ROMA

L’onda lunga del Covid

«La pandemia da Covid 19 è una situazione che implementa lo stress e la paranoia», afferma Alessandro Grispini, primario del Centro di salute mentale Sabrata. La prolungata emergenza sanitaria ha, infatti, indotto un funzionamento psicotico anche in chi era considerato “normale”. Colpa anche di una società che favorisce l’antagonismo, non la collaborazione

Per accedere al Centro di salute mentale di via Sabrata, nel quartiere Trieste a Roma, si deve percorrere una lunga salita. Ci si inoltra per un giardino ricco di piante e alberi dove i pazienti sostano, con aria meditabonda. Poi quasi a sorpresa appare l’edificio. Bianco, imponente ma dallo stile elegante anni Quaranta. Da un labirintico corridoio dipinto di giallo acceso, gli psicologi escono dai loro studi, si affacciano e si rivolgono con un sorriso accennato e con una parola sussurrata ai propri pazienti.

Giorgio. Paziente del Centro di salute mentale Sabrata

Giorgio esce dalla seduta pensieroso. Ha 33 anni, capelli corti e barba brizzolati. Ha iniziato la psicoterapia dopo aver perso il lavoro come assistente di volo di una compagnia aerea low cost, a causa del Covid-19. Non ha diritto a un sussidio economico e invia invano richieste di lavoro. La disoccupazione prolungata gli ha fatto perdere il controllo. Ha impugnato una padella, pensando di colpire se stesso e il convivente. Un episodio che ha spaventato entrambi e che ha «interiorizzato». Gli è stato diagnosticato un disturbo d’ansia e da stress. Spesso si abbassa la mascherina per bere acqua, dice che sta somatizzando molto la situazione: gola secca, abbuffate alimentari, psoriasi, insonnia. Vive molto male le restrizioni. Non gli interessa tanto il contatto con gli altri, ma con «le cose naturali».

Se lo stato d’animo di Giorgio è esasperato, alternato all’autoironia, opposto è l’atteggiamento di Elena. Studentessa ventitreenne di Giurisprudenza fuori sede, Elena, capelli biondi e occhi verdi, afferma che la situazione «la sta facendo uscire pazza».

Non riesce a sostenere l’isolamento fisico dagli altri, le limitazioni. Nota che, soli in casa, i giovani tendono ad abusare di alcolici. Federico, 27 anni, tre esami alla laurea in Scienze Politiche, afferma con timidezza che i decreti per il contenimento del Covid gli hanno affossato l’umore, gettandolo in uno stato di perenne incertezza. Gli pesa ricordare sempre cosa è consentito o meno fare.

Federico è preoccupato di prendere delle multe, anche se è attento. La mascherina gli ricorda che viviamo in un clima di inquietudine. Per questo spesso rinuncia a uscire. Preferisce restare a casa.

Oggi Giorgio guarda in modo compulsivo il telefono perché aspetta una chiamata per un lavoro. È evidente che abbia un’aggressività repressa, pensa che «la gente è sotto pressione, schizzata, piena di problemi, avvelenata. Ma tutto questo non viene detto pubblicamente perché vige l’ipocrisia». Per Giorgio, laureato in arabo, siamo tutti in lotta contro tutti, a causa della crisi sanitaria e economica, quest’ultima solo all’inizio. «La guerra contro la malattia si sta trasformando in una guerra per la sopravvivenza, fra chi è più scaltro, chi si sa adattare, evolvere. Devi trovare l’escamotage per dire: io sono meglio di te, non mi faccio coinvolgere dal Coronavirus, dal fatto reale che non so come andare avanti». Disprezza i connazionali perché non hanno protestato come in Francia. Un punto di vista simile a quello di Alessandro, 47 anni, due lauree, secondo cui la pandemia sta facendo emergere la divisione della società in Homo sapiens sapiens, categoria in cui include se stesso, e Homo minimus sapiens, la maggior parte delle persone.

«Che fare, dunque? Dovremmo estinguerci», dice Giorgio in modo tranchant. È quanto pensa anche Cristina, 40 anni, pelle diafana e lunghi capelli ramati, riferendosi a se stessa. Il Covid 19 ha influito sulla sua depressione in maniera duplice.

Con il primo lockdown si sentiva meglio. Vedeva nella pandemia un mondo post-apocalittico di rinascita collettiva. «E invece non è stato così. La popolazione sgomita per sopravvivere in una società stritolante, che la maltratta. Non è colpa delle persone, ma della società». La depressione di Cristina è peggiorata. La pandemia secondo lei accentua la selezione darwiniana tra gli individui. Parla di soggetti forti o prevaricatori e di soggetti deboli o sensibili. Lei si colloca fra i deboli, destinati a non sopravvivere. Ha tentato il suicidio.

Lo ha fatto anche Antonella, 50 anni, psicologa, anoressica da quando ne ha 15. Antonella, con una brillante carriera professionale alle spalle, si divide fra il Centro di salute mentale in cui la incontriamo e Villa Armonia. Lei ha cercato di uccidersi perché la solitudine dovuta alle restrizioni le genera angoscia. La pandemia le sta facendo capire l’importanza di una rete protettiva di amici. «Gli amici veri te li trovi in ogni momento, anche dopo le 22, perché capiscono quando sei in difficoltà anche se non chiedi aiuto». Per lei in questo momento è fondamentale coltivare le amicizie che l’aiutano a impedire di farsi del male. Fino all’orario prima del coprifuoco cerca di stare fuori casa con gli amici che le vogliono bene.

