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OPINIONI

Pensare la rivoluzione al tempo delle molte e dei molti. Leggendo Mélenchon

“Ribellatevi! La rivoluzione del XXI secolo” offre alla sinistra italiana vari spunti di riflessione per tenere insieme coerenza strategica, radicalità programmatica e progetto contro-egemonico, in una prospettiva ecologica e internazionalistica

L’edizione italiana del libro “Ribellatevi! Verso la rivoluzione popolare” sarà presentata dall’autore Jean-Luc Mélenhon al presidio dell’ex-Gkn a Campi Bisenzio, sabato 17 maggio alle 20.30. Vai al form per maggiori info.

Parigi, 22 marzo 2025. «Nous sommes tous-tes enfant-e-s d’immigré-e-s!» (Siamo tutte/i figlie/i di immigrate/i!), scandiscono decine di migliaia di persone tra place de la République e place de la Nation. In un clima festoso, ma anche cosciente della gravità della situazione, la Marche des Solidarités invade le strade della capitale e delle maggiori città francesi. Si tratta della prima grande mobilitazione contro il razzismo e l’estrema destra organizzata dopo il ritorno al potere di Donald Trump negli Stati Uniti, l’annuncio del piano di riarmo dell’Unione Europea e mesi di sostegno di Marine Le Pen – leader dell’estrema destra francese – ai governi di minoranza voluti da Emmanuel Macron. Tra i manifestanti, a Marsiglia, sfila anche Jean-Luc Mélenchon. Non è certo una novità: al momento in cui scriviamo, oltre a rappresentare – con i suoi settanta deputati – il principale gruppo parlamentare della sinistra francese, il movimento La France Insoumise (LFI), fondato nel 2017, conta centinaia di groupes d’action diffusi in tutto l’Esagono, nonché nei territori e dipartimenti cosiddetti “d’oltremare” conservati dalla Francia nonostante la decolonizzazione. Le sue e i suoi militanti si incontrano facilmente nei volantinaggi a tappeto al mercato e nel porta a porta effettuato nei quartieri popolari durante le campagne elettorali, ma anche sulle rotonde occupate dai Gilet Gialli, nei picchetti dei lavoratori della logistica, nelle lotte ecologiste contro le infrastrutture ecocide e nelle università occupate contro il genocidio del popolo palestinese.

Ribellatevi! La rivoluzione del XXI secolo (Meltemi, 2025) non è soltanto il manifesto di un leader politico o il pamphlet di un intellettuale engagé, ma, per usare le parole dell’autore, una «teoria per l’azione» elaborata alla luce delle grandi sollevazioni popolari che hanno sconvolto il mondo negli ultimi anni. Il volume propone una strategia rivoluzionaria ispirata alla lunga tradizione marxista ma all’altezza delle sfide del XXI secolo: non come mito nostalgico, dunque, né come utopia astratta o geniale invenzione del capo, ma come urgenza concreta, frutto del lavoro d’inchiesta e discussione sui movimenti sociali.

A questo compito si dedica l’Institut La Boétie (ILB), la fondazione culturale co-presieduta dalla deputata LFI Clémence Guetté e dallo stesso Mélenchon, attraverso la quale decine di ricercatrici e ricercatori, i cui lavori hanno nutrito questo libro, si sono impegnati nella battaglia delle idee necessaria a rafforzare tanto la lotta di piazza quanto quella elettorale.

In un mondo lacerato dalla crisi climatica e oppresso dalle nuove forme di sorveglianza algoritmica, dalle diseguaglianze crescenti e dalla spirale bellica, la questione del potere, cioè della sua sovversione e riorganizzazione, torna al centro della riflessione politica. È in questa prospettiva che, negli ultimi anni, l’esperienza della France Insoumise si è imposta come uno dei più audaci – nonché contraddittori – tentativi di costruire una strategia di rottura ecologista, popolare e democratica nel cuore dell’Europa occidentale.

Quattro momenti chiave della storia francese recente hanno segnato lo sviluppo della strategia insoumise: l’occupazione della place de la République nota come Nuit Debout e la mobilitazione sindacale contro la Loi Travail voluta dal presidente Hollande, nel 2016, parallela alla fondazione di LFI; la sollevazione popolare dei Gilet Gialli, iniziata nel 2018; lo sciopero contro la riforma delle pensioni di Macron, esploso a novembre 2019 e ripreso a gennaio 2023; l’insurrezione antirazzista seguita all’omicidio del giovane Nahel da parte della polizia a giugno 2023. A questi si aggiunge, più recentemente, il movimento della “Palestina globale”, che ha attraversato la società francese ben oltre i confini della militanza tradizionale a sostegno del popolo palestinese. Si tratta di rivolte diverse ed eterogenee, ma che condividono una comune radicalità basata sulla tensione verso la giustizia, la riappropriazione dello spazio e la liberazione del tempo.

