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EUROPA

Lottare per l’autodeterminazione dell’Ucraina

«Ridurre la guerra a un conflitto fra Occidente e Russia nega agli ucraini e alle ucraine la propria soggettività e la volontà d’azione dentro il conflitto». Una lunga intervista dal di dentro della resistenza

Ashley Smith di “Spectre” ha parlato con Yuliya Yurchenko, autrice di Ukraine and the Empire of Capital: From Marketization to Armed Conflict(Pluto, 2018). Yurchenko è senior lecturer di economia politica presso il Political Economy, Governance, Finance and Accountability Institute dell’Università di Greenwich. È anche co-presidente del Critical Political Economy Research Network.

Quali sono le condizioni in cui si trova il popolo ucraino, nel mezzo di questa guerra? Qual è la situazione relativa alla resistenza militare e civile contro l’invasione russa?

Innanzitutto, è veramente un’ottima cosa poter avere questa conversazione e raccontare la storia di questa guerra dal punto di vista di una persona ucraina e di sinistra. Penso che tutti siano a conoscenza di come i bombardamenti russi abbiano danneggiato terribilmente intere città, in particolare Mariupol, e abbiano ucciso un numero ancora sconosciuto di civili. Le truppe della federazione hanno spinto un numero enorme di profughi fuori dal paese e ancora più persone a dislocarsi internamente al territorio ucraino. Nessuno sa le cifre precise.

Milioni di rifugiati sono scappati nelle nazioni confinanti, dove sono stati accolti ricevendo aiuto e un riparo. Al contempo, si sono verificati casi di migranti e rifugiati non-bianchi bloccati o respinti alla frontiera. Ciò ha creato brutti scontri al confine.

Al momento mi trovo a Vinnytsia, approssimativamente a metà strada fra Kyiv e Lviv. È considerata una delle città più tranquille dell’Ucraina. Siamo stati colpiti dai missili russi ma non così di frequente come da altre parti. Ci sono molti rifugiati interni che sono fuggiti qui e hanno trovato riparo in scuole, alberghi, appartamenti affittati e abitazioni di altre persone. Reti di volontari e volontarie stanno fornendo loro cibo, vestiti e medicine.

Da quando è stata introdotta la legge marziale e i rifornimenti sanitari sono stati sequestrati per metterli a disposizione delle truppe, l’accesso ai medicinali è diventato un problema serio. È molto difficile ottenere prescrizioni per l’insulina e per coagulanti dal momento che non si può andare dal proprio medico di famiglia e le scorte sono scarse.

Quindi, i rifugiati e le rifugiate interne devono far fronte a problemi di salute molto gravi, nonostante l’aiuto dei corpi volontari. Sapremo con esattezza quanti danni ha fatto la guerra solo quando questa sarà terminata. Ma molte persone stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vita e di salute, in particolare quella mentale.

Ciononostante, la resistenza è veramente di massa. Un numero enorme di persone ha deciso di unirsi volontariamente alla resistenza militare, e sono molte più di quelle che le forze armate può accogliere. Chi non ha mai ricevuto alcuna forma di addestramento militare per ora è stato rifiutato.

Ci sono quindi delle grandi riserve di persone volenterose di servire la resistenza militare che sono state addestrate a combattere sotto il vecchio sistema sovietico. La Russia certamente non può vantare un fatto simile per parte sua. Non dispone neanche della credibilità politica per chiamare alle armi i riservisti, dal momento che i russi non hanno alcuna ragione convincente per combattere, fatto salvo per alcuni miti imperialisti di scarsa presa.

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Per il popolo ucraino, al contrario, si tratta di una lotta per la propria esistenza. La nostra identità nazionale, i nostri confini territoriali, e la nostra stessa sopravvivenza si trovano al momento sotto attacco. In sintesi, la mobilitazione e la solidarietà in difesa del paese su scala nazionale è stata massiccia, nonostante lo schiacciante vantaggio delle forze militari russe.

Le persone non si arrendono, nonostante l’inevitabile impatto disumanizzante della guerra, nonostante le violenze sessuali, le immagini, i video e i resoconti demoralizzanti che raccontano la distruzione di intere aree del paese. Stiamo respingendo l’invasione russa. C’è una resistenza popolare totale che ci fa sentire orgogliosi.

In pochi si aspettavano questo livello di resistenza militare e civile, inclusi i più patriottici e ottimisti in Ucraina. La resistenza ha anche colto di sorpresa le potenze occidentali che, credo, hanno sottovalutato la minaccia dell’invasione russa e pensavano che l’Ucraina avrebbe capitolato all’istante. Credevano che ci sarebbe stata una sconfitta brutale ma che comunque il tutto sarebbe finito in un paio di settimane.

E allo stesso modo la pensava Putin. Quindi, la nostra resistenza ha scioccato il mondo. Ma non avrebbe dovuto in realtà sorprendere nessuno. La Russia ha scatenato un senso di resistenza che ha le sue radici nella lotta secolare dell’Ucraina contro l’imperialismo russo.

Un elemento degno di nota è costituito dalla la resistenza che si è sviluppata all’interno delle zone russofone dell’Ucraina. Come sappiamo, la Russia ha tentato di sfruttare le divisioni esistenti fra ucrainofoni e russofoni fin dalle proteste di Euromaidan del 2013. Hanno occupato la Crimea e dato sostegno alle cosiddette Repubbliche Popolari a Lugansk e Donetsk, molti leader delle quali sono stati messi al potere dalla Russia. Come si sta sviluppando la resistenza nelle zone russofone del paese?

