ROMA

Non è più tempo di “Love is Love”: intervista a Priot Pride

Giovedì 1 giugno, di sera, si terrà a Roma il Priot Pride trasfemminista, queer, dal basso, intersezionale e radicale. Una data simbolica a ridosso dell’annuale parata militare ai Fori, per rivendicare le identità non binarie fuori da ogni omonazionalismo e in opposizione al pinkwashing

Mancano pochi giorni ormai al Priot Pride, l’appuntamento che da ormai più di un mese il coordinamento romano Priot sta organizzando. Ci siamo avvicinate di nuovo, come avevamo fatto a fine marzo, ai membri di Priot per un’intervista, per comprendere il ragionamento politico e il percorso che ha portato al lancio di questa data.

Il 1 giugno avete convocato il vostro Priot Pride a Centocelle, cosa vi ha fatto maturare questa scelta?

A. Abbiamo deciso di costruire questa manifestazione perché sentivamo il bisogno di un Pride che fosse espressione politica di quanto il coordinamento ha condiviso in questi mesi. Un Pride in cui temi per noi centrali quali il l’opposizione al pinkwashing, l’anticapitalismo, il rifiuto alla trasformazione delle nostre istanze in marketing da parte delle multinazionali, la dimensione intersezionale con le battaglie ecologiste, transfemministe, anticarcerarie fossero al centro dell’attenzione.

Volevamo una Pride in cui sentirci pienamente rappresentate, fuori dal binarismo di genere, fuori da tratti omonazionalistici.

Per avvicinarsi a quella data avete costruito una campagna social sulle ragioni di un Pride diverso, ce la racconti?

K. Abbiamo provato a far emergere i più gravi elementi critici della manifestazione Pride per come si sta configurando nelle parate delle grandi città del nord globale e abbiamo spiegato perché non sono accettabili.

Abbiamo analizzato quindi uno a uno fattori quali la presenza ingombrante delle multinazionali, la presenza di forze di polizia che sfilano riconoscibili, la normatività nella rappresentazione dei corpi, il pinkwashing o rainbow washing di alcuni paesi, il perdurare della retorica del “love is love” e l’ipocrisia delle istituzioni nei confronti della manifestazione. Speriamo che il messaggio sia stato efficace.

Non era sufficiente portare questi temi durante il Roma Pride?

J. Al Roma Pride partecipano centinaia di migliaia di persone. Queste tematiche inevitabilmente vengono annacquate in quella manifestazione che, al contrario,  proprio per alcuni questi aspetti è fortemente problematica. Avevamo bisogno di alzare la nostra voce su questi temi senza sentirci soffocare da un contesto che li alimenta.

Avete però deciso di partecipare comunque al Roma Pride con un carro.

D. Certo, è una data che appartiene anche a noi ed è uno spazio che vogliamo occupare, con la nostra rabbia, con i nostri corpi, con i nostri desideri. Vogliamo occupare quello spazio perché crediamo sia importante la nostra presenza critica, perché ci permette di parlare a un ampio numero di persone che forse la pensa come noi ma non ha trovato ancora il modo per esprimerlo. Pensiamo di non vivere un periodo storico in cui sia saggio chiudersi, ma al contrario la necessità urgente è quella di espandersi e contaminare, andiamo al Roma Pride anche per questo.

Quali ragioni vi hanno portato a scegliere la zona di Roma, l’orario e la data?

M. Vogliamo portare la favolosità del Pride in quartieri che non ne sono mai attraversati. Al tempo stesso crediamo che un Pride in centro storico, a beneficio di monumenti e turisti diminuisca il suo impatto e il suo senso. Il Pride nasce per creare conflitto, per riprendersi le strade, per l’autodeterminazione visibile dei propri corpi. Tutto questo ha molto più senso in zone marginali della città. Al tempo stesso volevamo attraversare un quartiere dove poterci sentire a casa, dove molt3 di noi vivono o lavorano, abitato da molte persone queer e al tempo stesso in cui le persone queer non sono ancora al sicuro. Attraversare Centocelle per noi voleva dire tutte queste cose. Abbiamo deciso di farlo in orario serale perché siamo noi con i nostri corpi liberi e autodeterminati che rendiamo sicure le strade  le piazze della nostra città, non di certo telecamere di sorveglianza e polizia.

La data invece?

F. Il 1 giugno è il primo giorno del mese del Pride, già questo elemento ci sembrava abbastanza simbolico.  Inoltre è il giorno precedente la parata militare ai fori. Quella manifestazione, machista, violenta, oppressiva è simbolica di tanto nazionalismo incarnato nel governo fascista che è ora al potere.

Abbiamo scelto la sera precedente per ribaltare quella narrazione, per ribadire che le nostre identità non sono nazionali, per solidarizzare con tuttx coloro (noi inclus3) che con le proprie esistenze si pongono al di fuori dei confini della nazione per come essa è costruita dalle istituzioni, siano esse persone razzializzate, diversamente abili, persone queer, persone in carcere e molto altro ancora.

Loro il 2 giugno definiscono i confini dell’identità nazionale. Noi la sera prima orgogliosamente ci autodeterminiamo al di fuori e in contrapposizione a essa.

Nel frattempo il governo fa dei temi lgbtqia+ un fattore aggregante di attacco. Perché?

S. È evidente quanto questo governo fascista stia utilizzando alcuni temi sopratutto legati all’omogenitorialità per aggregare al proprio interno attaccando le istanze queer per le quali l’avversione è fattore comune ai partiti della maggioranza.

Nel frattempo le nostre vite sono sottoposte a forme di violenza sistemica come quella gravissima registrata a Milano. Proprio per questo pensiamo sia necessario esprimere radicalità e contenuti forti. Una innocua passeggiata colorata per il centro storico è incongrua rispetto alla gravità di quanto sta accadendo. Il tempo del “love is love” è finito, la violenza è quotidiana, la resistenza è necessaria.

Immagine di copertina di Dinamopress