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Nella Terza guerra mondiale, o di come uscirne
Il libro, scritto da Sconnessioni precarie e pubblicato in primavera da DeriveApprodi, Roma 2025, è uscito questa primavera in un momento di bonaccia dei movimenti e diventa adesso un testo con cui confrontarci, proprio quando si profila una tempestosa e diffusa ripresa autunnale delle lotte
«Il nostro problema non è solo condannare la guerra, ma anche opporre alla sua dura realtà parole e pratiche che essa non sia in grado di governare».
Nella Terza guerra mondiale
In un mondo sconvolto dalle guerre, con il genocidio in Palestina che sembra non poter aver fine e ogni giorno mostra un volto ancora più feroce, la guerra e la sua logica (legge del più forte, nobilitazione della violenza, rottura di ogni mediazione e controllo autoritario) sono la misura delle forme delle relazioni su ogni scalarità, dal globale al locale. Davanti a questa contingenza emergono delle domande a cui è necessario dare risposta: come finiscono le guerre? come si articola un’opposizione alla guerra e alla sua logica? come soggettività sfruttate, queer, razzializzate, oppresse e marginalizzate, qual è il nostro ruolo?
Nella Terza guerra mondiale. Un lessico politico per le lotte del presente, scritto da Sconnessioni precarie e pubblicato quest’anno da DeriveApprodi, attraversa questi quesiti producendo una proposta discorsiva di rottura capace di cogliere la complessità di questa contingenza. Un testo che serve a pulire il campo da semplificazioni e letture “abitudinarie”. Nominare oggi la Terza guerra mondiale non vuol dire cercare somiglianze con i conflitti del ‘900 che hanno sconvolto il mondo, le uniche analogie permesse riguardano l’inchiesta sulle eventuali vie di fuga dalla guerra, ovvero dove negli scorsi conflitti si sono inserite le rotture più grandi del Secolo Breve che hanno significato la fine delle guerre. Vuol dire quindi lanciare una provocazione dentro e oltre i movimenti sociali per guardare a questi conflitti all’interno di una contingenza globale in cui il sistema capitalista non è più capace di valorizzare i movimenti delle soggettività del lavoro vivo.
Il concetto di Terza guerra mondiale viene quindi utilizzato per «stabilire un campo di visibilità in cui in tutti gli atti di guerra si riconosce una logica comune» (p. 7).
Se l’instabilità e il caos sistemico caratterizzano gli stati e i processi del capitale, dei punti fermi rimangono e anche in questa fase globale la produzione di antagonismi alle forme di dominio e valorizzazione capitaliste è una macchina sempre in movimento. Nella Terza guerra mondiale indaga e mette in tensione le categorie che hanno caratterizzato il movimento, sia a livello storico che in anni più recenti, a partire dall’universo del lavoro vivo, universo composto da soggettività che, in maniera più o meno carsica, resistono alla guerra attraverso forme di insubordinazione che calcano le linee di genere, razza e classe.
Soggettività non sempre visibili e che non si danno mai in maniera pura. Il libro, infatti, coglie una necessità emersa a partire dall’invasione russa dell’Ucraina e che si è riproposta davanti al genocidio del popolo palestinese, dove lo sviluppo dei movimenti contro la guerra si è scontrato con l’inefficacia delle “vecchie” parole d’ordine e l’utilizzo di forme di logica di guerra emerse all’interno di questi. Risulta quindi importante l’invito fatto dal libro a guardare alla guerra non solo attraverso i campi di battaglia, ma come a una condizione che pervade e si insinua nella società tutta. Oggi questo contagio dei movimenti sociali si dà innanzitutto sul piano del discorso.
Così lenti di lettura fondamentali nella critica del sistema capitalistico, come il femminismo, il decoloniale, l’ecologismo e l’internazionalismo, mostrano una flessione verso la logica di guerra, nello stesso modo in cui il concetto di Resistenza oggi assume significati molteplici, venendo utilizzato per giustificare il regime di guerra in varie parti del mondo, come avviene per quanto ha riguardato l’Asse della Resistenza. Il libro pone in critica questa flessione identificando nel fenomeno del campismo uno dei fenomeni più evidenti di come la forma ideologica del militarismo si possa insinuare nei movimenti. Per campismo si intende il meccanismo discorsivo per cui attraverso l’identificazione di un nemico universale vengono messe in risalto le forze avversarie a questo proponendo una contrapposizione simbolica che rende omogenei gli schieramenti sui campi di battaglia, invisibilizzando le soggettività oppresse che all’interno si oppongono al regime di guerra.