La resistenza in aree russofone, come a Mariupol, è stata galvanizzante. Ha fatto cadere il mito propagato da Putin per cui ciò che il leader russo stava facendo sarebbe stato liberare le persone che parlano russo da un’oppressione fascista. Nessuno può più crederci.

Allo stesso tempo, dobbiamo tener presente da dove provengono le divisioni fra ucrainofoni e russofoni. Sono state fabbricate ad arte nella coscienza collettiva a partire dalla compagna presidenziale del 2004 e si sono consolidate dopo le proteste di Maidan nel 2013-14. Maidan era una sollevazione popolare che riguardava non tanto l’ingresso nell’Unione Europa, quanto l’opposizione agli oligarchi che controllano il paese, la repressione brutale del governo contro i e le manifestanti, la frustrazione per decenni di illegalità e corruzione.

In quella sollevazione l’estrema destra, che costituiva solo una piccola parte della protesta, ha giocato un ruolo preponderante dal punto di vista organizzativo. Commentatori dei media di proprietà degli oligarchi pro-Russia, per non parlare dello stato russo, hanno dato a queste forze una grande sovraesposizione televisiva, raffigurando l’Ucraina come uno stato governato dai fascisti. Questo non per negare la presenza dell’estrema destra nel nostro paese e la minaccia implicita che rappresenta, ma per ribadire che si è trattato di un fenomeno esagerato per ragioni politiche da parte della Russia e dei suoi alleati – ragioni utilizzate per giustificare l’annessione della Crimea e il supporto dei separatisti russi a Lugansk e Donetsk, dove molti leader sono stati messi al potere dalla Russia.

La reazione popolare in Crimea e nelle cosiddette Repubbliche Popolari è stata complessa. Non è facile farsi un’idea precisa e oggettiva di ciò che la gente pensa in quei posti. È chiaro però che molti temevano la violazione ai propri diritti linguistici ma, allo stesso tempo, molti desideravano rimanere in Ucraina.

È un contesto davvero complicato che ha portato a divisioni anche all’interno di ambienti familiari. La paura di tanti era che non avrebbero avuto alcun futuro per via delle privazioni socioeconomiche che sia l’uno che l’altro regime avrebbe causato. I dati sociologici ci mostrano un quadro complicato al di là degli errori di prospettiva e dei pregiudizi più superficiali.

Il conflitto fra il governo ucraino e le sue formazioni paramilitari di ultradestra operanti nel Donbass ha esacerbato queste divisioni. Ha causato atrocità di ogni sorta da entrambe le parti. Molti sono fuggiti dalla zona, alcuni diretti in Ucraina, alcuni verso la Russia.

Come risultato di questo processo, la composizione sociale della Crimea e delle cosiddette Repubbliche Popolari è cambiata drammaticamente. Ma questo non significa che tutte le persone in quei territori vogliono disperatamente far parte della Russia. Sappiamo anzi che c’è un forte livello di resistenza all’invasione russa anche in quelle aree.

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In Crimea la popolazione tartara, che era stata oppressa sotto gli zar e poi da Stalin, si è opposta alla repressione russa. Si sono verificati anche seri problemi nelle cosiddette Repubbliche Popolari che hanno portato a un profondo scollamento della popolazione dai leader che le controllano. Ci sono state politiche di de-industrializzazione e la chiusura di alcune miniere. I sindacati hanno accusato gli staterelli separatisti e sono stati oggetto di violazione di diritti umani e repressione.

In realtà, le cosiddette Repubbliche Popolari non sono repubbliche e non sono popolari. Si trovano al momento sotto un controllo semidittatoriale e sotto sorveglianza dello stato russo. Con l’aggiunta che Putin non è neanche certo della loro lealtà e affidabilità! Mentre si preparava l’invasione, la Russia ha cominciato a inviare ordini ai funzionari separatisti di queste Repubbliche affinché si preparassero a mobilitarsi per l’incipiente assalto. Non tutti, però, erano contenti, neanche tra i funzionari. Per garantirsi la lealtà di questi ultimi, Mosca ha portato le loro famiglie in Russia – essenzialmente come ostaggi per riportarli all’obbedienza con un ricatto.

Se la Russia ha certamente dei sostenitori nelle repubbliche separatiste, allo stesso modo c’è dissenso e una certa opposizione aperta alla guerra. Questo è altrettanto vero in Crimea dove, nonostante il sostegno per la Russia, sussistono anche dissenso e opposizione.

Facciamo un passo indietro rispetto queste dinamiche per analizzare le cause sottostanti alla guerra in corso. Perché è impreciso ridurre il conflitto a un semplice scontro inter-imperialista fra Usa/Nato da una parte e Russia dall’altra? In che modo un’impostazione simile non tiene in considerazione la lotta di liberazione nazionale?

Ridurre la guerra a un conflitto fra Occidente e Russia ignora completamente l’Ucraina e la tratta al pari di una mera pedina fra grandi potenze. Questo tipo di analisi nega agli ucraini e alle ucraine la propria soggettività e la volontà d’azione dentro il conflitto. In più, rimuove la discussione rispetto al nostro diritto ad autodeterminarci e la nostra lotta per la liberazione nazionale.

Naturalmente il conflitto in corso possiede anche una dimensione di scontro inter-imperialistico. È ovvio. Ma c’è anche un livello nazionale che va riconosciuto. E per farlo, occorre adottare un punto di vista decoloniale.