Il volume di Mélenchon, pubblicato in francese dopo le elezioni presidenziali del 2022, mette in evidenza i principali aspetti di questo e altri straordinari cicli di lotte e li interpreta come prefigurazioni della rivoluzione del XXI secolo. Per pensare il nuovo processo rivoluzionario affronta quattro assi di riflessione, che costituiscono le istanze del “programma di rottura” sostenuto da LFI e, almeno per un periodo, dal Nouveau Front Populaire (NFP) – la coalizione della sinistra guidata da LFI, capace di contendere a liberali e fascisti l’accesso al secondo turno delle elezioni parlamentari dell’agosto 2024. Oggi questa esperienza , su cui abbiamo scritto altrove, è in forte tensione a causa dal tradimento del suo programma da parte del Partito Socialista, che ha ripreso, nel gennaio 2025, le negoziazioni con Macron.

Questi assi sono: (1) l’analisi dello spazio-tempo del capitalismo delle reti, che l’autore definisce come nuova forma di dominio e organizzazione della produzione; (2) La teoria della rivoluzione delle molte e dei molti, che contrappone la molteplicità del lavoro al mito della presa del potere da parte di pochi. (3) La proposta della pianificazione ecologica combinata con quella del comunalismo, intese come strumenti di controllo democratico della transizione ecologica. (4) Il processo di creolizzazione, concepito per scardinare la visione tradizionale, sempre più reazionaria, della “cultura” francese ed europea, al di là dei nazionalismi e delle identità chiuse.

La Noosfera: lo spazio-tempo del capitale

Ogni processo rivoluzionario agisce sul tempo e sullo spazio: li stravolge per reinventarli. Se la Rivoluzione francese del 1789 aveva instaurato un nuovo calendario, sarà la Comune di Parigi del 1871 a inceppare l’“orologio della storia”, proponendo un contretemps rivoluzionario: un contrattempo che inaugura una nuova temporalità, sospendendo il tempo omogeno – lineare perché vuoto, produttivista perché disciplinato – imposto dalla modernità capitalistica e incarnato nella ristrutturazione urbana di Parigi sotto il Secondo Impero.

Riprendendo questa eredità, Mélenchon rimette il tempo al centro della riflessione politica. Ma compie un passo ulteriore: propone di pensare il tempo umano in relazione a quello degli ecosistemi e di costruire così una strategia rivoluzionaria che tenga insieme storia e natura, trasformando il mondo nel rispetto degli equilibri della vita.

Il capitalismo contemporaneo – sostiene – non è più soltanto un sistema economico fondato sulla produzione e lo sfruttamento. È una macchina predatoria delle reti sociali, dei flussi digitali e delle infrastrutture vitali. Nel lessico di Mélenchon, ciò che Marx nei Grundrisse – riletti dalle operaiste e dagli operaisti italiane – definiva General Intellect prende il nome di Noosfera: quella sfera materiale, cognitiva e relazionale che emerge dalle connessioni tra soggetti, saperi, corpi e tecnologie. Come per le operaiste e gli operaisti, questo terreno è un campo di battaglia. Lo sottolinea anche la geografia critica: siamo entratə in una fase di «accumulazione per spossessamento», per dirla con David Harvey (La guerra perpetua. Analisi del nuovo imperialismo, Il Saggiatore, Milano 2003), in cui la conoscenza collettiva, le conoscenze comuni, le infrastrutture pubbliche e persino il tempo individuale vengono espropriati e convertiti in profitto. Il dominio delle piattaforme digitali impone una nuova architettura del potere. Eppure, queste tecnologie possono anche essere rovesciate. Ispirandosi alle strategie digitali di alcuni movimenti sociali recenti, la France Insoumise le ha impiegate come strumenti di comunicazione, costruendo un rapporto diretto con “le molte e i molti”, ben oltre i media tradizionali, attraverso l’applicazione Action populaire.

