ROMA

Non chiamatelo Nuovo Cinema Palazzo

L’occupazione del Cinema Palazzo era stata decisa per impedire che lì fosse aperto un casinò, del tutto illegalmente. Dopo lo sgombero del 2020, si prospettano nuovi processi di speculazione basati sulla rendita immobiliare e sul saccheggio del quartiere

Il 25 novembre 2020, in piena pandemia, il Cinema Palazzo è stato sgomberato definitivamente. Da allora lo spazio è rimasto vuoto e inutilizzato. La stessa cosa era successa al giardino che era stato creato lì di fronte. Gli operatori del servizio giardini del comune di Roma, affiancati dalla polizia municipale, un giorno di ottobre all’alba avevano azionato le motoseghe e tagliato il tiglio piantato nell’asfalto e il fico cresciuto all’angolo con via degli Ausoni. Erano giorni che le fioriere poste a delimitare un’area davanti all’ingresso del cinema venivano portate via e i cittadini portavano altri vasi, altre piante. Di nuovo rapite venivano sostituite da nuove fioriere. Una vera e propria battaglia di conquista di territorio. Fino a quell’ultimo attacco compiuto da tre volanti della polizia e dagli agenti della Municipale a difendere le operazioni di abbattimento dei poveri alberi cresciuti in ambiente ostile, in ogni senso. 

La presidente del Municipio Francesca Del Bello pochi giorni prima aveva dichiarato: «La trasformazione dello spazio urbano, attraverso nuove pedonalizzazioni, aree verdi e luoghi dedicati al gioco, allo sport e alle più diverse attività a cielo aperto, soprattutto in un periodo di grave emergenza sanitaria, costituisce anche uno strumento di azione sulle disparità socio-economiche che caratterizzano le città contemporanee. Il diritto allo spazio e al verde pubblico guida da anni le nostre iniziative civiche e politiche».  Tutto questo non ha impedito l’invio in forze dei giardinieri a “ripulire” il piccolo giardino già realizzato, per riportare le auto sulle strisce blu, proprio quando veniva consentito alle attività di ristorazione di occupare con i loro tavoli, senza dover pagare l’occupazione di suolo pubblico, marciapiedi e zone di parcheggio. 

L’occupazione del Cinema Palazzo era stata decisa per impedire che lì fosse aperto un casinò, del tutto illegalmente.  Tantissimi cinema, fin dalla fine degli anni Settanta, sono stati trasformati in piscine, banche o supermercati, come allora il mercato richiedeva. Una lenta agonia, attuata con semplici richieste di cambi di destinazione d’uso, tollerata nell’indifferenza delle varie amministrazioni comunali.

Almeno fino al 1995, quando il sindaco Rutelli con la Delibera n. 168. Chiamata “Nuovo Cinema Paradiso” provò a “calmierare” la bramosia edilizia dei proprietari prevedendo che una parte della superficie delle sale cinematografiche potesse essere trasformata in attività di ristorazione, librerie, attività commerciali, ma che comunque, tutto questo fosse riferito all’attività cinematografica e non dovesse superare il 15% della superficie complessiva. Dopo dieci anni il sindaco Veltroni cambia la percentuale degli spazi dedicando alle attività culturali il 50% della superfice e l’altro 50% ad attività commerciali. Ovvero il 35% in più di quanto fissato nella precedente norma. Si fornisce il via libera per far continuare a chiudere i cinema e consegnare così i “resti” di un patrimonio urbano straordinario ai desiderata della rendita immobiliare.

Da allora è in atto una pressione fortissima dei proprietari delle sale cinematografiche per farne altro. Eppure la normativa è tutt’ora valida e dunque come si può pensare di trasformare il Cinema Palazzo in un ristorante? Per dieci anni quello spazio ha prodotto cultura per il quartiere e l’intera città, ora è chiuso e in futuro non sappiamo cosa potrà diventare. Sentiremo parlare di rigenerazione, recupero, riuso di un manufatto inutilizzato. Ma chi ha costruito e fatto vivere la meravigliosa esperienza del Cinema Palazzo non si fa ingannare perché conosce bene le politiche di trasformazione urbana che la rendita è capace di mettere in atto. Lo spiegano bene nel testo che alleghiamo.