Bisogna rifarsi a quanto ci hanno insegnato le lotte di liberazione nazionale in Africa e altrove. Anche in quei casi in cui erano coinvolte potenze in competizione fra loro, erano comunque presenti lotte per la liberazione nazionale del popolo oppresso. E i pensatori e i leader anti-colonialisti ci hanno insegnato che è necessario dare voce a quei popoli e alle loro lotte.

L’Ucraina si trova in una simile condizione di lotta. Viene molto spesso dimenticato che abbiamo sofferto secoli di imperialismo russo, non da ultimo durante il periodo sovietico sotto Stalin, in misura minore a partire da Khruschëv.

È vero, l’ucraino veniva insegnato a scuola, ma solo come seconda lingua. Sì, la cultura ucraina non era repressa, ma veniva il più delle volte ridotta a stereotipi esotizzanti. Dietro questo superficiale riconoscimento dell’Ucraina, la Russia – la sua lingua e la sua cultura – regnava suprema. Se volevi davvero essere integrato socialmente, era necessario scrivere in russo, adottare la cultura russa e seguire le norme artistiche russe.

Lo sciovinismo culturale russo non ha fatto altro che approfondirsi sotto il regime di Putin. L’élite russa sognava di ripristinare il proprio dominio sulle sue antiche colonie come l’Ucraina per ristabilire la propria sfera d’influenza, nel momento in cui quest’ultima veniva scalzata dagli Stati Uniti. Naturalmente, questo ha portato la Russia a entrare in conflitto con gli Stati Uniti, che rimangono la potenza egemone dal punto di vista globale.

In questo conflitto, la Russia non può dunque che essere considerata alla stregua del progetto politico rappresentato dagli Stati Uniti e dalle altre potenze capitalistiche. Proprio come queste potenze, la Russia è uno stato capitalista e neoliberale che combatte per ottenere più maggiori porzioni di territorio, risorse e profitto. I suoi governanti non si curano di migliorare le condizioni di vita quotidiana del proprio popolo che è invece sfruttato e oppresso.

In alcune città come San Pietroburgo le condizioni di vista sono migliori. Ci sono migliori infrastrutture, salari e pensioni. Ma al di fuori di queste aree, il paese è allo sfascio. Qua in Ucraina lo veniamo a sapere dai soldati russi fatti prigionieri, generalmente arruolati nelle città più piccole e povere. Sono scioccati dal vedere cose basilari come le strade asfaltate dei villaggi e della campagna ucraina.

Il regime russo, la burocrazia statale e gli oligarchi hanno derubato la loro stessa nazione e ora governano attraverso la repressione e sviando l’attenzione del proprio popolo verso minacce esterne di un cambio di potere o fantasie di ricostruzione dell’impero perduto. Questo li ha portati a sfidare gli Stati Uniti e a conquistarsi almeno un supporto tacito da parte della Cina.

Questa dimensione inter-imperialistica non deve impedirci di riconoscere la centralità della lotta ucraina per la propria indipendenza sia dal dominio russo che dall’imperialismo occidentale. E la competizione imperialistica non deve impedirci di vedere i comuni interessi di classe che “tagliano trasversalmente” il conflitto a un livello internazionale.

Ci sono gli oligarchi russi che sfruttano la forza-lavoro russa. Ci sono gli oligarchi statunitensi che sfruttano la forza-lavoro statunitense. Ci sono gli oligarchi ucraini che sfruttano la forza-lavoro ucraina. E ci sono gli oligarchi cinesi che sfruttano la forza-lavoro cinese. E ci sono oligarchie transnazionali che sfruttano tutte e tutti noi. Questo tipo di analisi di classe si concentra sui nostri interessi comuni contro questa banda di belligeranti fratelli capitalisti.

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Proviamo a concentrarci sugli sviluppi del capitalismo oligarchico in Ucraina, che hai analizzato nel tuo libro Ukraine and the Empire of Capital. Quali sono le sue peculiarità economiche e le sue caratteristiche politiche? In che modo il presidente in carica Zelensky rientra in queste coordinate e in che misura invece se ne discosta?

Negli ultimi decenni si è assistito a un’espansione massiccia dell’impero capitalistico. Si è diffuso rapidamente nel Sud Globale dopo che i suoi progetti di sviluppo sono stati compromessi, indeboliti e hanno fallito. L’impero capitalistico ha fatto lo stesso in Est Europa e in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

La Russia ha ereditato dall’Urss tutte le responsabilità legali, le obbligazioni relative ai trattati internazionali, la moneta e le possibilità di accesso al capitale. Sotto la pressione del sistema neoliberale e dei suoi consiglieri, la Russia è stata sottoposta a privatizzazioni di massa; gli oligarchi hanno approfittato della liberalizzazione del mercato per concentrare nelle proprie mani i capitali, mentre Putin ha costruito un nuovo stato repressivo, capitalistico e neoliberale per tenere sotto controllo il paese.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, le altre ex-repubbliche divennero improvvisamente indipendenti, senza avere una moneta propria o dei capitali. In una simile situazione, non hanno avuto altra scelta che rivolgersi a istituzioni finanziarie internazionali come l’Fmi o la Banca Mondiale.

L’Ucraina ha stabilito i propri rapporti con l’Fmi nel 1992. Sotto la sua tutela, il nuovo governo ucraino ha privatizzato le proprietà statali che rappresentavano praticamente tutto ciò che c’era nel paese. Ovviamente, i cittadini avevano delle proprietà, come le automobili. Ma quasi tutto il resto, dai terreni alle abitazioni, era posseduto dallo stato.

