EUROPA

Nuova strage del Mediterraneo. 200 morti nei primi 19 giorni dell’anno

117 persone hanno perso la vita tra giovedì e venerdì notte. Intanto, Salvini ribalta la realtà e promette porti chiusi e Conte rimanda il suo impegno a fare qualcosa alla fine del mandato

«A bordo eravamo 120» hanno raccontato ai responsabili dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni i superstiti dell’ultimo naufragio avvenuto davanti alle coste libiche. Tre persone, trasportate in ipotermia all’ospedale di Lampedusa ieri pomeriggio da un aereo della marina militare italiana. Le altre 117 sono state inghiottite dal mare.

Secondo i dati dell’Oim nei primi 19 giorni del 2019 sono già morte 200 persone, più di 5 al giorno. In 140 hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale, tra Libia e Italia. Da quando la guerra alle ong ha costretto la maggior parte delle navi umanitarie a restare in porto, quella rotta migratoria è diventata la più sanguinosa al mondo. Una strage continua e silenziosa che avviene sotto il naso della “democratica” Europa.

Il gommone con a bordo 120 persone era partito giovedì notte dalla Libia. Secondo il racconto dei superstiti, dopo 10-11 ore di navigazione ha iniziato ad imbarcare acqua e ad affondare. Sarebbero rimasti in mare circa 3 ore, senza alcun soccorso, prima dell’avvistamento da parte di un aereo di pattugliamento della marina italiana. L’elicottero intervenuto successivamente è riuscito a portare in salvo soltanto 3 persone.

La Guardia costiera italiana ha precisato di aver verificato che quella libica fosse «a conoscenza dell’evento in corso nella loro area di responsabilità Sar» offrendo collaborazione e dirottando sui colleghi di Tripoli la disponibilità a partecipare alle operazioni di salvataggio espressa da Sea Watch. Ne fossero o meno a conoscenza, i libici tanto apprezzati dal governo italiano hanno fatto bene poco.

La notizia dell’ennesima strage ha prodotto un coro di sdegno e condanna nel mondo delle associazioni e in quello della politica. «Il naufragio della notte scorsa non è una disgrazia, ma un vero crimine europeo. Non esistono giustificazioni per queste immani tragedie – ha affermato Cesare Fermi, responsabile migrazioni di Intersos, ong che fino a ottobre 2017 era a bordo delle imbarcazioni della guardia costiera italiana – Con l’estromissione delle navi umanitarie delle ong e il progressivo ingaggio della Guardia costiera libica il Mediterraneo è rimasto sguarnito di soccorsi».

Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che nelle scorse settimane si è scontrato con il ministro dell’interno rifiutando di applicare le disposizioni del decreto sicurezza relative alla non iscrizioni anagrafica dei richiedenti asilo, ha dichiarato: «Continua un genocidio e io dico a Salvini che si farà un secondo processo di Norimberga. E lui non potrà dire che non sapeva».

Salvini ha preso parola in una diretta facebook in riva a un fiume. Con addosso la felpa della polizia si è prima congratulato per l’intervento dei due agenti di Empoli terminato con la morte di un uomo e poi ha utilizzato questo nuovo massacro per attaccare ancora le ong. La tesi è sempre la stessa, nonostante i fatti di questi mesi: secondo il ministro i migranti partirebbero perché attratti dalle possibilità di essere salvati dalle organizzazioni umanitarie. «Sarà un coincidenza – ha detto il leader della Lega – che da tre giorni c’è la nave di una ong che gira davanti alla Libia e in questi giorni tornano a partire gommoni e si contano i morti?».

Questa tesi utilizzata per screditare il lavoro degli attivisti e dei volontari e sostenere la politica criminale di chiusura dei porti si è già dimostrata falsa e infondata. Lo hanno dimostrato sia i principali soggetti che lavorano nell’ambito delle migrazioni, che le testimonianze di migliaia di persone fuggite dall’inferno libico. Flavio di Giacomo, portavoce dell’Oim, organizzazione internazionale presente anche in Libia, ha ribadito che «non è la presenza di navi di salvataggio a rappresentare un fattore di attrazione, ma sono le condizioni drammatiche che i migranti subiscono in Libia, con violenze, abusi e violazioni dei diritti umani, a costituire dei fattori di spinta».

Intanto, mentre Salvini era impegnato a parlare su facebook e il premier Conte rimandava l’impegno ad agire sul tema alla fine del mandato («mi dedicherò come avvocato al diritto penale per perseguire i trafficanti») alcune migliaia di chilometri più a sud, nel mezzo del Mediterraneo, la nave di Sea Watch traeva in salvo 47 vite. Che adesso hanno bisogno di un porto sicuro.