Il concetto di Terza guerra mondiale serve a cogliere che la sfida che si pone nell’articolazione dei movimenti transnazionali contro la guerra è quella di «sottrarre alla guerra il privilegio di stabilire l’ordine delle priorità» (p. 53), che vuol dire rifiutare la logica della guerra in tutte le sue articolazioni.
Il filo che lega la tensione espositiva del libro è il concetto di militarismo: il militarismo è l’ideologia della Terza guerra mondiale, che sovrascrive i rapporti sociali estendendo gli effetti della guerra anche al di là dei territori e dei fronti sui quali è combattuta» (p. 45). L’utilizzo di questo termine serve in primo luogo a contestualizzare la Terza guerra mondiale laddove non è combattuta direttamente, ma contemporaneamente costruisce l’immagine di un dispositivo disciplinare che compone la vera essenza della deriva neo-autoritaria che stiamo vivendo. Infatti, non è una casualità che la fascistizzazione degli Stati e delle società corrisponda a una congiuntura di guerra, e il militarismo serve quindi a controllare le soggettività del lavoro vivo, laddove Stato e capitale non riescono a ricondurre all’ordine, allo stesso tempo producendo effetti di arruolamento e mobilitazione, materiali e simbolici, che rinsaldano le fila delle comunità proiettando la logica del nemico in forme di guerra interna.
Logica che pesa sui rapporti di sfruttamento della forza lavoro e aiuta a rinsaldare i vincoli patriarcali della produzione e della riproduzione, nobilita forme di violenza razzista e patriarcale legittimando il diritto del più forte anche sul piano dei rapporti sociali, stabilendo che «la violenza è una strategia d’ordine sempre praticabile e persino necessaria per punire la pretesa di libertà di chi non vuole essere oppressa» (p. 48).
Guardare quindi al mondo in questa maniera permette di superare i nodi e le impotenze che una lettura geopolitica riproduce. Laddove ogni orizzonte sembra segnato e ogni decisione diventa incontestabile, ancora di più in assenza di mediazione, è ancora possibile pensare a forme di fuoriuscita dalla guerra che non la riproducano in “tempo di pace”. Oggi davanti alla prospettiva di pace che Donald Trump vorrebbe imporre in Ucraina e in Palestina, davanti alla fine conclamata del diritto internazionale, è necessario rompere con l’idea che la pace significhi soltanto la fine della guerra guerreggiata, seppure il cessare del fuoco delle armi è un orizzonte necessario. L’idea di pax trumpiana, rilanciata costantemente dal presidente degli Stati Uniti anche davanti all’evidente incapacità di porre fine ai combattimenti, dimostra il suo significato nella massima della «continuazione della guerra con altri mezzi».
Ancora una volta «l’operazione di riduzione della complessità sociale è tradotta in operazione di sostituzione della realtà» – come scriveva Antonio Negri, Fabbriche del Soggetto, Ombre Corte 2013, p. 207; ed ecco di nuovo l’ottimismo della volontà, la mistificazione della pace armata serve a sviluppare la guerra su un altro campo, come contro le soggettività migranti negli Usa. L’orizzonte della pace è una conquista che oggi va organizzata sul piano transnazionale, rompendo la logica degli schieramenti e ritrovando forme di conflitto intersezionale.
Di nuovo la necessità che si pone davanti a noi è: «riconquistare la pace non come fondazione dell’oppressione ma come espressione di libertà» (p. 26) – se non proprio come espressione di Liberazione.
Nella Terza guerra mondiale, uscito questa primavera in un momento di assenza di movimenti sociali capaci di incidere significativamente contro la guerra, diventa un libro con cui confrontarsi proprio adesso, dove tra le piazze contro il piano di riarmo europeo, la guerra e il genocidio e la partenza della Global Sumud Flotilla si sta profilando un nuovo autunno di lotte sui luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università. Questi processi politici saranno chiamati, in parte lo sono già, a scontrarsi con le tensioni riportate nel libro e ne affronteranno altre ancora da chiarire.
In questo senso nella formulazione della Terza guerra mondiale altri temi avranno bisogno di essere approfonditi, partendo dal ruolo dell’Europa oggi, stretta tra le passioni di rinazionalizzazione autoritaria interne agli Stati membri e un alleato che impone dazi e agenda economica, dimostrando che nel regime di guerra saltano amicizie e alleanze. Oggi il campo europeo continua a esistere e tenta di rilanciarsi attraverso il riarmo, anche se l’assenza di un’autonomia strategica, la crisi produttiva e la mancanza di competitività sul piano delle nuove tecnologie, ne ridimensionano il ruolo a livello internazionale. L’Europa rimane lo spazio minimo in cui organizzare una mobilitazione contro il regime di guerra, ma la sfida è quella di tracciare un via di uscita globale dalla Terza guerra mondiale.
L’immagine ritrae la copertina del libro
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