Le abitazioni, per esempio, venivano costruite dallo stato e date ai lavoratori impiegati in particolari aziende e imprese. Di colpo, tutto questo è stato svenduto. I lavoratori poterono privatizzare – o “comprare” – le proprie case a bassissimo prezzo, che è il motivo per cui oggi il tasso di proprietà immobiliari è così alto in Ucraina.

Lo stesso programma di privatizzazioni è stato portato avanti nel campo delle industrie di stato. Vennero create delle quote di partecipazione per ciascuna impresa e vennero distribuite ai lavoratori in forma di voucher. Ma i lavoratori, che si trovavano in una condizione di forte impoverimento per via dell’inflazione galoppante e che pertanto avevano bisogno di liquidità per sopravvivere, iniziarono a rivendere questi voucher ai manager. Simili dinamiche si verificarono con i terreni, l’acqua i servizi – al netto delle differenze a livello regionale e di settore. In pratica, i manager si sono “pappati” in questo modo tutta la ricchezza della nazione.

Sostanzialmente, abbiamo assistito a ciò che Marx chiamava accumulazione primitiva o originaria del capitale. E c’era veramente tanto da accumulare per la nuova classe degli oligarchi capitalisti. Nella regione del Donbass, per esempio, ci sono molte industrie pesanti a un sacco di risorse naturali come gas, ferro, minerali e carbone. Coloro che sarebbero diventati oligarchi si sono accaparrati la maggior parte di queste risorse.

Durante il processo con cui si sono impadroniti di queste proprietà, gli oligarchi e le loro reti criminali hanno costruito gruppi industriali di successo, composti sia da imprese che da banche. Questi conglomerati sono molto concentrati e diversificati fra loro.

Gli oligarchi brandiscono questo potere di stampo capitalistico per controllare la politica in maniera diretta e indiretta. Alcuni di loro sono infatti diventati politici. Altri utilizzano i loro rappresentanti di fiducia. Si sono assicurati il controllo di consiglieri, agenzie di pubbliche relazione e di tutta una seria di “tecnologie di manipolazione politica” messe a punto in Occidente per garantirsi la base di consenso elettorale necessaria a occupare tutti i ruoli di potere.

Il controllo esercitato sullo stato gli ha consentito di accelerare ancora di più il processo di accumulazione negli anni ‘90. Hanno avuto mano libera dal momento che i capitalisti europei erano concentrati sull’Europa centrale, la Russia era debole e il capitale internazionale non era ancora entrato in gioco. Così, hanno depredato la proprietà statale per il proprio arricchimento.

Questi oligarchi erano inoltre in competizione fra loro. Una competizione che si sovrapponeva alle divisioni territoriali e linguistiche fra ucrainofoni e russofoni. Gli oligarchi strumentalizzavano tali divisioni a favore dei propri interessi politici durante le campagne elettorali, trasformando differenze preesistenti generalmente non-conflittuali in questioni divisive, fomentando pregiudizi.

Si è trattata di un’efficace strategia per dividere e controllare la popolazione che continuava a resistere al loro saccheggio attraverso ondate di proteste dal basso, dalla Rivoluzione Arancione del 2004 fino alla sollevazione del Maidan nel 2013. Queste divisioni sono state ulteriormente amplificate dalla diversità di relazioni che gli oligarchi intrattenevano con Unione Europea da una parte e Russia dall’altra. Avrebbero enfatizzato le divisioni per mantenere e controllare le relazioni con entrambe queste potenze.

Tutto ciò ha raggiunto un punto di non ritorno durante il Maidan. Le persone si sono sollevate contro gli oligarchi e il governo, i nazionalisti di estrema destra hanno sfruttato la protesta e il loro partiti hanno provato ad appropriarsene. I separatisti russi hanno quindi creato le loro cosiddette repubbliche, la Russia ha occupato la Crimea, ed è nato un conflitto armato in Donbass. Il battaglione fascista Azov si è strutturato in questo contesto.

Ma bisogna essere chiari: l’Ucraina non è quel focolaio di fascismo dipinto dalla propaganda russa. Per esempio, i partiti di estrema destra sono stati surclassati nelle elezioni del 2014. Il loro consenso è diminuito drammaticamente e hanno perso seggi.

L’elezione di Zelensky ha rappresentato una reazione popolare alle divisioni scioviniste ed è stata dunque espressione di una speranza di pace. Zelensky è una figura interessante. Dietro di lui c’è un consenso di forze e oligarchiche e di campagne propagandistiche basate sulle promesse, per quanto ingenue, di pace e di lotta alla corruzione.

Alla fine, ha governato come ogni altro politico neoliberale, ha fallito nel garantire la pace e ha sottovalutato i problemi della corruzione e del saccheggio oligarchico. In aggiunta a tutto questo, è stata denunciata la sua incompetenza nel gestire la macchina governativa. Il suo consenso è sceso, mentre anche gli standard di vita della popolazione colavano a picco.

Prima della guerra, era altamente improbabile che venisse rieletto. Ma in questo momento è un eroe di guerra e si è garantito la vittoria di una nuova tornata elettorale se l’Ucraina dovesse ancora esistere come nazione con un sistema democratico alla fine del conflitto.

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Fino a ora abbiamo parlato dell’imperialismo russo in Ucraina. Qual è invece il ruolo dell’imperialismo occidentale, soprattutto delle sue politiche economiche?

Abbiamo sofferto il controllo dittatoriale degli stati occidentali e delle loro istituzioni finanziare internazionali (Ifi). Hanno portato avanti i precetti delineati da Francis Fukuyama all’inizio degli anni ‘90 per cui il libero mercato e la sua logica della competizione capitalista avrebbero dovuto procedere a briglia sciolta.

