ITALIA

Priorità alla scuola: voci da piazza del Popolo

Diverse centinaia di persone in piazza del Popolo a Roma nonostante la pioggia battente per il presidio di Priorità alla Scuola. Si conclude così la tre giorni di mobilitazione nazionale per la scuola pubblica: nella crisi, «la scuola dovrebbe essere un agente di trasformazione»

A Roma sotto una pioggia battente centinaia di persone hanno riempito piazza del Popolo per la mobilitazione convocata da Priorità alla Scuola. Genitori, studenti, insegnanti, personale scolastico, insieme per riportare al centro del dibattito pubblico la scuola come istituzione, luogo di apprendimento e di relazione. In piazza si incontrano e confrontano le tante e diverse storie di questa riapertura a singhiozzo.

Foto di Renato Ferrantini

Ci sono scuole che hanno riaperto, come quella elementare del figlio di Tonia, a  Ravenna. Qui il dirigente scolastico è riuscito a evitare le classi pollaio, «però manca il personale e non c’è il tempo pieno – dice la donna – Il primo giorno di scuola mancava anche il sapone nei bagni. A ricreazione un bambino voleva bere dalla sua borraccia, senza essere in grado di aprirla, ma le maestre non lo hanno potuto aiutare, perché hanno il divieto di toccare i bambini e i loro materiale».

Mentre regge lo striscione di Priorità alla Scuola, Tonia racconta:

 

«per prendersi cura della sicurezza e della salute bisognerebbe avere un medico scolastico, misurare la temperatura, fare i tamponi, non solo imporre regole e protocolli molto restrittivi. La responsabilità non può ricadere solo sui singoli dirigenti, c’è una responsabilità politica».

 

Sohelia, scesa da Ravenna con Tonia, educatrice e da quest’anno insegnante afferma: «paghiamo scelte di anni, forse decenni, sbagliate. Riaprono le scuole anche quest’anno senza nomine per gli insegnanti precari, proprio quest’anno che bisognava avere un’attenzione in più, la situazione per gli insegnanti è peggiore».

Foto di Renato Ferrantini

Sono tanti le e gli insegnanti precari in piazza, molti ancora in attesa di essere chiamati, con uffici scolastici in confusione, e graduatorie provinciali sbagliate. Come ci racconta Manola, insegnante di sostegno precaria da sette anni a Siena: «Io sono già stata chiamata, perché sono in prima fascia per il sostegno. Ma mi ritrovo a fare supplenze nelle classi dove mancano docenti, togliendo le ore alle e agli studenti con bisogni educativi speciali che dovrebbero essere la mia priorità. E nonostante anni di servizio, dovrò fare un concorso “straordinario” con programmi e prove identiche al concorso ordinario, come se non insegnassi già da anni a scuola».

Una storia simile è quella di Tommaso di Firenze, insegnante di matematica e fisica che indossa la maglietta del coordinamento precari Toscana: «sono già in servizio, ma non sono sicuro che rimarrò in questa scuola perché le graduatorie provinciali sono piene di errori e siamo in attesa delle rettifiche. Le scuole aprono senza insegnanti quando ne servirebbero più che in passato per evitare la didattica a distanza. Un caos, per noi che lavoriamo, per le famiglie e per le e gli studenti».

Foto di Renato Ferrantini

Sono tanti le e gli studenti che, dopo i cortei dei giorni precedenti, hanno raggiunto oggi piazza del Popolo. È forte tra loro la sensazione di non essere ascoltati, come spiega Irene del liceo Nomentano di Roma: «Siamo scese ieri e oggi in piazza prima di tutto per far sentire la nostra voce. Dopo mesi torniamo a scuola con metà classe a casa e metà a scuola, ma la connessione della scuola non funziona, così chi è a casa non riesce a seguire. E il docente si deve sdoppiare tra il computer e la classe. Il clima non è più lo stesso, non era la scuola che ci aspettavamo».

Anche la scuola di Enrico, il liceo Rousseau, ha diviso le classi in due, metà gruppo segue in presenza e l’altra metà a distanza: «non ci aspettavamo di rientrare così, la didattica a distanza ci rende dei semplici fruitori passivi, le e i docenti non sono stati formati, la connessione della scuola non funziona, e semplicemente non sentiamo».

Foto di Renato Ferrantini

Ma anche nelle scuole dove tutto il gruppo classe è rientrato la situazione non è migliore, come ci racconta Myria, studente del liceo artistico di Terni: «in classe siamo a un metro di distanza, ma questo significa che non possiamo muoverci dai banchi, e non possiamo nemmeno passarci una gomma. Non possiamo usare i laboratori, abbiamo le entrate scaglionate, ma non si risolve il problema dell’assembramento».