Comunicato dell’ex Cinema Palazzo: Non chiamatelo Nuovo Cinema Palazzo

Da qualche giorno si susseguono voci nel quartiere di San Lorenzo, voci relative a un nuovo imminente utilizzo commerciale degli spazi in cui per quasi dieci anni ha vissuto l’esperienza del Nuovo Cinema Palazzo. Sono voci, chiacchiericcio di quartiere – nulla di verificato, intendiamoci – ma a quanto pare a interessarsi per l’affitto della sala ci sarebbero le stesse persone che gestiscono il locale Alcazar di Trastevere. Vedremo se questa suggestione si rivelerà fondata o se sarà l’ennesimo atto della lunghissima storia di parole al vento che hanno circondato il vecchio teatro in piazza dei Sanniti.

Parole al vento, quelle delle istituzioni che negli anni non sono riuscite a preservare l’esperienza nata dalla mobilitazione moltitudinaria che ha impedito l’apertura di un casinò nel centro di Roma. Infinita la lista di promesse non mantenute, a scorrerla tutta ci vorrebbe una giornata intera: dalla giunta Marino fino a quella Raggi – che invero giunse almeno a formulare una proposta di acquisto sdegnosamente rifiutata dalla proprietà (si poteva fare di più? Senza dubbio!) – sono fioccati gli impegni di acquisizione pubblica dell’immobile, i propositi di apposizione di vincoli storici e architettonici, che mettessero in sicurezza il Palazzo da speculazioni di sorta, e le promesse solenni di pedonalizzare la piazza antistante trasformandola in un giardino pubblico.

Nulla è accaduto e fa sorridere (perché siamo persone che sanno cogliere l’ironia nell’esistenza, anche quando questa è amara come il fiele) la dichiarazione rilasciata in questi giorni al quotidiano locale RomaToday dalla presidente del II Municipio Francesca Del Bello. La presidente ipotizza oggi – dopo anni di immobilismo e fuori tempo massimo – di lavorare in quella direzione. Parole, appunto, dietro le quali si cela una verità cocente quanto banale: le amministrazioni che si sono succedute dal 2011 a oggi, senza distinzione di collocazione politica, con il loro atteggiamento attendista hanno fatto il gioco dei costruttori e dei grandi possidenti immobiliari cui sono assoggettate.

Il messaggio è chiaro: non esiste iniziativa culturale, artistica, rivendicativa – per quanto giusta, partecipata, condivisibile – che possa spuntarla contro il diritto supremo della proprietà privata, della rendita, della speculazione. Se non bastasse il Cinema Palazzo si possono prendere ad esempio, senza uscire da San Lorenzo, le vicende fallimentari dell’ex-Dogana, di via dei Lucani, delle Fonderie Bastianelli. Anche in questi casi le istituzioni non hanno voluto difendere beni pubblici o di interesse collettivo, lasciando il campo a “investitori” di ogni risma.

Qualche parola per la proprietà, tenendo anche in conto che il rinnovato interesse intorno al Cinema Palazzo nasce dalla pubblicazione di un annuncio immobiliare in cui si propone l’affitto della sala per la cifra mensile di 10.000 euro. L’annuncio – datato 13 giugno 2023 e rilanciato ad agosto, poi rimosso pochi giorni dopo che alcuni giornali locali avevano riportato la notizia – sottolineava senza remore che dei 1250 metri quadri dello stabile, circa 500 potrebbero essere adibiti ad attività ristorativa, configurando con evidenza lo spazio di ristorazione più grande di San Lorenzo.

La società che detiene la proprietà del Palazzo ha avuto la grande opportunità di cederlo al Comune. Un’opportunità che ha declinato, preferendo mantenere la titolarità del bene in attesa di tempi migliori e – ipotizziamo – cambi di destinazione d’uso che facessero schizzare il valore dell’enorme cubatura del teatro.

Ci domandiamo: ne è valsa la pena? Con il ricchissimo portafoglio immobiliare di cui la proprietà dispone – che include anche immobili di pregio in centro storico – colpisce l’avidità di una famiglia che si incaponisce in una vicenda destinata a portarle solo grattacapi e rifiuta una cifra (quasi) milionaria del Campidoglio, per poi ritrovarsi a pubblicare improbabili annunci di locazione nella speranza di far fronte alle spese ingenti che comporta mantenere l’immobile inattivo. (Per inciso, altre voci di quartiere – tanto campate in aria quanto quelle con cui abbiamo aperto questo ragionamento – vorrebbero il teatro sotto sequestro giudiziario e soggetto ad asta per inadempienze tributarie della proprietà.) Davvero, domandiamo a voi, ne è valsa la pena?