Al cuore del capitalismo di rete vi è insomma la produzione di uno specifico spazio-tempo. Marx, sempre nei Grundrisse, aveva sostenuto che il capitale, facendosi “mercato mondiale”, tende ad annientare lo spazio attraverso il tempo: accelera e comprime, sincronizza e sintetizza. La logistica organizza la produzione “a flusso teso”, in un tempo indistinguibile da quello della circolazione delle merci e delle transazioni finanziarie, perché ogni oggetto è il risultato di un assemblaggio disperso in molteplici siti produttivi, legati da una rotazione continua e permanente. Tuttavia, contro ogni determinismo, Mélenchon colloca questo mutamento all’interno di un conflitto tra temporalità differenti: il tempo del capitalismo disarticola i ritmi della vita sociale e biologica. Intensificandoli e interrompendoli, destabilizzandoli e riordinandoli, ne estrae valore. Il dominio del capitale non si ferma quindi alle porte della fabbrica o al confine poroso dell’impresa.

È contro questo spazio-tempo capitalistico che bisogna lottare riprendendo una delle intuizioni dei Gilet Gialli: colpire la circolazione produttiva, bloccare i flussi, occupare le rotonde in quanto snodi del capitalismo logistico. Quel movimento, secondo Mélenchon, ha colto che «la capacità di garantire la continuità della mobilità diventa una questione di potere fondamentale» (Ribellatevi!, cit, p. 44). Insieme al tempo, le sollevazioni popolari trasformano infatti anche lo spazio. Se il capitale dissemina una geografia del dominio composta di metropoli e aree estrattive, zone speciali e porti logistici, aree commerciali e prigioni residenziali, le lotte per la liberazione costruiscono altri mondi. Come ricordano Sandro Mezzadra e Brett Nielson (The Rest and the West: Capital and Power in a Multipolar World, Verso, Londra 2024), nella globalizzazione caotica e multipolare occorre inventare altri modi di vivere lo spazio: poli autonomi e regimi di presenza alternativi.

Oltre il “populismo”: la rivoluzione delle molte e dei molti

Per l’autore, la lotta dentro la Noosfera è portata avanti da «le molte e i molti» cioè la maggioranza o il «gran numero» (grand nombre) degli esseri umani, che si trasforma in «popolo» (peuple) quando insorge contro l’oligarchia che distrugge il pianeta. «Le molte e i molti» non sono soltanto la massa indifferenziata della cittadinanza, bensì una figura sociale specifica e organizzata in reti: quella dei lavoratori e delle lavoratrici del presente.

L’autore attribuisce un ruolo strategico al concetto di grand nombre: l’«era del popolo» (ère du peuple) è per lui anche il «tempo delle molte e dei molti». L’oscillazione tra “molte/molti” e “popolo” che contraddistingue il pensiero di Mélénchon è evidente in italiano: a differenza del francese, in italiano “molti” (the many, in inglese) può essere sia un sostantivo sia un aggettivo. Nella storia del pensiero politico, per esempio in Aristotele, designa la maggioranza dei cittadini (hoi polloi, i molti) che governano la costituzione democratica della città in opposizione agli oligarchi (hoi oligoi, i pochi). Machiavelli formula un’idea simile nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, dove parla dei “piccoli” (il popolo inteso come plebe) che lottano per liberarsi dal dominio dei “grandi” e rifondano, attraverso il conflitto sociale, la costituzione repubblicana dell’antica Roma. In questo senso, la révolution citoyenne (letteralmente: “rivoluzione cittadina”) non va confusa con la “rivoluzione civica”, la “rivoluzione civile”, o – peggio ancora – la “rivoluzione dei cittadini”, espressioni che evocano immaginari molto distanti dalla sinistra di rottura di cui questo libro si fa eco teorica.

Nel discorso di Mélenchon, non si tratta quindi di riprendere l’idea di un “popolo” prodotto dall’alto e rappresentato dal leader, secondo le teorie di Chantal Mouffe ed Ernesto Laclau. «Le molte e i molti» che fanno la rivoluzione del XXI secolo delineano il profilo di una classe lavoratrice profondamente trasformata e attraversata da desideri di liberazione all’intersezione tra sfruttamento economico, dominio coloniale, oppressione patriarcale e distruzione della natura.

Per spiegare in che modo le molte e i molti sono la figura storica di una classe intersezionale, il libro fa riferimento, oltre che al pensiero anticoloniale, alle ricerche del femminismo marxista più recente ed evidenzia «la coincidenza tra le rivoluzioni e i cicli di lotta nell’ambito della riproduzione sociale» (Ribellatevi!, cit., p. 269). Secondo Mélenchon, infatti, l’accrescimento della popolazione produce un cambiamento qualitativo: moltiplica le interazioni e cambia il nostro modo di abitare il mondo. Il “gran numero” degli esseri umani è urbano e pertanto inseparabile dalle reti della riproduzione sociale. Oltre a strutturare il tessuto della cura, queste reti creano interdipendenza e aprono l’accesso a nuovi universi digitali che aumentano ogni relazione, anche al di là dei confini terrestri. La Terra e lo spazio, attraverso le migliaia di satelliti in orbita che rendono possibile le interconnessioni planetarie, formano la scena materiale e simbolica sulla quale ci troviamo ad agire.

