ITALIA

Napoli, le occupazioni studentesche non si fermano

«Levano un grido» studentesse e studenti di Napoli occupando il 31 gennaio il Liceo Classico Vittorio Emanuele. Denunciano la cattiva scuola e chiedono risposte. Riceviamo e pubblichiamo

Il 31 gennaio noi studenti, studentesse e student* del Liceo Classico Vittorio Emanuele II abbiamo occupato l’edificio “de Sanctis” dell’Istituto, nel cuore di Napoli. Questa esperienza ha permesso all’intera comunità studentesca di riappropriarsi di spazi di cui, in realtà, dovremmo essere sempre protagonisti, e di evidenziare ancora una volta, problematiche che ormai fanno parte del Dna del sistema scolastico italiano e non sono solo sintomi del Covid e della pandemia. Questioni che da troppo tempo le istituzioni si rifiutano di affrontare.

La scuola, che dovrebbe essere un trampolino di lancio per il futuro, viene trattata da anni come l’ultima ruota del “carro” delle politiche governative e, con tutte le sue problematiche puntualmente trascurate, non fa altro che permanere in un ormai cronico ritardo.

Per molti è stata necessaria una pandemia per rendersi conto dei gravissimi problemi strutturali che affliggono il sistema scolastico, primo fra tutti quello dell’edilizia. Dalla riforma Gelmini in poi è diventato “normale” trovarsi in classi sovraffollate che se prima rendevano dispersiva la didattica, ora diventano un vero e proprio rischio per la salute.

Da studenti, ci si ritrova ad essere estremamente combattuti nel momento in cui si deve scegliere fra il diritto alla scuola e quello alla salute: il solo fatto che ci si debba porre questa domanda è drammatico.

Questo problema emerge in maniera ancora più prepotente in una città come Napoli, ricca di edifici storici, oggi sede di istituti scolastici, che non vengono però messi nelle condizioni di assolvere alle loro funzioni: è facile infatti trovarsi a seguire lezioni in aule che un tempo erano adibite ad altro e che quindi non sono adeguate né tanto meno sicure per gli studenti e gli insegnanti che le vivono.

Non è inusuale, infatti, trovarsi per tante ore consecutive in un’aula priva dell’areazione necessaria, una condizione se può lasciare interdetti in una situazione di “normalità”, fa drizzare i capelli nel momento in cui ci si trova nel mezzo di una pandemia.

Se prima i problemi erano gravi, quindi, ora lo sono sicuramente di più e nonostante ciò, chi di competenza non sembra preoccuparsene troppo.  Sono infatti due anni ormai che gli studenti di tutta Italia chiedono interventi da parte delle Istituzioni, che rispondono con un assordante silenzio. Ma i problemi non finiscono qui.

In questi giorni si è discusso di un’altra la piaga che colpisce e mortifica la scuola: la famigerata “alternanza scuola-lavoro”. Era da un pò che non se ne discuteva con tanto fervore, ma ora, come risvegliatici da un lungo periodo di assopimento, sembra essere una delle nostre priorità. Com’è giusto che sia, peraltro.

Qual è il motivo di questo risveglio delle coscienze? Probabilmente il peggiore.

Lorenzo Parelli era uno studente di Udine di 18 anni, travolto da una trave di 150 chili durante uno stage in una fabbrica. Ma questo, purtroppo, ormai lo sappiamo tutti.

Quello che forse non è arrivato al Ministro Bianchi è il fatto che questo non è “un incidente isolato” ma l’esito di un sistema che alla formazione degli studenti preferisce anteporre la produzione di futuri lavoratori, per i quali la normalità vuol dire lavorare sottopagati e correndo il rischio di morire.

I Corsi di formazione professionale hanno ucciso a meno di un mese dalla morte di Lorenzo anche Giuseppe Lenoci, sedicenne schiacciato tra le lamiere di un furgone a Serra de’ Conti, in provincia di Ancona mentre stava svolgendo un tirocinio in una ditta di termoidraulica.