 

«La ricreazione ora la chiamano pausa di socializzazione, ma non possiamo nemmeno girarci a parlare con le compagne. Non c’è una bella atmosfera in classe, io che sono stata sempre socievole, ora non parlo più con nessuno».

 

Altre scuole fanno la didattica a distanza a scuola, cioè se la classe è troppo grande viene divisa in due gruppi, e un gruppo segue dai propri computer in un’altra aula. Così si è organizzata la scuola di Francesca: «siamo di fronte ai computer e la maggior parte delle volte internet a scuola non funziona. Durante le pause, che dovremmo passare sedute, io faccio un po’ di stretching perché non ce la faccio a stare immobile per cinque ore».

 

Manifestazione Priorità alla scuola: Intervento di Luisa Nudm Roma e Cattive Maestre

LA PRIORITA' SIAMO NOI!Manifestazione Priorità alla Scuola: Intervento di Luisa Nudm Roma e CattivemaestreÈ il momento di ripensare alla scuola. Abbiamo visto in questi mesi che la crisi economica e sociale generata dal Covid non ha prodotto solo effetti temporanei sul funzionamento della scuola, pensiamo al funzionamento della didattica digitale integrale, un inedito campo di profitto dei colossi dell’high tech che ha aumentato il divario tecnologico e modificato le relazioni tra docenti, studenti producendo effetti duraturi sulla trasmissione dei saperi. La società ai tempi del covid ha generato una ipertrofia nel lavoro di cura che ricade sulle donne e le insegnanti che sono per l’80% donne, ha esasperato la retorica della missione e del sacrificio. Una retorica che serve a neutralizzare qualsiasi forma di critica e di lotta nella scuola. Un discorso che vale anche per le madri strette ancora di più tra lavoro e cura dei figli. Il governo, invece di assicurare investimenti seri sul mondo della formazione, ha scaricato sui docenti e sul ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario) la responsabilità della riapertura della scuola. Relegando la didattica ad una funzione del tutto marginale. La priorità siamo noi, vogliamo che una fetta del Recovery Fund sia destinata ad un cambiamento strutturale della scuola e del welfare. Vogliamo portare fuori la scuola dall’emergenza e per noi vuol dire: aumento del personale docente ATA, stabilizzazione dei precari, non un organico senza tutele, vogliamo l’internalizzazione delle educatrici e del personale dei nidi comunali, una riduzione numerica degli/lle studenti per classe, investimenti nelle infrastrutture scolastiche, vogliamo il potenziamento delle reti mutualistiche territoriali. Dobbiamo pensare al ruolo che ha la scuola nella società con una didattica che includa l’educazione sessuale all’affettività, libera dagli stereotipi. Mettere al centro le istituzioni della riproduzione sociale per noi non vuol dire ritornare allo stesso welfare paternalista di prima, al contrario significa lottare per un cambiamento che è possibile solo stabilendo un patto e una convergenza tra tutti coloro che vivono la scuola.

Pubblicato da Non Una Di Meno – Roma su Sabato 26 settembre 2020

 

Tra gli interventi più applauditi del palco c’è quello di Luisa, insegnante e attivista di Non Una di Meno: «in questi mesi la crisi economica e sociale generata dal Covid-19 non ha prodotto solo effetti temporanei sul funzionamento della scuola, la didattica a distanza ha modificato le relazioni tra docenti, le e gli studenti producendo effetti duraturi sulla trasmissione dei saperi». Sono tante le assemblee territoriali di Non Una di Meno che si sono mobilitate, insieme a Priorità alla Scuola.

Come quella di Genova, come ci spiega Ariela: «già nel periodo del lockdown ci siamo iniziate ad organizzare, perché questo smantellamento progressivo della scuola fa ricadere sempre di più il lavoro della riproduzione sociale sulle nostre spalle. Donne, madri, insegnanti, educatrici, precarie, stritolate da un discorso che vuole la cura come una missione “naturale” delle donne. Ma la cura dovrebbe essere una missione sociale, non una questione di genere, e la scuola dovrebbe essere un agente di trasformazione di questo processo».

Foto di Renato Ferrantini

Anche Enrica, parte di Priorità alla Scuola e di Non Una di Meno ribadisce: «la questione della scuola è sempre stata centrale nel movimento femminista sin dalla scrittura del Piano Femminista di Non Una di Meno. Viceversa un movimento sulla scuola non può non essere femminista perché l’istruzione non deve riprodurre questo sistema – anche di welfare – patriarcale. La scuola deve essere un presidio contro il razzismo e la violenza».

Foto di Renato Ferrantini

Anche la foto di copertina è di Renato Ferrantini