EUROPA

Le Pen al ballottaggio: non chiamiamoli populisti

Alcune riflessioni sull’affermazione alle elezioni presidenziali francesi di Marine Le Pen e del Front National.
Parigi, prima #NuitDesBarricades

Tutto come previsto ma senza ‘normalizzazione’

Niente di inaspettato: il risultato è in linea con le ultime amministrative, i numeri sono in linea con quanto si paventava, nessuna sorpresa. Il Front National va forte in quasi tutto il Paese. Vince in Vandea: la Francia profonda, senza dubbio, e anche del sud, dove il Fn ha conquistato il governo della regione di Marsiglia. Non ce la fa invece a Parigi: il tanto paventato ‘effetto attentati’ non c’è e nella capitale l’estrema destra non attecchisce. Tutto come previsto ma l’affermazione della destra radicale francese è comunque senza precedenti e, fortunatamente, non è ancora normalizzata: a testimoniarlo gli scontri e le barricate alla chiusura delle urne a Parigi e in altre città.

L’affermazione dell’estrema destra, non di un generico populismo

Si legge da più parti che l’affermazione del Fn è la vittoria di una forza populista, un voto genericamente anti-establishment. Certo è che se cominciamo a chiamare populista anche Le Pen, il dibattito, già complesso, sul populismo, verrà definitivamente inquinato: il Fn è un partito genuinamente di estrema destra, che ha la sua filiazione storica e politica nella destra neofascista francese, fondato e diretto per decenni da collaborazionisti del regime di Vichy e da ex terroristi dell’Oas e simili, che si opposero con la violenza al processo di decolonizzazione in Algeria. Non solo: il Fn è un partito ‘pesante’, fatto di gruppi dirigenti selezionati dai territori, forte di un suo radicamento sociale. Non ha nulla a che vedere con una tecnica politica che fa della discontinuità del personale politico e dei simboli il suo valore aggiunto.

Marine non ha trasformato più di tanto il partito del padre, al massimo lo ha svecchiato, eliminando le cose più impresentabili (tipo un antisemitismo neanche tanto mascherato) e premiando un gruppo dirigente fedele e proveniente anche dal neofascismo extraparlamentare degli anni ’70 e ’80 – la così detta ‘Gud connection’, dal nome della principale organizzazione studentesca neofascista francese. Al massimo, in comune con alcune forze populiste il Fn può avere una certa ‘verginità’ data dal fatto di non aver mai avuto in mano le leve del potere nazionale. Riesce cosí a rendere operativo il frame “dell’ora fate provare noi”, di fronte al fallimento della destra gollista e dei socialisti.

La lunga marcia del Front National dentro la crisi economica ed istituzionale

Vale la pena ricordare che non è la prima volta che il Fn arriva al ballottaggio delle presidenziali. Era il 2002 e il crollo dei socialisti di Lionel Jospin (ma nulla a che vedere con la percentuale di Hamon), portò il vecchio Jean Marie Le Pen ad affrontare Jacques Chirac. Fu uno shock, il cordone repubblicano si serrò e fu il trionfo della destra gollista, mentre in tutto il Paese si susseguivano manifestazioni. Un clima del tutto diverso da quello che si vive ora, dove i temi e le parole d’ordine dell’estrema destra hanno colonizzato la vecchia destra repubblicana, soprattutto a partire dall’esperienza di Nicolas Sarkozy. Non è dunque detto che il ‘cordone sanitario’ regga e la diga non si rompa.

Il Front National è cresciuto dagli anni ’80 in poi, di pari passo con la crisi dell’industria fordista (quando lanciò lo slogan ‘prima i francesi’, ora declinato felicemente dalle destre in tutta Europa e da Trump) e la ripresa dei flussi migratori prima, e con la crisi economica inauguratasi nel 2008 poi. Non è dunque un exploit improvviso, una novità, ma il consolidarsi di un’opzione politica nello scenario francese, che ha vissuto diversi momenti di accelerazione e accumulo in concomitanza di crisi politiche e istituzionali della rappresentanza istituzionale dei partiti politici espressione dei valori repubblicani. Di volta in volta il Fn è riuscito a riposizionare la sua offerta politica a seconda della congiuntura: esempio è la virata ‘statalista’ di Marine Le Pen in economia, quando il padre era sempre stato un convinto assertore di un programma liberista e ostile alla presenza dello Stato nei confronti dell’iniziativa economica privata.

Un’uscita a destra dall’attuale assetto europeo

L’aspetto politicamente più significativo del risultato di domenica è rappresentato dall’affermazione del Front National come forza radicalmente nazionalista e antieuropeista. Il valore davvero rivoluzionario di una eventuale vittoria di Marine Le Pen al ballottaggio risiederebbe proprio qui: nel disegnare una via d’uscita all’attuale assetto europeo dall’alto e da destra. Chi pensa che i partiti di destra radicale propugnino un programma antieuropeista esclusivamente per ragioni di propaganda sbagliano: esiste un progetto alternativo d’Europa, pronto a radicalizzare l’opzione a ‘più velocità’ presentata dalla Germania di Merkel e che apre scenari inediti. Un’opzione, vale la pena sottolineare, caldeggiata da Trump e Putin.