Cosa potrebbe diventare il Cinema Palazzo se a gestirlo fossero i proprietari dell’Alcazar (o chi per loro, poco importa)? Possiamo solo fare delle ipotesi: uno spazio performativo con una programmazione più o meno valida e dalla marcata tensione ludico-ricreativa, con un accento evidente sull’aspetto ristorativo, un biglietto d’ingresso, una direzione artistica, dei buttafuori e dei PR. Un locale insomma, un progetto che si muove nell’alveo del libero mercato, probabilmente legittimo nel quadro normativo in vigore e che non stravolgerebbe in maniera radicale la vocazione dell’ex-cinema.

Un progetto – nondimeno – che accelera il saccheggio del quartiere e ignora i desideri e i bisogni di chi lo abita, che ristabilisce il flusso unidirezionale della proposta culturale e di spettacolo, che non si cura delle relazioni di prossimità e che si fa beffe dell’accessibilità, raschiando il fondo del barile di un quartiere prosciugato dalle logiche estrattive del divertimento canalizzato di massa.

Chi ha vissuto il quartiere di San Lorenzo negli ultimi decenni, ha potuto verificare le trasformazioni che ha subìto, il proliferare di locali per la somministrazione di bevande, l’aumento esponenziale dei valori immobiliari, il cambiamento progressivo della composizione umana che lo ha popolato. La narrazione che accompagna il quartiere è quella che si è guadagnata sul campo nel tempo: rione indomito e ribelle, roccaforte antifascista e rifugio sicuro di movimenti radicali e antagonisti, residenza di elezione di artisti squattrinati quanto creativi.

Di questa narrazione si nutre la rendita immobiliare, vestendo di uno charme senza pari i vecchi palazzi traballanti del quartiere. Oggi, benché quei movimenti siano quasi estinti o siano migrati altrove, per quanto gli artisti veramente squattrinati abbiano trovato casa oltre il raccordo, nonostante (ahinoi) rigurgiti fascisti si affaccino tra le Mura Aureliane e il Verano, questa retorica persiste e si struttura. I motivi sono molteplici ma uno di questi, senza dubbio, è che la bohème vende alla grande. Signori, fatevi sotto! Succederà anche per il Nuovo Cinema Palazzo, ci sono pochi dubbi al riguardo.

Quando le porte di piazza dei Sanniti 9/A riapriranno al pubblico (prima o poi dovrà accadere) qualcosa rimarrà a ricordo di quell’esperienza. Che sia l’opera che l’artista STEN donò al Palazzo e che adorna la parete esterna? O forse il muro all’interno con il collage di centinaia di manifesti di iniziative?

Probabilmente molti degli artisti che abitavano il Cinema quando era occupato si esibiranno sul nuovo palco (nulla di male, bisogna pur vivere!). Ancora più probabilmente, mentre sorseggia un cocktail rimirando la volta del teatro, qualcuno ci racconterà che veniva sempre in questo posto, che qui ha visto questo o quel concerto, questa o quella rappresentazione teatrale. Quando le porte riapriranno, la gestione commerciale del teatro proverà ad alimentarsi di questo immaginario. Lo farà più o meno consapevolmente, perché a San Lorenzo funziona così, si prende quel che è stato creato in decenni di lotte, ciò che è stato conquistato con il sudore e la passione, lo si svuota di significato, lo si riduce a un involucro sterile e lo si mette a rendita.

Non ci lasciamo ingannare, il Nuovo Cinema Palazzo non è un brand, non è un logo, non è una spilletta da appuntarsi sulla giacca. Il Nuovo Cinema Palazzo, fino a prova contraria, è finito con lo sgombero del 25 novembre del 2020, quando (in piena pandemia) l’allora prefetto di Roma Matteo Piantedosi decise che tra le priorità c’era la restituzione del vecchio cinema alla proprietà. Il resto poi dovremmo averlo imparato, son parole!

Immagine di copertina di DINAMOpress. Immagini nell’articolo del Nuovo Cinema Palazzo