OPINIONI

Palestina: cercare una via d’uscita con le armi della critica

Ampie parti di società progressiste che erano presenti all’interno del Medioriente, ispirate dal comunismo e dal socialismo, sono diventate minoritarie e irrilevanti, lasciando il campo da una parte al neocolonialismo occidentale e alla destra radicale sionista, dall’altra a forme di nazionalismo e islamismo radicale. È il momento di aprire una discussione su come trovare una via percorribile per arrivare alla pace in Medioriente superando le contrapposizioni e riprendendo in mano le armi della critica

Anche a costo di “apparire”, nella più gentile delle definizioni in voga anche nei nostri ambienti, dei poveri illusi, ci urge aprire pubblicamente un ragionamento sul senso della Pace in Medioriente (e non solo lì) che, visto lo stato attuale “dell’arte”, per noi è irrinunciabile.

Partiamo dalla reazione che normalmente suscita ogni volta che nelle nostre pagine “social” compare l’intervento critico verso Israele di uno o più Ebrei, Israeliani o della “diaspora”, reazione che certe volte ci sembra non solo politicamente ingiustificata, ma anche un poco suicida. 

Nel senso che, stanti gli attuali rapporti di forza nel mondo, non solo non aiuta la liberazione della Palestina, ma neanche favorisce la proposta (modestissima, moderatissima e non sappiamo quanto praticabile nella realtà) della nascita dei “Due Stati”.

Senza voler ripercorrere tutta la storia coloniale, postcoloniale e neocoloniale di tutto il Medioriente e del Nord Africa, facciamo solo notare che da parte ebraica la “società civile” (quella che non è stata preda del terrorismo sionista prima e dopo la proclamazione dello Stato di Israele) è stata catturata dal neocolonialismo occidentale e dalla destra radicale sionista; mentre dall’altra parte i paesi arabi che si sono liberati dal colonialismo europeo si sono via via avviati verso forme di nazionalismo, fomentate da “élites” locali, solitamente corrotte e corruttibili, a loro volta poi travolte dall’islamismo radicale, fino a provocare i drammi e le tragedie che fanno parte del nostro bagaglio di conoscenze.

Parliamo di settori sociali di entrambe le parti oggi in guerra, cioè di “minoranze” in grado di condizionare gran parte delle società indirizzandole verso scelte neocolonialiste (i coloni ebrei in tutto il territorio dal mare al Giordano), e disperate (tutti i Palestinesi, dal Giordano al mare).

Ciò ha portato, in entrambi i gruppi sociali, alla dispersione fino alla irrilevanza, di ampie parti di società, che pure erano fortemente presenti all’interno del Medioriente, ispirate dal comunismo, socialismo, o comunque progressismo, e ciò anche grazie alla scellerata politica internazionale condotta dall’URSS, sino alla fine dei suoi giorni…

Per evitare fastidiose lungaggini, cerchiamo di evidenziare alcuni punti essenziali. E partiamo dalla evidente considerazione che se ricerchiamo la Pace questa si fa, sempre che lo si voglia, con i “nemici”: e proprio alla nostra parte, a noi che non siamo neocolonialisti né disperati, tocca l’obbligo di proporre una via d’uscita a queste tragedie.

Se notiamo la presenza, nella società israeliana e tra gli “Ebrei della diaspora”, di dubbi anche piccoli (e di persone dubbiose ne abbiamo sentite parecchie, sia all’interno di Israele che nel mondo…), per noi che ci poniamo a favore della Pace (e non da adesso) e anche contro alcune posizioni politiche di “sinistra” che ovviamente non condividiamo, si tratta di individuare una via percorribile da parte di tutti, che raccolga attorno a sé ampi strati popolari; e non è cosa facile, che richiede grande impegno e intelligenza.

Come detto prima gli attuali rapporti di forza non offrono grandi possibilità da parte nostra: la “critica delle armi”, scelta fatta in passato anche da alcuni di noi con alterne “sfortune”, ma che non intendiamo rinnegare, non ci appare praticabile.

Rimane solo la scelta delle “armi della critica”, che comunque non abbiamo mai dismesso.

A questo proposito, noi due l’altra sera eravamo a ESC, dove abbiamo incontrato in assemblea alcune compagne e compagni curdi. In quella occasione, si è posto in evidenza il ruolo esercitato da Putin, Erdogan e Iran (tutti sedicenti amici, più dell’integralismo di Hamas che del popolo palestinese) nella repressione contro il Rojava e contro le popolazioni curde. Allora si dovrebbe tornare al vecchio detto «Dal mio nemico mi guardo io, ma dagli amici mi guardi iddio». Senza affidarci a un dio qualsiasi, in cui siamo liberi di non credere, e preferendo invece credere nella Ragione (anche se a volte con qualche ragionevole dubbio), invitiamo tutti i compagni ad abbandonare atteggiamenti disperati e disperanti che esauriscono nell’insulto e nella maledizione la propria impotenza, sulla cui inutilità ci sembra inutile soffermarci, e riprendere invece la linea della “critica” politica.

Immagine di copertina Mural en apoyo a Palestina di Mtenaespinoza da https://commons.wikimedia.org/