ITALIA

Misure cautelari a Torino contro gli antifascisti. Una lettera

Dopo l’operazione repressiva della Questura nei confronti di studenti e studentesse dell’Università di Torino per i fatti del 13 febbraio scorso, pubblichiamo un intervento dell’Assemblea dottorand*, precar* e docenti del Campus Luigi Einaudi

Nella giornata del 23 luglio una imponente operazione della procura di Torino ha portato all’emissione di diciannove misure cautelari (3 arresti domiciliari, 7 divieti di dimora, 9 obblighi di firma), tutte a carico di studentesse e studenti dell’Università di Torino in seguito alle vicende del 13 febbraio scorso. Come Assemblea dottorand*, precar* e docenti del Campus Luigi Einaudi prendiamo di nuovo parola su quella vicenda alla luce dell’operazione repressiva condotta dalla procura di Torino questa mattina.

A quel tempo, ci eravamo espressi con una lettera che avevamo intitolato, appunto, Per la verità che, ora con più convinzione e più urgenza di prima, riteniamo necessario far circolare (in calce a queste righe). A quella ricostruzione a caldo aggiungiamo oggi alcuni spunti per una riflessione più ampia, che trascende il singolo episodio per indicare un quadro critico più generale, entro il quale ci sentiamo di collocare l’idea dell’università che difendiamo e che intendiamo contribuire a costruire.

 

Ci è quindi impossibile non intravedere, in questa vicenda, una grave e più generale minaccia al diritto allo studio.

 

Il messaggio che sta passando è che questo diritto universale, sancito costituzionalmente, possa essere impugnato, sospeso o revocato, in base a considerazioni moralistiche, di parte e oggettivamente discriminatorie. Insomma, un assurdo rovesciamento delle priorità della politica, che invece dovrebbe lavorare per allargare la platea dei beneficiari delle borse di studio, con l’obiettivo ultimo di eliminare le vertiginose diseguaglianze nell’accesso all’istruzione. La politica di Sciretti si inserisce in coerenza con un uso sproporzionato e punitivo delle misure cautelari al quale ci stiamo tristemente abituando e che già di per sé compromette il diritto allo studio. Allontanare dagli spazi universitari studenti e studentesse impedisce loro di proseguire nel percorso formativo.

Ci sembra altresì che questa vicenda sia rivelatrice di un processo di criminalizzazione dell’antifascismo, valore di cui l’università si proclama portatrice ma che, nei fatti, non sembra disposta a interpretare oltre un certo tipo di manierismo istituzionale. È significativo che, da una parte, vengano disposti spazi e rappresentanza a chi, avvalendosi di tutto un repertorio di retoriche scioviniste, vorrebbe riabilitare un pezzo di vergognosa storia nazionale, mentre, dall’altra, non si oppone quando una contestazione spontanea a un volantinaggio viene portata all’esasperazione fino all’emissione di 19 (!!) misure cautelari. Oltre alle cariche e ai fermi, è bene ricordare come
l’assemblea organizzata a seguito della giornata del 13 febbraio (e all’interno della quale noi avevamo condiviso la nostra lettera), sia stata letteralmente accerchiata da una decina di camionette di polizia e carabinieri, posizionate su corso regina e oltre la Dora.

 

L’azione della procura trae anche legittimità da un certo stile di amministrare questa città, che favorisce il linguaggio tecnico del “management”, piuttosto che quello più conflittuale della politica.

 

Questa supposta neutralità dell’agire è però in grado di affrontare le tensioni politiche e sociali solo quando le derubrica a questioni di ordine pubblico.

Ma è proprio nel rifiutare questa pretesa di neutralità che, nel nostro ruolo pubblico di docenti e precari dell’università, esprimiamo solidarietà agli studenti e alle studentesse colpite dalle misure cautelari. Auspichiamo l’apertura di una riflessione e di un dibattito profondo a partire da questi elementi da noi qui solo abbozzati. Crediamo in un’idea di Università come luogo di elaborazione critica, in cui non possono trovare spazio tanto posizioni fasciste, razziste ed omofobe, quanto l’intrusione (violenta) delle forze di polizia.

 

Per la verità

Da molti anni alcune rumorose forze politiche e culturali, caratterizzate da un nazionalismo grottesco, usano le vicende storiche che attraversarono il cosiddetto confine orientale dell’Italia nei primi anni quaranta del Novecento per rivalutare il ventennio fascista e le figure che lo incarnarono: Mussolini, in primo luogo. Intorno al “giorno del ricordo”, si gioca una partita ideologica che punta a rimuovere il collaborazionismo del regime fascista con il nazismo e nascondere i crimini contro l’umanità compiuti dall’esercito italiano. È invece in tale contesto che la questione delle Foibe andrebbe inserita.

Tuttavia, in una città come Torino, insignita molti anni fa di una medaglia al valore per ricordarne l’impegno antifascista nelle Resistenza, sono ormai frequenti le aggressioni di stampo neofascista e antisemita, con scritte ingiuriose e minacciose sotto le abitazioni dei discendenti di alcuni dei protagonisti di quella stagione antica e degli antifascisti di oggi. Aggiungiamo l’aggressione allo storico Eric Gobetti, autore di ricerche solide e riconosciute nel mondo scientifico su temi ai quali la Regione Piemonte si accosta invece annunciando il proposito di diffondere nelle scuole pubblicheun fumetto piuttosto volgare e di stampo fascistoide, intitolato Foiba rossa.