Le Ifi hanno concesso prestiti a condizioni che gli stati si ritirassero dalle proprietà di industrie e servizi, de-regolamentassero l’economia, indebolissero i diritti sul lavoro e assicurassero un trattamento preferenziale e protezione agli investitori. Tutto ciò doveva servire a migliorare la competizione economica, e il nuovo ruolo dello stato doveva essere il mero mantenimento dell’ordine sociale.

In altre parole, la protezione dei ricchi contro i poveri. Pertanto, ben lungi dal democratizzare la società, le prescrizioni del libero mercato hanno invece favorito le svolte autoritarie di cui siamo stati testimoni in Est-Europa, Russia e Ucraina.

La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers), l’Fmi e la Banca Mondiale hanno autorizzato solo certi tipi di intervento economico e politico. Questi “editti neoliberali” sono stati scientemente concepiti per aumentare la competizione e l’efficienza, convinzioni che sono naturalmente del tutto discutibili. Alla prova dei fatti, esse hanno invece permesso l’ascesa degli oligarchi e la loro corsa competitiva, semi-criminale o in alcuni casi apertamente criminale, per accaparrarsi la proprietà di industrie, servizi e terre privatizzate.

L’obiettivo che al contrario non sono riusciti a raggiungere è stato l’efficienza dei servizi pubblici. Come mai? Perché se i servizi sono soggetti a un regime di competizione inevitabilmente escludono le persone, dal momento che i servizi sono accessibili solo a prezzi di mercato. Questo indebolisce la garanzia di base di servizi universali in ogni settore, dall’educazione alla sanità, che però di rimando indebolisce anche il meccanismo di riproduzione sociale della forza-lavoro del capitale. L’austerità deriva dal neoliberismo. E lungi dall’espandere l’economia delle nazioni, ne impedisce in realtà la crescita, producendo sottosviluppo.

L’Ucraina rappresenta un esempio paradigmatico. Era un paese con un’economia industrializzata, con infrastrutture sviluppate, un sistema sanitario, servizi pubblici e una forza lavoro altamente formata e competente. L’imposizione da parte occidentale del neoliberismo ha distrutto tutto questo. Nel 1991 il peso dell’economia ucraina era paragonabile a quello francese. Ora è la nazione più povera d’Europa. Questo non è successo per caso, è la conseguenza di un progetto specifico.

Ogni volta che la Bers e l’Fmi concedevano una nuova serie di prestiti questa spirale di “di-sviluppo” si faceva ancora più acuta. Siamo letteralmente sommersi dal debito allo stesso modo delle nazioni in Africa, America Latina e nel resto dello spazio post-sovietico. L’Ucraina deve a varie istituzioni finanziarie internazionali e a vari stati 129 miliardi di dollari, che rappresentano quasi l’80% del nostro prodotto interno lordo.

In che modo queste interazioni, i rapporti dell’imperialismo russo e dell’imperialismo occidentale con i leader ucraini, hanno poi portato alle divisioni interne, in particolare quella fra ucrainofoni e russofoni?

Hanno amplificato a dismisura queste divisioni. Un esempio chiave lo si trova nelle dinamiche che hanno portato alla sollevazione del Maidan nel 2013-14 e negli sviluppi successivi. All’epoca il presidente Yanukovych aveva progettato di firmare un accordo di associazione con l’Unione Europea ma all’ultimo minuto ha fatto marcia indietro.

Nonostante fosse un oligarca criminale, aveva alcune fondate ragioni. C’erano alcune questioni problematiche e lui aveva colto nel segno. L’accordo non era favorevole per l’Ucraina, per questo decise di non firmare, e la cosa scioccò tutti. Sono seguite le proteste, brutalmente represse dal governo, cosa che a sua volta ha creato le condizioni per una sollevazione di massa e per tutta la serie di eventi che ho già descritto.

La popolazione era così sorpresa da questa marcia indietro improvvisa perché Yanukovych conosceva i termini dell’accordo fin dal primo momento. Pertanto, era chiaro che non stesse rinunciando a firmare perché aveva a cuore le sorti del paese. La vera ragione era che la Russia e gli oligarchi affiliati alla Russia facevano pressioni affinché si tirasse indietro.

Molti dei beni posseduti da questi oligarchi avevano base nelle industrie di produzione intensiva d’energia in Donbass, che dipendevano dalle forniture economiche di gas e petrolio russi per le loro linee di produzioni. Iniziarono allora a far circolare la voce che, se l’accordo fosse stato firmato, i prezzi dell’energia sarebbero schizzati – come in effetti la Russia minacciava di fare –, le industrie avrebbero chiuso e le persone avrebbero perso il lavoro. Tutto ciò in opposizione alla parte occidentale del paese, che è stata storicamente collegata all’ovest europeo. E in cui gli affari economici tendono a essere più orientati ai meccanismi di mercato che in Russia.

Naturalmente, nella pratica il quadro è più complesso di così; gli interessi affaristici e commerciali non sono semplicemente allineati con gli interessi di natura territoriale. Tuttavia, i contrasti imperialisti hanno approfondito le divisioni fra oligarchi che hanno dunque fondato delle proprie forze politiche basate sull’affiliazione con l’Ovest o con la Russia rendendo così le divisioni di natura territoriale ancora più evidenti.

Una volta che si è configurato questo quadro, i differenti blocchi oligarchici e i loro politici hanno messo in campo minacce per limitare i diritti linguistici per distogliere l’attenzione dalle loro politiche di austerity, torcendo la rabbia di classe verso un conflitto linguistico e culturale. Questo ha condotto all’emergere dei gruppi di separatisti di estrema destra sia ucraini che russi, che si disumanizzavano a vicenda e sempre di più.

Sono politiche davvero disgustose. Le fazioni politiche oligarchiche hanno presentato la scelta fra l’Occidente e la Russia come se fosse una scelta di campo per la civiltà. Le forze filoeuropee rappresentavano l’Unione Europea – che, dobbiamo ricordare, è l’origine di tanta austerity – come fonte di speranza per la libertà e la democrazia oltre il passato sovietico.

Le forze filorusse hanno invece dipinto gli ucraini occidentali come russofobi e fascisti che minacciavo i diritti linguistici della popolazione russofona. Hanno dipinto la Russia come l’ultima speranza di difenderli da questa ondata di repressione rivolta contro di loro.

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Fin qui, abbiamo parlato principalmente delle potenze imperialiste e della classe politica ucraina. Cosa succede invece rispetto alla lotta della classe operaia e degli oppressi contro le forze oligarchiche, politiche e imperialiste? Con quali ostacoli di natura politica e organizzativa si devono confrontare?

Sotto le condizioni imposte dal capitalismo oligarchico che ho descritto, abbiamo anche assistito alla crescita di una resistenza civile. Questa ha trovato espressione nella sollevazione di Euromaidan, soprattutto dopo che la polizia ha brutalmente represso i e le manifestanti. Le persone non ne potevano più. La brutalità della polizia arrivava dopo anni di sofferenza e frustrazione causate dalla corruzione, di rabbia per la collusione della polizia con le reti criminali degli oligarchi, che continuavano a farla franca senza mai dover rendere conto dei propri abusi.

Questo tipo di resistenza era di natura esclusivamente reattiva. Non era guidata da un chiaro programma politico alternativo o da una serie di richieste e questo ha permesso alla destra di appropriarsi della rivolta. Le forze di destra erano organizzate e avevano energie da mettere nella lotta. Il successivo conflitto fra il governo ucraino e i separatisti ha parzialmente smorzato il conflitto e le divisioni civili.

Ma nel corso degli ultimi anni, la frustrazione nei confronti degli oligarchi e dei politici corrotti è diventata più profonda, perché si riusciva a far cadere un gruppo al potere solo per assistere all’ascesa di altro gruppo ugualmente schifoso. Si tratta, sostanzialmente, di una vera e propria crisi di rappresentanza. Non c’è ancora una chiara alternativa capace di costruire una sfida politica agli oligarchi e ai loro rappresentanti in parlamento. Purtroppo, le forze di sinistra sono davvero molto piccole.

Al contempo, però, esiste una lotta popolare oltre gli ambiti della rappresentanza parlamentare, soprattutto fra le unioni sindacali. Questa si è formata al di fuori dei sindacati dell’Urss, che erano sostanzialmente sindacati delle imprese e non dei lavoratori. Nuove unioni sindacali si sono sviluppate all’interno di industrie chiave (e addirittura all’interno di imprese piccolo o medio-grandi!). Una delle più importanti si trova nell’ambito dell’industria ferroviaria, che costituisce il più grande datore di lavoro del paese.

I sindacati hanno rappresentato uno dei fattori chiave della resistenza all’invasione russa. Hanno portato rifornimenti alle persone più anziane che si trovavano sotto il fuoco dell’artiglieria. Anche i sindacati dei minatori hanno svolto un ruolo importante, lottando contro le chiusure delle miniere e difendendo i salari e i profitti di lavoratori e lavoratrici. Pure il personale sanitario ha iniziato a organizzarsi.

Si è capito che se la classe politica è incapace di mettere in atto dei cambiamenti, siamo noi a doverlo fare con lotte collettive sul posto di lavoro. I nostri sindacati hanno anche consultato le unioni sindacali più grandi e le confederazioni internazionali per capire come organizzarsi al meglio.

Tutto questo processo ha fatto sì che la resistenza potesse espandersi, le persone si fanno forza a vicenda, si danno solidarietà e sostegno. Nelle ultime settimane, i lavoratori di diverse imprese si sono incaricati di distribuire beni per andare incontro alle esigenze della popolazione che si trova in guerra. Ci sono numerosi racconti in tal senso che riguardano varie città. Per esempio, i lavoratori di un magazzino alimentare locale sono venuti a sapere di un gruppo di rifugiati che aveva bisogno di cibo, altrove alcuni dirigenti di un magazzino edile hanno offerto materiali per la costruzione delle fortificazioni cittadine. A proposito di espropriare chi espropria!

Nel mezzo di questa guerra, dunque, la resistenza afferma la capacità delle persone di produrre e influenzare il cambiamento. Tutto ciò sarà importante nel dopoguerra quando si tratterà di orientare la ricostruzione e stabilire nel nome di quali interessi portarla avanti. Davvero nutro la speranza che lo spirito di solidarietà collettiva possa segnare un nuovo percorso per l’Ucraina una volta che questo inferno sarà finito.

E questo potrà aprire nuove opportunità per la sinistra ucraina. Dovremo modificare un po’ il nostro linguaggio per rendere il nostro programma comprensibile anche a quelle persone che potrebbero associarlo negativamente al passato stalinista. Ad ogni modo, c’è la volontà di trovare soluzioni collettive e sociali ai problemi che attanagliano l’Ucraina e il capitalismo globale.