Con il dottor Alessandro Grispini, primario del Centro di salute mentale di via Sabrata, cerchiamo di capire meglio il legame tra questi comportamenti e la pandemia.

Lo psichiatra lavora in un ampio studio illuminato tutta la mattina dal sole. Indossa una felpa nera con il cappuccio e ha l’aspetto di un medico da campo. «La pandemia da Covid 19 è una situazione che aumenta lo stress e la paranoia» esordisce. Il malessere psicologico riscontrato nei pazienti vecchi e nuovi del suo centro sarebbe una regressione psicologica collettiva. Lo psichiatra usa il termine schizoparanoide: l’altro è visto come amico o come nemico, senza mediazioni possibili. «Questo modo di pensare è una modalità anche adattativa verso un pericolo esterno, ma sta assumendo aspetti gravi». Scindere gli altri in ‘buoni’ e ‘cattivi’, secondo il primario, è una forma di difesa arcaica contro una pandemia vissuta come trauma.

Alessandro Grispini. Primario del Centro di salute mentale Sabrata

La psicoanalista Romina Di Giambattista, responsabile didattica dell’Istituto di ricerche in psicoterapia psicoanalitica, aggiunge che la depressione è il sintomo più diffuso insieme all’abuso di alcool. La pandemia è traumatica perché induce un funzionamento psicotico anche in chi è “normale”. C’è «un blocco del pensiero logico, una perdita del senso di realtà». «Il Covid-19 è anche il virus che ha in sé la colpa», aggiunge la dottoressa Di Giambattista, che ha in cura molti giovani. Colpevoli di contagiare, ma anche di non sapersi adattare alle trasformazioni sociali accelerate dalla pandemia. Federico per esempio ha l’angoscia di non riuscire ad adeguarsi alla rivoluzione digitale in atto. «Non riesco a seguire le lezioni online. Ho il timore di non sapere come posizionarmi con il lavoro nella società digitalizzata, di non trovare un ruolo», racconta.

La tendenza a vedere gli altri e la realtà in maniera scissa e distorta coinvolge anche gli individui ‘normali’ o con disturbi lievi e conosciuti, spiegano gli psicoterapeuti. «Alcuni pazienti con disturbi minori stanno funzionando in maniera peggiorativa», conclude la dottoressa. Per il dottor Grispini è la società stessa a favorire l’antagonismo, non la collaborazione. Per Romina Di Giambattista la gestione istituzionale disorganizzata della pandemia rifletterebbe un pensiero psicotico, il non sapere capire e gestire la realtà. Con conseguenze nefaste sulla popolazione. In primis sui tanti adolescenti che ha in cura e che hanno tentato il suicidio. Spiega che alcuni di loro sono fin troppo responsabili nell’attenersi alle regole.

Il dott. Grispini specifica che le prestazioni per i pazienti gravi sono state mantenute, mentre quelle destinate ai pazienti meno gravi, con disturbi emotivi comuni, hanno subito una inevitabile restrizione. Giorgio, il paziente che lavorava come assistente di volo, dice che la psicoterapeuta lo ha avvisato che lo potrà seguire soltanto nel suo studio privato. E si augura che il costo non sia eccessivo, altrimenti dovrà interrompere la cura.

Eric, sopravvissuto al Covid 19, dopo una terapia intensiva debilitante

Ci spostiamo all’ospedale Tor Vergata, nel dipartimento delle Malattie dell’apparato respiratorio. Tra i pazienti con pesanti ricadute psicologiche e fisiche dopo il ricovero in terapia intensiva a causa del Coronavirus, incontriamo Eric. Ha 67 anni ed è un fotografo. I capelli lunghi incorniciano due occhi piccoli che lampeggiano turbati sopra la mascherina. Deve sottoporsi a una Tac per capire la natura di un nodulo al polmone, riscontrato dopo che ha passato un mese e tre giorni in rianimazione. «Quando mi stavano portando in terapia intensiva avevo sia da un lato che dall’altro i medici, gli infermieri vestiti come marziani e tutti che mi salutavano. E ho detto tra me e me: ma che strano. Dopo ho ricollegato che poteva essere un addio. Perché tanti che vanno giù, poi non tornano su».

Eric ha ancora dolori articolari, si sente quasi sempre «spompato», deve ancora recuperare i dodici chilogrammi persi durante il ricovero. Litiga con chi non rispetta le regole e non sopporta chi «si assembra». Ha perso il lavoro con la pandemia. E vive chiuso in casa perché è terrorizzato dal contagio. «Cerco di non cadere in depressione. Tempo fa ho visto Nicola Piovani in televisione. E ho detto a mia moglie: vedi? Lui ha gli occhi come i miei, come chi ha avuto il Covid. Ha gli occhi spenti».

L’onda lunga del Covid. Un podcast di Desirée Massaroni, musica di Gianluca Mei

Ogni giorno Eric ritaglia articoli di giornale sui contagiati e sui morti per Covid. Per lui sono un «rafforzativo», una prova che documenta agli altri che ciò che ha vissuto è proprio vero. Ci mostra un video intitolato Eccomi che ha chiesto di farsi fare durante la terapia intensiva. Era destinato ai familiari, se non fosse sopravvissuto. «Ma questo video io me lo vedo tutti i giorni, nel senso che mi tornano in mente immagini, ricordi, visioni. Il suono assordante dell’ossigeno, il dolore pazzesco dell’emogas. Questa notte ho risognato la terapia intensiva. Questo è un virus che fa male al fisico e alla testa».

Tutte le foto e i grafici sono di Desirée Massaroni

Il reportage nasce all’interno della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso