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Come nasce il valore-rete. Un ricordo di Benedetto Vecchi

Un intervento sulle teorie di Benedetto Vecchi, scomparso il 6 gennaio scorso. Oggi, sabato 29 febbraio, si terrà a Esc una giornata di ricordo e riflessione a partire dal suo pensiero.

In questo intervento riprendo alcune considerazione che ho svolto durante il convegno “Le piattaforme del capitale”, 3-4 marzo 2017, Milano, organizzato da EuroNomade con Macao. Un contributo che verrà poi pubblicato, in versione diversa, nel libro a cura del Bin-Italia, Il reddito garantito tra algoritmi, innovazione tecnologica e robotica (Asterios Edizioni, 2018), con il titolo “Umani, macchine e reddito di base”.

Il convegno del marzo 2017 è stata per me l’ultima occasione di discutere con Benedetto Vecchi. Benedetto stava per dare alle stampe il suo Capitalismo delle piattaforme, io stavo ultimando il libro Economa Politica del Comune. Inutile dire che è stato un incontro molto fruttifero, soprattutto per me, dal momento che stavo cominciando a elaborare il concetto di valore-rete, come nuova forma di valorizzazione, che meglio specificava lo sfruttamento di alcune attività cognitive “industrializzate” e la messa a valore gratuita delle relazioni sociali umane tramite e piattaforme che anno oramai invaso le nostre vite.

Elenco in questa sede i punti che sono stati oggetto della discussione con Benedetto Vecchi e da cui ho tratto insegnamento.

Dieci punti sul capitalismo delle piattaforme e sul valore rete

1. L’attuale fase del capitalismo si fonda su tecnologie di linguaggio che necessitano un’attività relazionale e riproduttiva. La relazione linguistica è alla base delle economie di apprendimento, di rete e di riproduzione sociale. La produzione cosiddetta “immateriale” acquista sempre più peso. Non siamo più nel Postfordismo, termine oggi desueto ma utile negli anni Ottanta per designare i primi timidi tentativi di fuoriuscire dalla crisi del Fordismo; siamo nel pieno del capitalismo cognitivo e nella sua fase ulteriore: il capitalismo bio-cognitivo. Se il capitalismo cognitivo metteva a valore la vita tramite il lavoro, ora il capitalismo bio-cognitivo mette a valore la vita in modo diretto, senza passare dalla una prestazione lavorativa certificata come tale. Ciò è possibile, grazie agli algoritmi e alle piattaforme.

2. L’immaterialità della produzione non ha un modello omogeneo di organizzazione. Di conseguenza, abbiamo una flessibilità del lavoro di matrice doppia: trasversale e verticale. Trasversale: perché riguarda i diversi ambiti settoriale al cui interno il linguaggio e le sue modalità di trasmissione e codificazione dettano il tipo di organizzazione del lavoro. Verticale: perché il linguaggio implica una nuova forma di divisione del lavoro, che definiamo cognitiva, che si innesta, trasformandola, sulla classica divisione smithiana del lavoro.

A seconda del tipo di attività è possibile registrare diversi livelli di cooperazione sociale sulla base del grado di autonomia della produzione. In ogni caso, l’utilizzo di tecnologie linguistiche presuppone nella maggior parte dei casi una codificazione e un controllo. L’informatica crea procedure “industrializzate”, dove il termine “industrializzazione” deve essere inteso nel suo significato alquatiano, (organizzazione seriale di procedure – in questo caso linguistiche-comunicative, come specificato in Lavoro cognitivo e industrializzazione di Salvatore Cominu). Abbiamo diversi casi di “industrializzazione” nel terziario immateriale e nel capitalismo delle piattaforme. Qui l’insegnamento di Vecchi è determinante

3. Siamo di fronte a una nuova macchina. La macchina di cui parliamo non è il classico mezzo di produzione meccanico (che non scompare affatto ma si delocalizza alle più diverse latitudini) ma piuttosto quella macchina linguistica che oggi è rappresentata dall’algoritmo. L’algoritmo è un concetto fondamentale dell’informatica, quindi è uno strumento in primo luogo linguistico applicato alla nozione di calcolabilità. Non è infatti un caso che sia un concetto cardine anche della fase di programmazione di un software.