I socialisti devono agire dentro queste lotte per un miglioramento immediato delle condizioni di vita e dimostrare che abbiamo delle proposte decisive sul modo in cui ricostruire la nostra società. Se riusciremo ad avere successo nel fare questo, potremo dare un contribuito al superamento della crisi della rappresentanza che ha flagellato le diverse ondate di resistenza e offrire un’alternativa vera agli oligarchi e alla destra.

Uno degli elementi che Putin e la sinistra campista hanno volutamente esagerato per i propri interessi è appunto la presenza dell’estrema destra nel paese. Qual è la verità sulle forze di estrema destra in Ucraina? In che modo è cresciuta e si è sviluppata, quali sono le sue diverse fazioni interne, e quanto è influente nel sistema politico e nel sistema militare?

Questa è una domanda molto importante e, francamente, anche preoccupante. Perché la verità è che la tendenza politica ucraina si trova perennemente in bilico e può benissimo pendere verso destra, non solo a sinistra. Nonostante concordi con te sul fatto che il ruolo e l’importanza della destra siano stati volutamente esagerati, è bene dire che rappresentano comunque un fattore e una minaccia reali.

La presenza della destra è stata esagerata dai separatisti, da Putin e dagli strani sostenitori di quest’ultimo che ci sono nell’Occidente. Si sono focalizzati sulle persone che avevano sui propri vestiti simboli nazisti e hanno dipinto l’Ucraina come un governo e una nazione di fascisti, o comunque controllata da fascisti. Tutto ciò è assolutamente falso. Il sostegno ai partiti di estrema destra è diminuito drammaticamente.

La verità è che la maggioranza delle persone anche all’interno dello stesso battaglione Azov non ha ben chiaro il collegamento col nazismo dei simboli che indossano. Non conoscono la storia di Stepan Bandera; lo vedono semplicemente come un tizio che ha combattuto per la libertà dell’Ucraina. Altri invece sono ben consapevoli di questo passato nazista e sono convintamente fascisti, soprattutto nei quadri dirigenti di alcuni partiti di destra e del battaglione Azov. Questo mi rende molto preoccupata rispetto alla minaccia che rappresentano.

Perciò, sarebbe un errore sottovalutare questo pericolo. I partiti di destra sono piccoli ma hanno una forza significativa e la stessa cosa vale per il battaglione Azov, anche se costituisce solo una piccola porzione dell’intero corpo militare. Azov è abbastanza forte. Fanno dei campi estivi per reclutare persone dentro le loro fila. E possono guadagnarsi ancora più sostegno nel momento in cui i loro membri vengono glorificati come eroi di guerra per aver difeso Mariupol.

Queste forze di estrema destra rappresentano una minaccia per il futuro di un’Ucraina multietnica. Hanno spinto perché si approvasse una legge pessima che discrimina i russofoni. Non solo queste azioni sono eticamente sbagliate, ma vanno a rafforzare la narrazione dei separatisti russi.

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Naturalmente, l’Ucraina dev’essere decolonizzata e de-russificata. Il russo rimane la prima lingua nella gran parte del paese. E, giusto per essere chiari, i russofoni in generale non sono discriminati mentre è vero che gli ucrainofoni lo sono stati.

Per esempio, quando io andavo a scuola, sono stata bullizzata perché parlavo ucraino. Ma la soluzione chiaramente non può essere adottare la stessa prospettiva del colonialista e reprimere i russi e i russofoni nel processo di decolonizzazione. Abbiamo bisogno di uguali diritti linguistici, non nuove forme di discriminazione. Questa sarà una questione molto urgente nel processo di ricostruzione del paese.

Io sono per la vittoria ucraina nel poter ripristinare la propria integrità territoriale e nel porre fine all’occupazione russa. Ma questo aprirà un intero processo di riconciliazione dei conflitti culturali che gli oligarchi e i loro rappresentanti politici hanno fabbricato e strumentalizzato. Sarà qualcosa di molto difficile perché l’invasione di Putin ha fomentato un solido sentimento nazionalistico in Ucraina, soprattutto dal momento che il suo pretesto per la guerra si basava sul fatto che il nostro paese non fosse veramente un paese. Dobbiamo prevenire che questo sentimento si trasformi in xenofobia ed etno-nazionalismo.

Dovremo superare il desiderio di scavare nella storia per rinnovare simboli vecchi e problematici nel tentativo di provare che siamo una nazione. Al contrario, deve essere colta l’opportunità storica che abbiamo di ricostruire l’Ucraina come un paese multi-etnico e multi-confessionale in cui ogni minoranza abbia uguale diritto alla propria lingua, educazione e cultura.

Questo è il compito della sinistra e delle organizzazioni di lavoratori e lavoratrici, e implica sfidare il potere degli oligarchi, dei politici e della destra. La politica della solidarietà deve trionfare. Altrimenti, rischiamo di dare conferma all’oscena bugia di Putin per cui saremmo una nazione di bigotti e fascisti.

Tutto ciò conduce a chiedersi quale potrà essere l’esito di questa guerra. Sembrerebbe che Putin sia stato costretto a rivedere l’obiettivo di imporre un cambio di regime e ora stia tentando di seminare morte e devastazione nell’ovest e di dividere il paese, assicurandosi il controllo del Donbass come territorio-ponte verso la Crimea. Che tipo di impatto avrà tutto ciò sull’Ucraina, sulla resistenza e sull’economia politica del nostro paese?

Se mi avessi posto questa domanda anche solo tre settimane fa, avrei risposto che se Putin avesse accettato di ritirarsi e semplicemente assicurarsi il controllo delle cosiddette repubbliche, gli ucraini avrebbero dovuto accettarlo. Ma ora, dopo gli orrori di questa guerra, dopo la distruzione di Karkhiv e Mariupol, gli orrori alla periferia di Kyiv, e l’enorme numero di vite perdute, brutalizzate, e di persone sfollate, gli ucraini non scenderanno a compromessi.