Pianificazione ecologica: organizzare l’armonia

Nel corso del XX secolo, nota Mélenchon, la produzione è aumentata di 50 volte, mentre la popolazione è solo quadruplicata: è la chiave di volta della crisi climatica. Per combatterla, non occorre tuttavia una sorta di neo-malthusianesimo, né considerare il rapporto tra la “biosfera” e la “tecnosfera” nei termini di una nuova corsa alle materie rare. Al contrario, bisogna definire lo spazio extra-atmosferico, così come le tecnologie che permettono alle molte e ai molti di essere interconnesse e interconnessi, come delle e degli inappropriabili – un mondo comune sottratto alla logica imperiale. È in questo spazio sociale, tecnico e cognitivo che Mélenchon pensa il «tempo delle molte e dei molti», senza confidare in un accelerazionismo cieco o vagheggiare una romantica disconnessione.

Da questa consapevolezza nasce la proposta della pianificazione ecologica. A differenza del modello tecnocratico e verticale legato all’esperienza sovietica, questa è decentrata e multiscalare. Prendendo le distanze dall’uso neoliberale dei modelli cibernetici, la pianificazione ecologica mira ad armonizzare la pluralità dei tempi umani e non umani: a organizzare il comune nel rispetto dei cicli della vita.

L’armonia socio-ecologica non è il frutto del movimento spontaneo della società, bensì il prodotto di una politica che compone regola verde e giustizia sociale. Un’altra intuizione della Gilet Gialli – il rifiuto della “tassa carbone” espresso all’insegna di un’ecologia popolare – è così ripresa da Mélenchon.

Per comprendere la dimensione democratica della pianificazione ecologica è interessante leggere la versione aggiornata al 2025 de L’Avenir en Commun, il programma di LFI. Questo integra esplicitamente i principi del municipalismo e del comunalismo, rispetto ai quali in Italia, come in altri paesi dell’Europa meridionale, sono stati fatti degli importanti esperimenti nell’ultimo quindicennio. Radicata a livello territoriale, la pianificazione non è l’antitesi dell’autonomia locale, ma un dispositivo flessibile che articola istanze dal basso e progettualità. In altri termini, diremo che la pianificazione ecologica esprime una «concentrazione non centralizzata» o una «concentrazione diffusiva» del potere nella fase della transizione ecologica post-capitalista (cfr. Luciano Ferrari Bravo, Federalismo, in Id., Dal fordismo alla globalizzazione. Cristalli di tempo politico, manifestolibri, Roma 2001).

Con il vocabolario dei Soulèvements de la Terre, potremmo aggiungere che abbandona la logica bidimensionale del piano cartesiano: non cerca il “giusto” rapporto tra la verticalità e l’orizzontalità, ma pensa la trasformazione sociale come «trasversale» (cfr. Abbecedario dei Soulèvements de la Terre. Comporre la resistenza per un mondo comune, Ortothes, Napoli 2024). In questo senso, la proposta della pianificazione ecologica non sfugge ma, anzi, valorizza le tensioni e le contraddizioni della sinistra rivoluzionaria francese. Per un verso, richiama il mito della Rivoluzione come momento fondativo della République “una e indivisibile”; per un altro, riattiva l’immaginario della Comune di Parigi come laboratorio metropolitano e cosmopolita, che rimette in discussione la forma Stato – tema per cui rimandiamo a C. Vercellone, F. Brancaccio, A. Giuliani e P- Vattimo, Il comune come modo di produzione. Per una critica dell’economia politica dei beni comuni, Ombre Corte, Verona 2017.

La “nuova Francia”: creolizzazione e altermondialismo

In questo contesto emerge il concetto di «creolizzazione» (créolisation), che chiude il volume.  Nel discorso di Mélenchon, “creolizzazione” non è sinonimo di multiculturalismo, perché non si limita alla tolleranza di culture diverse, né di meticciato, perché non implica la loro mescolanza biologica forzata. Rimanda piuttosto alla costruzione attiva di un universalismo concreto, frutto di incontri e ibridazioni impreviste. La fonte è il poeta e filosofo anticoloniale Édouard Glissant, per il quale non si tratta di integrare chi è stato escluso, ma di ridefinire le basi materiali del vivere insieme e trasformare radicalmente il modo di intendere identità e cittadinanza.