In questo contesto, giovedì 13 febbraio, mentre al Campus Einaudi dell’Università si svolgeva un convegno con l’intenzione di affrontare la complessità e piglio critico il tema Fascismo, colonialismo e foibe, il gruppo Fuan distribuiva un volantino, colmo della solita retorica nazionalista, attaccando l’Anpi, tra i promotori dell’iniziativa.
Il gruppetto, protetto come accade da molti anni da poliziotti in tenuta antisommossa, si è in verità dileguato dopo pochi minuti: nessuno “scontro” con i numerosi studenti che li contestavano. E i momenti di contatto tra antifascisti e polizia avrebbero potuto essere derubricati a poca cosa, a essere onesti: invece interviene la decisione delle forze dell’ordine di operare un fermo.

Non ci rivolgiamo alla Questura, la cui gestione delle piazze torinesi negli ultimi mesi è stata quanto meno discutibile, all’insegna di una aggressività troppo spesso ingiustificata; non ci rivolgiamo ai giornali, i cui resoconti, salvo poche eccezioni, sono tutti convergenti per non dire artificiosi, troppo uguali nei toni di un racconto dei fatti, cui probabilmente nessun giornalista ha potuto davvero assistere; in questo frangente denunciamo i ripetuti attacchi personali alla Professoressa Raffaella Ferrero Camoletto, le cui parole sono state distorte dai giornali e interpretate ottusamente dal sindacato di polizia. Non ci rivolgiamo nemmeno alla Magistratura, in particolare ai frettolosi uffici che convalidano arresti e dispensano poi condanne e lezioni di morale con una leggerezza inquietante.

Ci rivolgiamo alla comunità universitaria, ai cittadini del quartiere in cui ha sede il Campus, a ogni spirito libero e critico: la contestazione al Fuan non è stata organizzata ma spontanea; la resistenza alle pressioni delle forze dell’ordine non è stata frutto di azioni “premeditate”: nessuno dei partecipanti al presidio è apparso travisato o armato di alcunché; gli studenti si sono contrapposti a un fermo che appariva in quel momento totalmente ingiustificato e per cui ci si aspettava un rilascio immediato. Al suo posto si sono susseguite almeno quattro cariche scomposte e violente da parte delle forze dell’ordine.

Ma qui, oltre le cariche, contano gli atteggiamenti, tanto più gravi se agiti dalle forze dell’ordine: i poliziotti agitano non solo i manganelli, battuti ripetutamente contro i loro scudi, quasi a rammemorare pose guerresche, ma lanciano insulti umilianti all’indirizzo dei manifestanti: insulti, è quasi inutile dirlo, sessisti e razzisti, tanto che una funzionaria superiore in grado si sente in dovere di tacitarli imperiosamente, mentre i responsabili delle istituzioni universitarie presenti assistono passivi. E poi gli altri tre fermi, tanto per rasserenare il clima.

Il giorno successivo ad attizzare gli animi ci pensano i vertici dell’Università: non solo vengono posizionate due guardie armate (!) davanti all’aula che era stata del Fuan, ma si chiede ai docenti e agli studenti presenti nella palazzina Einaudi di sgomberare i locali… dando nel contempo ampie garanzie che la polizia non sarebbe intervenuta contro gli studenti antifascisti riuniti in assemblea. Un atteggiamento irresponsabile, che ha creato insicurezza, non il contrario, e ha impedito il regolare svolgimento degli esami in corso.

Ultimo ma non meno importante, giunge puntuale come l’allergia in primavera, la provocazione del leghista di turno, che si agita nello stesso brodo di coltura dei revisionisti fascistoidi: ora a parlare è il Presidente dell’Ente regionale per il diritto allo studio universitario Sciretti che, per non sapere parlare né scrivere, propone di sospendere le borse per gli “antagonisti” arrestati e denunciati. Si tratta della stessa figura che esattamente un anno fa, in occasione delle manifestazioni contro lo sgombero dell’Asilo di via Alessandria, affermò: «Ci vorrebbe un po’ di scuola Diaz». Visto che intorno al “giorno del ricordo” la memoria pare vacillare più del solito, rammentiamo che per quel raid indegno di un paese democratico numerosi esponenti della Polizia di Stato furono condannati e interdetti dai pubblici uffici

Che ognuno si faccia le sue opinioni, cercando di acclarare i fatti. Alla Professoressa Ferrero Camoletto esprimiamo la nostra più piena solidarietà, così come agli studenti e alle studentesse coinvolte\i in questa vicenda. Noi nel rispetto dei nostri ruoli e dei principi fondamentali di qualsiasi convivenza civile, siamo e restiamo antifasciste\i.

Assemblea dottorand*, precar* e docenti del Campus Luigi Einaudi

 

Foto di copertina dalla pagina Facebook di Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito