ITALIA

Il “mercato delle illusioni” dell’Alternanza Scuola Lavoro: intervista a Luisa delle Cattive Maestre

Nella giornata delle mobilitazioni studentesche contro gli Stati Generali dell’Alternanza Scuola Lavoro, abbiamo intervistato Luisa delle Cattive Maestre. Con lei abbiamo parlato di sfruttamento nella scuola riformata, femminilizzazione del lavoro e delle possibili intersezioni tra il movimento studentesco e le mobilitazioni di Non una di meno

Partiamo dalla tua esperienze di docente. Dall’interno del sistema scolastico, qual è la tua percezione dell’alternanza scuola-lavoro?

 

Vorrei partire da un fatto recente, per me molto significativo, che si è prodotto all’esterno della scuola. Mi riferisco all’appuntamento annuale della grande MAKER FAIRE di Roma.

Pur non essendo in grado di quantificare la dimensione della diffusione, sembrava che il leitmotiv di quest’anno fosse proprio la centralità dell’alternanza scuola-lavoro.

Ciò che più mi ha colpita è stato osservare che nelle pieghe dell’innovazione tecnologica si è inserito e sedimentato un sistema di innovazione sociale in cui, dietro la mostra dei progetti svolti nelle scuole, che in sé potrebbe rappresentare un elemento di restituzione motivazionale, si nasconde un meccanismo pericolosissimo di sostituzione del lavoro salariato.

Per citare il titolo di un libro di Marco Bascetta, avevo la sensazione di trovarmi in un vero e proprio “mercato delle illusioni”, in cui gli studenti e le studentesse, per un intero weekend, si ritrovavano anche inconsapevolmente, ad essere parte di un grande team di sfruttat*.

Purtroppo e mi riferisco alle nostre esperienze quotidiane, molto spesso sono gli stessi docenti o le famiglie, legate ad una visione novecentesca del mercato del lavoro, a dare indicazioni sbagliate su come funziona, creando ed alimentando delle false aspettative.

 

L’alternanza scuola lavoro, pone fin da subito il problema dei confini labili tra le attività formative e quelle lavorative, tra apprendimento e sfruttamento. Mentre il dibattito politico è concentrato nel denunciare gli abusi e le storture del sistema, l’impressione che si ha è che gli abusi siano piuttosto la dimostrazione della natura più intima della misura: l’addestramento alla precarietà lavorativa e al sottoimpiego. Come inquadri questa misura rispetto alle trasformazioni che hanno riguardato il sistema della formazione?

 

La legge 107/15, la cosiddetta “Buona Scuola”, introduce massicciamente forme di lavoro gratuito già a partire dai banchi di scuola.

Sappiamo bene che il potenziamento dell’Alternanza Scuola Lavoro è stato il fiore all’occhiello per il governo Renzi, ma che la realtà è ben altra, e non ha nulla a che vedere con un progetto formativo.

Gli studenti e le studentesse sono obbligat* a svolgere dalle 200 alle 400 ore in aziende con l’imbroglio della “gavetta” che non ha più tanto il compito di preparare al lavoro salariato quanto quello di sostituirlo.  Gli studenti e le studentesse non verranno mai assunt* alla fine del percorso, ma ciclicamente se ne impegneranno altr* che l* rimpiazzeranno, e questo permette alle aziende di esimersi dalla retribuzione di migliaia di posti di lavoro.

Siamo davanti ad un fenomeno che è bene analizzare: da un lato siamo di fronte alla reintroduzione del lavoro servile, attraverso la non-retribuzione delle attività svolte presso le aziende in cui vanno ad operare, dall’altra va sottolineato che con l’ Alternanza Scuola Lavoro, di fatto, si reintroduce il lavoro minorile nel nostro paese, sdoganando un principio di civiltà elementare che pensavamo erroneamente potesse essere indiscutibile.

Dobbiamo analizzare gli effetti prodotti da questo strumento di politica attiva, sull’allargamento del confine del mercato del lavoro, e più precisamente, come muta il contratto di compravendita della forza-lavoro in una situazione in cui il differimento salariale assume una temporalità quasi infinita.

I confini del mercato del lavoro si espandono in questo modo, fino alla relazione educativa, mettendo in crisi il confine tradizionale tra formazione scolastica e mercato del lavoro, producendo immediatamente il soggetto della forza-lavoro sfruttata in ogni segmento della vita.

 

Venerdì ci saranno mobilitazioni in tutta Italia contro la convocazione degli Stati Generali dell’Alternanza Scuola Lavoro da parte della ministra fedeli. In molti credono che siano una mossa della Ministra per rispondere alle critiche di questi mesi. Cosa pensi di queste mobilitazioni?