Il principale campo di applicazione è rappresentato oggi dai social media e dalle produzioni computazionali di dati: data-mining e, più in generale, dal capitalismo delle piattaforme. Se inizialmente le tecniche di data-mining erano la sofisticata evoluzione di tecniche di calcolo statistico (e ancora oggi vengono studiate in questa prospettiva impolitica e neutrale), oggi sono sempre più fortemente interrelate con le caratteristiche personali, in grado di definire raccolte differenziate (individualizzate) di dati da commerciare poi liberamente.

4. Se nell’ultimo decennio del secolo scorso, possiamo assistere a una sorta di “taylorizzazione del lavoro intellettuale e di intellettualizzazione del lavoro manuale”, oggi tale processo è andato ben oltre la dicotomia, seppur ridefinita, tra manualità e intellettualità, sino a rendere superata tale differenza. Una differenza che oggi è stata ricompresa all’interno del termine “lavoro cognitivo” (esito del processo di “cognitivizzazione del lavoro”) e ampliata in quello di “lavoro relazionale”. Il processo di organizzazione delle attività umane che ruotano intorno alla tecnologia algoritmica consente di tramutare il valore d’uso implicito nelle relazioni informali degli esseri umani in valore di scambio appropriabile da pochi. Nasce così il valore-rete come forma particolare ma moderna del valore-lavoro contemporaneo.

5. Il valore di rete è allo stesso tempo esito di un processo di sfruttamento, di estrazione e di imprinting. È la forma di plusvalore del cognitivo, a cui bisognerà aggiungere il plusvalore del bios. Esso è dato dalla compenetrazione del sistema sensoriale umano (da quello percettivo dei 5 o più sensi a quello nervoso) con la rete informazionale e digitale che sempre più avvolge l’attività di produzione e accumulazione. Da questo punto di vista, assistiamo al divenire macchinico dell’umano, al divenire spaziale (ovvero relazionale) dell’umano, ma allo stesso tempo al divenire umano delle macchine.

6. Se nella produzione standardizzata della catena di montaggio era l’essere umano a essere appendice della macchina, ora è la macchina a essere appendice dell’essere umano, ma in un contesto diverso. Nel taylorismo, l’essere umano non può essere fagocitato nella macchina. Nel capitalismo bio-cognitivo, la macchina è invece immersa nel cervello e nel corpo umano, viene “interiorizzata”, sia fisicamente (dalle protesi bio-robotiche all’intelligenza artificiale ai cip sottocutanei…) che intellettivamente. Non è quindi il semplice rovesciamento simmetrico del rapporto. Si può “industrializzare” infatti tutto ciò che è ”esterno” e solo in minima parte le facoltà di vita “interne” all’uomo. Ne consegue che, perché si produca valore di rete, è necessaria la partecipazione individuale e apparentemente autonoma, ovvero una complicità soggettiva, cosciente o incosciente.

7. La nozione di composizione tecnica è fondamentale per comprendere le modalità di attuazione dei processi di sussunzione del lavoro al capitale. Ai tempi della grande fabbrica, la sussunzione del lavoro era eminentemente sussunzione reale. Con tale termine vogliamo sottolineare, in modo generico, che il processo di sfruttamento e di estrazione del plus-valore passa dalla fase dell’estensificazione (sussunzione formale) a quella dell’intensificazione del processo lavorativo.

Condizione per tale intensificazione è la definizione di un rapporto preciso, di separazione, tra l’umano e la macchina, condizione imprescindibile per l’attività manifatturiera e l’avvento della fabbrica (nel senso marxiano del termine).È una separazione che rimanda alla separazione tra capitale variabile e capitale costante, ovvero tra lavoro vivo e lavoro morto.

Ma nel capitalismo bio-cognitivo, tale rapporto non è più unico. La composizione tecnica cambia natura e non è più definibile né in senso teorico-astratto, né in senso “politico”. L’ibridazione tra umano e macchina spariglia le carte. E scompagina le forme della rappresentazione politica del lavoro e, di conseguenza, le forme della rappresentanza del lavoro. Diciamolo con franchezza: il lavoro (al singolare) non ha più possibilità di rappresentazione, dal momento che la soggettività (del lavoro) si decompone in mille rivoli.

Nel capitalismo bio-cognitivo, la prestazione lavorativa richiede un coinvolgimento delle facoltà cognitive-relazionali e fisiche degli esseri umani. Tale coinvolgimento e partecipazione umana avviene con diversa intensità, a seconda delle applicazioni necessarie per lo svolgimento della stessa prestazione lavorativa.