Un’altra vittima della scuola azienda e della follia di questo ingresso nel mondo che getta i ragazzi nel vortice del lavoro non qualificato. Quando il lavoro viene messo prima della formazione dello studente in quanto persona, non si può che riscontrare il più grande fallimento della scuola.

Fa rabbia il silenzio delle istituzioni e del Ministro Bianchi al quale vorremmo chiedere che fine abbia fatto la promessa riforma degli istituti professionali, ma in senso lato che fine abbia fatto la scuola.

A chi serve la scuola lavoro? Di certo non a noi, bensì a chi si arricchisce e ne trae guadagno.

A cosa serve? Di certo non a noi, eppure per qualcuno sembra essere di fondamentale importanza scaraventarci nel mondo del lavoro, come lo intende questo sistema produttivo: non retribuito e che non tiene conto delle inclinazioni di ogni ragazzo e ragazza.

Sembra che per questo qualcuno prima ci rendiamo conto che è questo ciò che ci aspetta, meglio è. Al diavolo i progetti, al diavolo lo studio, al diavolo la scuola.

Si è ormai abituati a sacrificare le ore curriculari di scuola per quelle di “alternanza” e, alle soglie del terzo anno, rinunciare ai percorsi personali pomeridiani di formazione per fare qualcosa che, nella maggior parte dei casi, non ci interessa minimamente e non ci lascia nulla, se non un grande vuoto.

Andare a fare uno stage in una fabbrica mette a rischio la sicurezza personale, ma anche stare davanti a un computer per tre, quattro ore di fila, porta alla più totale alienazione. In ogni sua forma, l’alternanza è un rischio per la salute fisica e psicologica dei ragazzi e delle ragazze.

Tante energie vengono spese per l’alternanza scuola lavoro, per i Pcto, quando invece sono molte altre le cose che andrebbero affrontate con lo stesso impegno. Si pensi alla didattica, che resta la stessa di sempre, rigida e poco inclusiva; alla carenza di insegnanti, alla sicurezza delle strutture.

O ancora, si pensi alla tutela psicologica degli student* all’interno della scuola, che dopo due anni di Dad, quarantene e restrizioni, dovrebbe essere considerata da tutti di vitale importanza.

La Scuola, come la Sanità, si è ritrovata in questa crisi ad essere uno dei pochi pilastri della società a dover necessariamente restare in piedi, seppur in modo disastroso.

Come possono le fondamenta di quello che dovrebbe essere lo Stato sociale, essere così fragili? Come possono essere così degradate quando invece il loro compito dovrebbe essere quello più importante?

Di fronte a questo disastro vogliamo provare ad aprire un dialogo con tutt* gli/le student* in lotta in tutta Italia, per aprire una discussione e un piano di lotta che converga su pochi punti semplici ed essenziali:

  • Finanziamento di PON facoltativi che sostituiscano l’alternanza scuola lavoro ed effettivamente contribuiscano alla crescita formativa dello studente, in linea con le sue aspirazioni e in maniera coincidente con il percorso di studi che ha scelto;
  • Investimenti nell’edilizia scolastica per una scuola sicura;
  • Assunzioni immediate di personale docente per evitare le “classi pollaio”;
  • Investimenti nella tutela psicologica all’interno delle scuole piuttosto che nei Pcto

L’occupazione del Liceo Vittorio Emanuele è la nostra denuncia di quelle che sono le condizioni della Scuola italiana e il tentativo di aprire un dibattito. Iniziative come questa sono necessarie per far sentire la nostra voce: sono oramai due anni che facciamo sempre le stesse richieste, alle quali si risponde con un silenzio che ha il sapore dello scherno. Contro tutto questo abbiamo levato un grido.

Che questo grido arrivi sempre più forte.

Tutte le immagini di Collettivo Vittorio Emanuele