

L’elenco potrebbe continuare: il programma di Italia1 Le Iene sta dedicando parecchi servizi all’argomento negli ultimi mesi.

Mi sono volutamente mantenuto in ambito mainstream: ci sono poi associazioni locali che producono una quantità enorme di documentazione utile.

Questa massa ingente di informazioni è accessibile a tutti. E non da ora. Basta una ricerca su Google. Nonostante ciò, alcuni rappresentanti delle Istituzioni, a vari livelli dell’amministrazione, hanno atteso prima di mobilitarsi. Non che ora il loro attivismo sia sgradito, ma è occorsa una serie di iniziative “dal basso” perché ciò accadesse. Su questo punto è necessario innescare uno sguardo critico, che significa rilevare e far notare l’incongruenza, non demonizzare o criminalizzare qualcuno, come troppo spesso capita di ascoltare.

Fino a qui l’informazione. Se però spostiamo l’attenzione alla pubblicità, ci rendiamo conto che il lavoro d’inchiesta va a sbattere contro una parete irta di chiodi: quella del controllo dell’immaginario e delle nostre pulsioni più profonde ad opera dell’apparato comunicativo delle imprese che lavorano nel settore dell’azzardo. Quando uso la parola “immaginario” non mi riferisco a qualcosa di lontano, di inafferrabile. L’immaginario è quel corredo di frasi, slogan, modelli visivi e retorici che ciascuno di noi si porta dietro come un bagaglio quotidiano. È attraverso l’immaginario comune che si può instaurare una comunicazione tra individui che mai si sono incontrati prima. Sono sicuro che in quel corredo di slogan che tutti conosciamo, ce ne sia qualcuno che arriva direttamente da qualche spot sul gioco d’azzardo. Il nostro immaginario, da almeno un decennio, è influenzato, devastato, da queste campagne pubblicitarie. Per contrastarle efficacemente e con esse il business a cui si riferiscono, bisogna capire come funzionano, quali punti sensibili vanno a toccare.

Un inciso: il fatto che i più importanti studiosi del problema siano pressoché sconosciuti in Italia è, purtroppo, un sintomo della provincialità culturale che ci opprime. Il fatto che saggi importanti come Culture convergenti, del massmediologo Henry Jenkins, o Don’t Think the Elephant, del linguista George Lakoff, in Italia siano noti solo ad uno sparuto gruppo di appassionati del genere, mentre in altri paesi ormai sono diventati dei classici, non è una cosa di cui andare fieri. Se questi e altri contributi fossero più conosciuti e studiati, il contrasto alla cattiva pubblicità riuscirebbe meglio. Fine dell’inciso.

Per anni, in qualsiasi fascia oraria, su qualsiasi canale, durante le pause pubblicitarie di qualsiasi programma, gli spot riferibili all’azzardo hanno fatto capolino: quasi sempre, più di uno per ogni blocco. Tutti questi spot hanno in comune un medesimo modello, che si può sintetizzare così: per diventare ricchi, basta un piccolo gesto e qualche secondo. È una strategia di persuasione molto potente, perché fa leva su elementi condivisi, che tutti sperimentiamo sulla nostra pelle: la crisi, la perdita di potere d’acquisto, l’abbassamento del tenore di vita. Tutti questi fattori entrano in risonanza, stimolati da una pulsione consumistica radicata e rendono difficilmente resistibile l’invito a tentare la fortuna. George Lakoff, a proposito di questo, parla di “frame”, un termine che si può tradurre come “cornice concettuale”. Nel nostro caso la cornice concettuale è questa: c’è crisi, ci stiamo impoverendo, giochiamo e si vedrà. È evidente però che questa strategia di comunicazione poggia su una premessa falsa: che al gioco d’azzardo si possa vincere davvero. Basta anche qui un’occhiata alle statistiche ed alle indagini portate avanti da svariate procure italiane per accorgersi di quanto quella premessa sia priva di qualsiasi fondamento di verità. Ecco allora che il frame diventa pericoloso, tossico e va sbugiardato. Di nuovo Lakoff ci insegna qualcosa: per combattere un “frame” sbagliato non è sufficiente dire che è sbagliato, bisogna contrapporgliene uno corretto. Non basta dire: “non credete alle pubblicità sull’azzardo”. Uno può obiettare: “e perché non devo crederci?”. Bisogna opporre al modello tossico un modello sano e di pari forza persuasiva. Per fare un esempio, il profilo twitter del collettivo senzaslot.it ha questa intestazione: “il caffè è più buono se il bar è senzaslot!”. A me sembra che questo modo di comunicare vada nella giusta direzione. Rimanda al rito quotidiano del caffè e, cosa importante, lo slogan è formulato in positivo. Se il motto fosse “non prendete il caffè nei bar che ospitano le slot!”, sarebbe molto meno efficace, con quella negazione all’inizio della frase. Naturalmente questo è un piccolo esempio, tratto da una dimensione ridotta rispetto alle grandi campagne televisive, ma centra il punto su cui è necessario insistere. Il divieto della pubblicità dell’azzardo deve accompagnarsi ad un’opera paziente di ricostruzione dell’immaginario, colonizzato e ridotto in macerie da anni di campagne mediatiche distorte. Solo il divieto non è sufficiente, lascerebbe un vuoto di comunicazione che invece va colmato.

C’è un verso di una canzone degli Area che mi è molto caro. La canzone è L’elefante bianco. Ad un certo punto dice: “impara a leggere le cose intorno a te, fin che non se ne scoprirà la realtà. Districar le regole che non ci funzionan più per spezzar poi tutto ciò con radicalità”. Che sia di buon auspicio.

Il presente articolo riprende in forma più estesa un mio intervento al termine della manifestazione dello scorso 18 maggio, quando un mondo composito di realtà, associazioni e persone è sceso in piazza a Pavia contro il gioco d’azzardo liberalizzato. Il corteo nazionale promosso dal movimento No Slot ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’unione sindacale di base, del Nuovo Cinema Palazzo di Roma, della Cgil lombarda, del presidio pavese di Libera. Fa soprattutto piacere ricordare l’adesione della Comunità di San Benedetto al porto di Don Andrea Gallo. A seguito di un primo comunicato del 20 maggio 2013 in cui si stigmatizzavano le posizioni espresse dalla manifestazione e si minacciava il ricorso alle vie legali, Assotrattenimento – la componente di Confindustria che rappresenta gli interessi delle imprese che investono nell’azzardo legale – ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Pavia (consultabile a questo indirizzo) contro uno dei promotori della manifestazione, il collettivo senzaslot.it. Assotrattenimento lamenta un clima d’intimidazione agli operatori del settore, tale da minarne addirittura l’incolumità. Immediate le prese di posizione in solidarietà dei proprietari del sito senzaslot.it , una delle tante realtà che hanno preso parte all’iniziativa.