ITALIA

I pogrom sono una realtà, noi siamo pronti alla rivolta?

L’azione di terrorismo fascista e razzista di Macerata segna un punto di non ritorno. Di fronte a tutto questo non serve un fronte popolare in difesa della miseria del presente, ma ricostruire la grammatica comune con cui gli sfruttati si possono parlare.

Sembra tutto così americano. Un 28enne prende una pistola e gira per una città di provincia per sparare addosso ai ‘negri’, prova ad ucciderne quanti più possibile ma riesce solo a ferirne sei, due dei quali lottano tra la vita e la morte nel momento in cui scriviamo. Ma non è un folle, i gesti e i simboli, così come la biografia ci parlano di una radicalizzazione dell’estremismo neofascista, del diffondersi di idee suprematiste e razziste, che innescano il passaggio all’azione. Dai commenti su Facebook alla strage.

Era già successo nel dicembre del 2011, questa volta a Firenze. A sparare era stato un sostenitore di Casa Pound, imbevuto di idee razziste e antisemite. La grossa differenza è che questa volta una parte del Paese sembra pronto ad accogliere il gesto solitario non con sdegno e paura, ma come il segno che passare all’azione è possibile. Il problema non sono solo i gruppuscoli, le sigle, le organizzazioni. Ma il mare in cui nuotano. Il sentimento espresso da migliaia di cittadini da casa, dall’ufficio, dal bus nei commenti agli articoli o sui gruppi Facebook diventa un’onda che si trasforma in fatti. Il rumore del consenso al grilletto premuto contro gli immigrati. Se il candidato alla presidenza della Regione Lombardia può parlare di “razza bianca” e presentarsi come il volto anche dei “moderati”, forse dobbiamo apprendere sino in fondo che il paradigma è davvero cambiato.

I fatti di Macerata sono il segnale ultimo che una parte del paese è disponibile ai pogrom, che il razzismo di Stato ha generato mostri che non riesce più a controllare. Il ricorso alla violenza è una possibilità accettata non solo in teoria (‘dovremmo ammazzarli tutti’, ‘ci vorrebbe qualcuno che li sistema’ ecc) ma anche quando diventa un’opzione. Così una parte dell’arco politico invece di prendere le distanze giustifica e parla ancora di “immigrazione fuori controllo”, mentre le forze che si vogliono “democratiche” e “antifasciste” fanno ricorso a parole che suonano come un blablabla ormai inintellegibile da larghe fasce di popolazione, da chi ha pagato dieci anni di crisi economica e da chi ha introiettato il fallimento e l’umiliazione di non avercela fatta come marchio indelebile, e allora cerca qualcuno a cui dare la colpa.

Di fronte a tutto questo, siamo pronti? Siamo consapevoli che non ci salveranno gli appelli ai valori democratici e alla Costituzione? Lo scontro è inevitabile, e forse siamo ancora in tempo a dargli il volto della rivolta. Per farlo non servono fronti popolari in difesa della miseria del presente, ma ricostruire la grammatica comune con cui gli sfruttati si possono parlare. Non ci sono scorciatoie. I ‘buonisti’ hanno già perso.