8. All’interno del capitalismo delle piattaforme (algoritmiche), ad esempio nel caso dei servizi alla ristorazione (Glovo, Deliveroo), oltre alla messa in rete della propria disponibilità di tempo, occorre anche una presenza fisica muscolare (la fatica del rider) sino a poter riparlare di forme di cottimo. Lo stesso si può dire per Uber. In questi casi il lavoro è sussunto all’organizzazione del capitale in termini più reali che formali e il tempo rimane ancora l’unità di misura che definisce la remunerazione del lavoro. Nel caso, del tutto diverso, di servizi avanzati di tipo immateriale, tipici della sharing economy, del coworking, o nella crowd-funding economy, dove subentra una partecipazione diretta al processo di finanziarizzazione, il coinvolgimento diventa così anche partecipazione attiva alla valorizzazione capitalistica.

9. La produzione di valore di rete richiede comunque un processo organizzativo. I dati e le informazioni che ognuno di noi fornisce alla rete non sono tali da generare, ipso facto, valore di scambio. Essi, direbbe Marx, si presentano come valore d’uso. È necessario un processo di manipolazione e organizzazione perché si possano trasformare in valore di scambio a vantaggio del profitto e soprattutto della rendita (vedi Gafam). Tale processo viene svolto da una nuova funzione manageriale: la business intelligence. Essa organizza un vero e proprio ciclo di produzione che definisce il processo di sussunzione reale che oggi caratterizza il capitalismo delle piattaforme. Secondo gli schemi del management americano, tale processo di suddivide in 3 fasi:

a. la cattura dei dati;

b. la loro pulizia, validazione e integrazione

c. la successiva elaborazione, aggregazione e analisi

A questo punto, l’output è pronto per essere valorizzato sui mercati finali.

Si tratta di una valorizzazione che avviene a valle, lasciando ampi margine di presunta autonomia e dove è il tempo di vita, spesso non certificato e spesso non remunerato, a costituire l’ambito dell’accumulazione, non più misurabile in modo diretto. Ma è anche una valorizzazione che richiede un processo di organizzazione, che trasforma l’iniziale autonomia di produzione del dato come valore d’uso in strutture di gerarchizzazione e comando capitalistico. Sussunzione formale che si trasforma in sussunzione reale dando vita alla sussunzione vitale.

10. Ciò che accomuna questi diversi casi è il fatto che, in entrambi i contesti, il fine ultimo è comunque la produzione di valore di scambio. Certo, non in tutti i casi. Vi sono significative eccezioni dove l’obiettivo è sperimentare forme di produzione “dell’essere umano per l’essere umano”, dove il comune come metodo di produzione viene riconosciuto e valorizzato.

E qui che si possono intravvedere germi di forme di autorganizzazione autonoma del lavoro. Un’autonomia che assume forme, in questo contesto, diverse da quelle formalmente autonome ma eterodirette. L’eterodirezione non è comandata da rapporti di committenza e/o subfornitura definite all’interno del ciclo di produzione. Si tratta così di forme di auto-organizzazione della cooperazione sociale, del tipo “bottom-up”.

Spesso e volentieri tali forme di autonomia del comune, se non riescono a diventare economicamente sostenibili e continuamente riproducibile in modo autonomo, diventano prede di cattura della valorizzazione e mercificazione capitalista. Il desiderio di alternatività economica e politica, che ne determina la nascita, tende poi ad affievolirsi necessariamente a causa del sorgere del ricatto del bisogno e della sopravvivenza.

Il loro nascere “contro” o altro” diventa così serbatoio di innovazione sociale che alimenta, anche in modo inconscio, gli animal spirit del capitale, tramutandosi in linfa fresca per la sua perpetuazione.

Possiamo definire tale condizione come attività (lavoro) auto-diretta. Se nella fase post-fordista, la diffusione del lavoro autonomo di seconda generazione è caratterizzato prevalentemente da etero-direzione, nell’attuale fase di sviluppo del capitalismo bio-cognitivo dove non vi è una netta separazione tra l’umano e la macchina e dove gli elementi di autonomia possono pervadere l’intero ciclo di valorizzazione, l’auto-direzione si afferma ma all’interno di una valorizzazione comunque capitalistica.