ROMA

Maam, il museo sotto sgombero se la canta e se la suona. Conversazione con Giorgio de Finis

Un’esperienza di città diversa, meticcia e che si lega all’arte indissolubilmente viene raccontata da Giorgio de Finis in occasione del compleanno del Maam, il museo abitato dell’altro e dell’altrove di Metropoliz

Conversazione con Giorgio de Finis antropologo, ideatore e curatore del Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, un’occupazione abitativa a Roma che oggi si trova in cima alla lista degli sgomberi stilata dal Comune. Il cosiddetto “museo abitato” compie 10 anni e sabato 23 aprile ci porterà ancora una volta sulla Luna.

Sono passati 10 anni da quando all’interno dell’ex salumificio Fiorucci in via Prenestina è nato un museo. All’interno di un’occupazione abitativa, lontano dalle aree centrali della città come è nata l’idea di realizzare spazi espositivi? Quale è stato il primo gesto che ha dato il via a tutto il resto?

Il MAAM è figlio del cantiere cinematografico e d’arte Space Metropoliz, che nel 2011 invitò i 200 migranti e precari che avevano trovato un tetto in questa fabbrica di salami, a realizzare un razzo per andare sulla Luna, terreno di utopia dove era possibile, anche per “vite di scarto” di Bauman, ricominciare! Raggiunta la Luna (l’Altrove, parola non a caso scelta per il nome del museo), abbiamo incominciato a costruirla con l’aiuto degli artisti, che nel giro di pochi anni hanno trasformato questo relitto urbano in un immenso corpo tatuato, con oltre 600 opere attaccate ai muri che rappresentano una barricata a difesa dei diritti dei senza diritti. Sebbene nato sin dall’inizio come un museo “abitato”, le due facce della medaglia del MAAM, l’arte e l’abitare, sono andate negli anni sempre più legandosi, tanto che oggi Metropoliz non chiede case popolari ma di abitare nel suo museo.

Foto da pagina Facebook Maam

La coabitazione del museo con le case abitate dagli occupanti rappresenta sicuramente un’innovazione tipologica. Quali sono state le difficoltà incontrate, se ci sono state? O piuttosto si sono create sinergie positive?

Legare insieme arte e abitare vuol dire riconoscere all’arte un ineludibile legame con la vita, e al tempo stesso ribadire, se fosse necessario, che soddisfare i “bisogni” non basta a renderci umani. Ci sono i sogni, c’è il dispendio, quella immensa sfera di cose “inutili” che ci caratterizza come esseri sociali.

Il Metropoliz, con il suo museo, immagina e sperimenta sul campo la possibilità di una città diversa, più equa e inclusiva, senza alto e basso, centro e periferia, da costruire insieme come uno spazio del comune. Sono sempre più convinto che “abitare” sia una parola che riguarda la città, e solo marginalmente il tetto. Abitare è ormai una “pratica urbana” e politica che si contrappone a chi la città la pensa come un insieme di mq da stoccare nei caveaux delle banche.

C’è una città dell’abitare che va tutelata come l’ecosistema di riferimento dei Sapiens del Terzo Millennio (che per il 50% + 1 dal 2007 hanno deciso di vivere in città), contro gli attacchi della speculazione e della finanza globale che potrebbe in linea di principio è capace di immaginare una città svuotata come l’abbiamo vista durante la pandemia.

Questo anniversario cade in un momento molto difficile, visto che l’occupazione di via Prenestina 913 è il primo della lista degli immobili da sgomberare. Come pensate di difendere questa esperienza, unica al mondo, che se fosse cancellata rappresenterebbe una grave perdita per tutta la città?

Lo abbiamo detto e scritto: senza Metropoliz non è la mia città. Tutti gli spazi abitativi e culturali autogestiti rappresentano una ricchezza per la città e vanno protetti (forse dovrebbero sostenersi di più l’un l’altro). Ma l’esperienza di Metropoliz credo abbia una marcia in più nel senso che mi pare sia stata capace di cambiare gioco, uscire dal film indiani contro cowboy e trovare connessioni inedite con altri pezzi di città.

Nonostante questo percorso unico nel suo genere rieccoci in testa nella lista degli sgomberi, con la proprietà che reclama ulteriori risarcimenti multimilionari e una amministrazione che sembra incapace di avere un millesimo dell’inventiva e della creatività messa in campo a Metropoliz, cosa che permetterebbe di traghettare questa esperienza in acque più tranquille. Al potere manca la fantasia, o forse… proprio il potere.

La candidatura che avete presentato per inserire il MAAM Metropoliz fra i beni del patrimonio immateriale dell’umanità all’UNESCO pensi che possa rappresentare un argine alla minaccia di essere spazzati via?

Senza dubbio qualora fosse accolta. Quella che abbiamo candidato non è la collezione, ma l’esperienza di convivenza e la costruzione partecipata di uno spazio culturale e artistico davvero pubblico.

Pensi che dal MAAM possa venire una spinta a trasformare l’idea di museo e in generale del rapporto della città con la produzione e la fruizione di eventi culturali? Oppure la città meticcia che Metropoliz rappresenta è ancora un’idea troppo avanzata per l’idea di città che le istituzioni sembrano non voler abbandonare?

Il MAAM guarda e parla alla città del futuro, che, come ci dicono gli esperti, non sarà di acciaio e cristallo, ma di lamiera e cartone. Nonostante rappresenti una sorta di avamposto dove c’è tutto ciò che nella città globale stride, la spinta c’è già stata, eccome! Basti pensare alla straordinaria sperimentazione del MACRO Asilo, che è nata in seno alla riflessione avviata dal MAAM.  Anche se chiuso “preventivamente” (il mandato prevedeva 2 anni +2) lo spazio “agonistico” che si è potuto realizzare nel museo di arte contemporanea di Roma versione “asilo” credo rappresenti un punto di non ritorno per quella che è l’odierna riflessione sul ruolo del museo, che deve essere uno spazio democratizzante come suggerito dalla nuova definizione proposta da ICOM a Kyoto, purtroppo rifiutata dall’Italia.

Cosa avete organizzato per festeggiare questi primi dieci anni di una storia che ha dell’incredibile?

In un modo davvero speciale, con una maratona musicale no-stop di oltre 12 ore, con musicist*, orchestre, gruppi, bande, voci soliste, dj che abiteranno gli spazi del museo facendolo risuonare. Sarà una grande festa, con una scaletta da capogiro, che vuole farsi beffa dell’aggressione in corso rimandando al mittente un messaggio chiaro, vale a dire che “il museo sotto sgombero se la canta e se la suona”. In questa occasione presenteremo anche il nuovo catalogo del museo abitato (il terzo), una nuova edizione per i tipi Bordeaux.

La festa poi proseguirà il Primo Maggio all’Auditorium Parco della Musica, con Voices of Lives (2022) dell’artista relazionale Piero Mottola, una partitura inedita interpretata proprio dagli abitanti di Metropoliz, e dalla soprana solista giapponese Keiko Morikawa.

Qui il programma della giornata

Immagine di copertina di Andro Malis per Museo dell’Altro e dell’Altrove