Nella misura in cui scardina i codici razziali, epistemici e linguistici della modernità coloniale, la prospettiva della creolizzazione suscita orrore non solo nei reazionari, ma anche in quei settori della sinistra che promuovono un modello astratto di universalismo, restio ad accettare le conseguenze della decolonizzazione. Per le e gli insoumis.es, al contrario, la «nuova Francia» non può più essere pensata nei termini dell’assimilazionismo monoculturale della tradizione repubblicana, ma deve emergere dalla pluralità di storie che costituiscono la realtà del Paese: dalle e dai giovani delle banlieues e dalle e dai migranti, dalle lotte femministe e da quelle ecologiste. Negli ultimi anni, LFI sembra aver progressivamente fatto proprio l’invito, proveniente dalle periferie, a passare da un antirazzismo morale a un antirazzismo politico. Inizialmente estranee alla sua struttura, queste forze l’hanno spinta verso un’analisi del razzismo di Stato e della memoria coloniale. Con una dialettica costruttiva, hanno influenzato la linea del movimento, mostrando che le rivolte contro le violenze poliziesche sono inseparabili dal razzismo sistemico e dall’islamofobia che organizzano la segregazione spaziale e la divisione razziale del lavoro. La “creolizzazione” è infatti indissociabile dall’attuale composizione di classe del proletariato francese e dalla coalizione che le e gli insoumis.es hanno costruito con le sue e i suoi protagonisti.

Non è un caso, allora, che uno dei punti di maggiore conflitto tra i partiti di sinistra ruoti proprio intorno al tema della creolizzazione e si declini nel posizionamento rispetto alla questione palestinese. Al momento in cui scriviamo, LFI è il solo partito in Francia ad aver preso una posizione chiara sulla guerra condotta da Israele e ad aver assunto la lotta contro il genocidio palestinese come cartina di tornasole di un nuovo internazionalismo. La Palestina – nella sua dimensione globale – è divenuta simbolo di resistenza contro la «guerra mondiale a pezzi» e contro il riarmo sostenuto da destra, liberali e socialdemocratici. Queste sono alcune delle ragioni che spiegano perché la prospettiva internazionale della France Insoumise si inscrive in un orizzonte che Mélenchon definisce «altermondialista», vale a dire pacifista e non allineato. La pace, nel lessico dell’autore, non si riduce all’assenza di guerra, ma impone la liberazione dalle forme di dominio coloniale, economico e culturale che strutturano ancora oggi le relazioni globali. La creolizzazione promossa da una politica altermondialista costruisce la pace delle molte e dei molti, contro l’ordine e la guerra dei pochi.

Conclusione: per una sinistra di rottura

Al cuore del libro di Mélenchon, si trova una domanda semplice ma radicale: è ancora possibile, nel XXI secolo, pensare e praticare la rottura rivoluzionaria? La risposta è affermativa e sottolinea l’urgenza della domanda. In un capitalismo che minaccia la sopravvivenza dell’umanità e delle altre specie che abitano la terra, non c’è più spazio per quello che altri hanno chiamato la «politica del male minore». Questo vale tanto più in un contesto in cui i partiti socialisti europei – come già accadde tragicamente con il voto ai crediti di guerra della SPD nel 1914 – si trasformano in promotori della spirale bellica.

Per il lettore italiano, questo libro offre uno spunto di riflessione e un incoraggiamento. In un Paese come l’Italia, dove non esiste oggi una forza politica capace di tenere insieme coerenza strategica, radicalità programmatica e progetto contro-egemonico, la conoscenza di questa esperienza non vale come modello da importare, ma come stimolo per aprire una breccia. Quello di LFI è certo un modello caratterizzato da forti ambiguità. Prima fra tutte, il suo funzionamento gerarchico, troppo centrato sulla figura del grande vecchio: un limite costitutivo per un progetto si propone di superare la “monarchia presidenziale” della V Repubblica francese e che intende incarnare l’istanza democratica delle rivoluzioni contemporanee. Eppure, anche nel contesto italiano, l’intuizione di Mélenchon sull’abbandono della strategia socialdemocratica si rivela attuale. L’esperienza della France Insoumise mostra infatti che, oggi più che mai, la sinistra è di rottura o semplicemente non è. Di fronte alla guerra e alla crisi climatica, a una rinnovata violenza coloniale e alla riaffermazione identitaria dei valori occidentali, è urgente rilanciare un progetto di sinistra pacifista e decoloniale, ecologista e moltitudinaria. Anche in Italia, la rivoluzione delle molte e dei molti è possibile. Ma non verrà da sé: va pensata, organizzata, sperimentata. Questo libro, ci sembra, costituisce un contributo a tale impresa.

Immagine di copertina di Pierre-Selim da Flickr.com

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