Gli ucraini hanno tentato di tutto per mettere fine a questo incubo. Abbiamo provato ad avviare trattative di pace attraverso il processo di Minsk. Ci siamo attenuti a un coprifuoco anche sotto il fuoco dell’artiglieria per negare a Putin un pretesto per lanciare la guerra. Niente di tutto questo ha funzionato. Il cosiddetto processo di pace ha finito per spianare la strada a Putin che ha invaso il paese con un attacco assolutamente non provocato. Hanno preparato tutto questo per anni, ricattando le persone, mentendo sui fatti, e mandando migliaia di agenti sotto copertura a infiltrarsi nel paese, identificando obiettivi e installandovi dei segnali radio.

Ora ci ritroviamo con migliaia di morti, milioni di sfollati, e centinaia di milioni di dollari di infrastrutture distrutte. Dopo tutto questo, davvero poche persone acconsentirebbero a cedere intere parti di territorio all’invasore. Gli ucraini stanno realizzando che se non vinciamo questa guerra, non esisterà più l’Ucraina. Se verranno occupate parti del paese, questo condurrà a una sollevazione contro le forze russe che prepareranno un’altra guerra. Non ci sarà mai pace.

Putin non riconosce all’Ucraina il diritto a esistere in maniera indipendente e, pertanto, dobbiamo opporci. Non accetteremo una divisione del paese simile a quella che c’è tra il nord e il sud della Corea. Questo significa che la lotta sarà lunga, ma le persone la sosterranno.

C’è troppa carne al fuoco ora. L’esito del conflitto dipenderà da come saremo capaci di garantirci armi per difenderci e per rivendicare il nostro paese, da come saremo capaci di restare fedeli alle nostre richieste in questi cosiddetti negoziati che vengono portati avanti e dal collasso o meno del regime russo. Non ci accontenteremo di niente di meno della riunificazione e dell’indipendenza dell’Ucraina.

C’è un ampio dibattito interno alla sinistra internazionale riguardo alla posizione da prendere sulla guerra e sulle richieste da avanzare a proposito. Secondo te, che strada bisognerebbe prendere?

Ancora, è necessario che la sinistra internazionale adotti un’ottica decoloniale sull’Ucraina. Stiamo combattendo la Russia, il nostro storico oppressore imperialistico. Siamo stati per grandissimo tempo sotto il suo dominio dal punto di vista politico, economico, culturale e linguistico.

Credo che alcune persone abbiano una visione ancora offuscata da un’opposizione mono-dimensionale al solo imperialismo statunitense. Ma gli Stati Uniti non sono l’aggressore in questo caso, la Russia lo è. È ovvio che la Nato costituisce un fattore, ma non quello determinante. È legittima l’esistenza della Nato? Naturalmente no. Avrebbe dovuto essere smantellata molto tempo fa. Siamo d’accordo su questo.

Ma concentriamoci sulla questione principale: l’imperialismo russo e la lotta ucraina di liberazione nazionale. Putin ha detto chiaramente che non riconosce l’Ucraina come entità separata, sostenendo nella sua recente dichiarazione che è una nazione creata dai bolscevichi. Vuole riprendersi l’Ucraina, soggiogarla al controllo russo e sta provando a perseguire questo obiettivo militarmente dal 2014, portando avanti un frazionamento del paese completamente illegittimo, arbitrario e violento.

La sinistra internazionale deve dunque essere solidale con l’Ucraina in quanto nazione oppressa, con la nostra lotta per l’autodeterminazione. Questo include anche il nostro diritto a ottenere armi per i nostri combattenti e volontari per conquistare la libertà.

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Ma la sinistra non deve sostenere gli appelli per la no-fly zone, che sono essenzialmente richieste per no-fly zone imposte dalla Nato. Ciò significa infatti una guerra nei cieli fra militari statunitensi ed europei da una parte e russi dall’altra, cosa che rischia di allargare il conflitto rendendolo uno scontro fra grandi potenze. Basta guardare cosa hanno fatto gli Usa con i loro interventi in altre parti del mondo come Iraq e Afghanistan.

I militari Usa e Nato non si preoccuperebbero dei danni che la loro guerra nei cieli provocherebbero sul territorio ucraino. Ci ordinerebbero di evacuare le nostre città per poter mettere in atto un assalto su larga scala alle forze russe, aumentando ulteriormente la distruzione del nostro paese e inevitabilmente uccidendo ancora più ucraini.

A guerra finita, avremo bisogno di qualche tipo di forza di peacekeeping, magari delle forze delle Nazioni Unite. Sarà difficile, dal momento che l’Onu è sostanzialmente un’organizzazione non democratica il cui Consiglio di Sicurezza include potenze come la Russia che possono porre un veto a operazioni del genere. Ma avremo comunque bisogno di qualche forza internazionale di pace che sia soggetta a un qualche tipo di supervisione per prevenire ulteriori conflitti. Sarà necessario costruire un nuovo ordine di sicurezza internazionale, che preveda la sospensione automatica degli aggressori, nessun veto, nessun membro permanente del consiglio di sicurezza, con reali garanzie reciproche di modo che sofferenze future possano essere prevenute in un mondo demilitarizzato.

Articolo pubblicato originarimente su SpectreJournal

Traduzione dall’inglese di Francesco Brusa ed Emma Catherine Gainsforth per DINAMOpress

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