 

I movimenti studenteschi degli anni 2000 parlavano di “precari in formazione”, con l’Alternanza Scuola Lavoro il movimento degli studenti e delle studentesse diventa immediatamente un movimento di precari/e e sfruttat*.

Dentro questa trasformazione, il fatto stesso che gli studenti lottino contro queste forme violente di precarizzazione delle nostre vite, apre alla possibilità di una nuova “intersezionalità” delle lotte.

Ci auguriamo che, anche nel quadro ipertrofico dello sfruttamento, si possa invece alimentare questa tendenza.

 

Quest’ultimo anno in Italia i movimenti degli studenti contro l’Alternanza Scuola Lavoro e quello femminista contro la violenza di genere, sono stati tra quelli che hanno maggiormente attirato l’attenzione pubblica. Dalla tua doppia posizione di internità a un collettivo di docenti che partecipa al movimento di NUDM, quali possibili connessioni politiche e convergenze programmatiche tra questi due movimenti?

 

Non una di meno è stato il primo movimento che ha fatto della pratica dell’intersezionalità il suo orizzonte strategico.

Intersezionalità che per noi ha significato il riconoscimento delle molteplici forme che la violenza maschile assume, dunque, per riconoscerla e contrastarla era necessario tenere dentro la nostra riflessione e la nostra azione politica, le questioni che riguardano il genere, la “razza”, la classe, l’ambiente, le trasformazioni del lavoro e del welfare e dell’educazione e formazione.

Noi in particolare lo abbiamo fatto partendo da una prospettiva situata nel settore in cui operiamo da lavoratrici precarie della scuola, nella cornice del rifiuto totale della legge 107/15, e insistendo sulla “femminilizzazione” del lavoro e su altri aspetti del lavoro vivo e riproduttivo.

Il processo di femminilizzazione del lavoro ha un duplice aspetto, quello puramente sociologico, ovvero la composizione della forza-lavoro femminile legato ai cicli più bassi dell’istruzione (il cosiddetto soffitto di cristallo), ma è un processo che ci interroga immediatamente su quegli aspetti sommersi che caratterizzano la natura stessa del lavoro delle docenti.

Il processo della femminilizzazione del lavoro, si riflette anche nel lavoro di educazione, e come un gioco di specchi, con la sua insistenza sul lavoro di cura, sugli aspetti relazionali, affettivi, legati alla pratica dell’insegnare, si lega ad un processo centrale della fase neoliberale, che è quello della “fabbricazione del soggetto”, inteso come dicevo prima,  come fabbricazione della nuova forza-lavoro, con le sue caratteristiche fondamentali richieste in questa fase: propensione alla cura, alla competizione, spirito di adattamento, capacità di autoimpresa ecc…

Caratteristiche che invece hanno l’obiettivo ben preciso del demansionamento del lavoro ridotto ad una missione o predisposizione naturale al sacrificio.

Da questo punto di vista ciò che ulteriormente importante da evidenziare, è che la femminilizzazione del lavoro e questa specifica forma di precarietà, non riguarda solo le donne ma si estende alla forza-lavoro tout court.

L’ Alternanza Scuola Lavoro è solo uno degli strumenti attraverso cui la violenza del capitalismo agisce in una fase di acuta ricattabilità economica, e noi in quanto insegnanti ci rifiutiamo di educare le nuove generazioni al lavoro gratuito.

Attraverso la pratica femminista del partire da sé, Non una di meno ha prodotto avanzamenti nel dibattito femminista e riflessioni innovative a partire dal contrasto alla violenza in tutte le sue forme e ci ha reso profondamente consapevoli di come il femminismo non sia solo una questione delle donne ma di tutt*.

Alle trasformazioni del lavoro e alle forme di violenza economica abbiamo contrapposto il nostro “Piano Femminista contro la violenza maschile sulle donne e violenza di genere” che è stato immediatamente una pratica politica di organizzazione del dibattito e dei nostri obiettivi politici.

Concludo con una citazione dal piano:

“Al fine di rompere la frammentazione e l’isolamento che contraddistinguono il lavoro contemporaneo” opponiamo “mutualismo e solidarietà contro i ricatti, le molestie le discriminazioni e ogni forma di violenza dentro e fuori i posti di lavoro.”(pag 31, par Mutualismo e solidarietà) “pretendiamo un salario minimo europeo, un reddito che noi definiamo di autodeterminazione, incondizionato e universale, slegato dalla prestazione lavorativa, dalla cittadinanza, dalle condizioni di soggiorno.” (pag.29 par. Il mondo del lavoro contemporaneo”).

A partire da queste basi, credo sia possibile e anche necessario immaginare dei punti di collegamento con le mobilitazioni degli studenti.