editoriale

Le parole dalla strada alla carta

Alle origini del brand-feminism: come l’informazione mainstream si è appropriata dei movimenti femministi degli anni Settanta

È il 1975 quando il femminismo esplode sulla scena mediatica e diventa oggetto dell’informazione giornalistica. Alla fine di quell’anno un’enorme numero di donne scende in piazza. Chiede l’aborto libero e gratuito. Il 6 dicembre, giorno che passerà alla storia come data della prima manifestazione nazionale del Movimento Femminista, a Roma 40.000 donne sfilano da piazza della Repubblica fino a Trastevere. È l’itinerario dei cortei dei movimenti. Un cordone di donne delimita il corteo, abbracciate tra loro si serrano e impediscono l’ingresso agli uomini. Un militante di Lotta Continua pretende di entrare a sfidare questa “novità”. Viene respinto con uno schiaffo. È questa manifestazione a segnare la prima espressione visibile del separatismo, da anni pratica politica, e simbolo della rottura non più componibile fra il movimento femminista e le organizzazioni politiche della sinistra. Il giorno dopo, anche se non ci sono stati scontri, tutti i giornali ne parlano.

Il mondo dell’informazione rappresenta quella marea di donne come un’esplosione improvvisa del femminismo in Italia. Fino ad allora è stato ignorato il lavoro capillare, la costruzione lenta e costante di una forza autonoma dai partiti e dai gruppi extraparlamentari. Nessuno aveva avuto gli occhi per accorgersi della diffusione dei gruppi di autocoscienza, dei collettivi di quartiere e di quelli costituiti nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei consultori autogestiti. Nessuno, neanche nei “gruppi” della sinistra extraparlamentare dava troppo peso alla «riunione delle nostre (sic!) compagne».

Il 3 aprile del 1976 il Movimento scende di nuovo in piazza. Parola d’ordine: rivendicare il diritto delle donne di scegliere se e quando portare a termine una gravidanza.

Il problema della comunicazione e della trasmissione di quanto elaborato dal Movimento si affaccia da subito nella discussione. I gruppi, sempre più numerosi e diversi, che usano spesso forme di espressione e linguaggi differenti, devono comunicare fra di loro.

Dopo essersi riprese la parola nelle piazze, aver urlato il proprio privato, fino a farlo diventare pubblico, le donne si riappropriano della parola scritta. La ricerca di questo linguaggio che non cancelli le diversità avviene attraverso una proliferazione di pubblicazioni e riviste nel corso di tutti gli anni 70.

Erano già usciti alcuni libri che raggiunsero una grande diffusione. Primo fra tutti NOI E IL NOSTRO CORPO, elaborato da un collettivo femminista di Boston nel 1969. Dapprima diffuso come ciclostilato, diviene un best seller internazionale. Spazzava via secoli di tabù sul corpo delle donne. Nel 1974 è pubblicato LA MELA E IL SERPENTE di Armanda Guiducci. Il libro   entra dentro le istituzioni sociali, dentro i tabù del sesso, dell’inconscio pieno di immagini deformate.

A Milano nel 1973 nasce SOTTOSOPRA che pubblica fino al 1976 fascicoli che raccolgono le esperienze di diversi gruppi femministi. I temi che si affrontano sono la sessualità e l’aborto, la prostituzione, il rapporto tra femminismo e lotta di classe, portati avanti soprattutto dal collettivo di via Cherubini. Senza periodicità fissa pubblica manifesti e volantini politici, recensioni di scritti dell’universo femminista, poesie, racconti di vissuto personale, resoconti di riunioni, di convegni e dei gruppi di autocoscienza.

A Roma nello stesso anno inizia la pubblicazione di EFFE. Una cooperativa costituita da giornaliste e fotografe decide di fare un giornale fatto da donne per comunicare alle donne. Scrivono: “ci dicevamo tante belle cose ma non c’era modo di farle uscire, perché la stampa si occupava, sì, di noi, ma dava l’immagine delle femministe arrabbiate che strappano il reggipetto, cosa che qui non è mai successa. Ancora oggi in tutte le interviste salta fuori questa storia del reggipetto: su lavori seri come il rapporto fra marxismo e femminismo nemmeno una parola, su nessun giornale.” Tiratura: 35.000 copie. Tutte vendute in edicola e in libreria. Aveva una veste grafica curata e originale. Nonostante le crisi finanziarie, i cambiamenti di redazione e di formato, ha continuato ad uscire per dieci anni, dando spazio alle idee, elaborazioni, ricerche, approfondimenti e lotte non solo dei collettivi e gruppi femministi, ma anche di singole donne che la domenica si riunivano nella redazione di Piazza Campo Marzio a Roma.

Nel 1976, sempre a Roma, inizia la pubblicazione di DIFFERENZE. Ogni numero è curato da un diverso collettivo. La rivista, uscita tra il 1976 e il 1982, ricostruisce le vicende di alcuni gruppi, lo sviluppo del pensiero delle donne, le tensioni interne al movimento, le conquiste e le direzioni di ricerca attraverso documenti teorici, lettere, dialoghi.

Nello stesso anno a Padova nasce LE OPERAIE DELLA CASA, curata dal Comitato per il salario domestico. Si raccontano così: “parliamo della sessualità, scriviamo della musica”.

Nel 1977 viene pubblicata DWF donnawomenfemme, rivista di produzione teorica e di ricerca, riferimento essenziale per chiunque si occupi della cultura delle donne in Italia e nel mondo.

L’anno successivo a Milano compaiono NON È DETTO, dove sono raccolte riflessioni, notizie, parole sulle lotte, le vite, il lavoro, l’amore e A ZIG ZAG, un unico numero sulla sessualità e la scrittura delle donne.

Sempre nel 1978 nasce QUOTIDIANO DONNA. pubblica i primi otto numeri con il sostegno del Quotidiano dei Lavoratori. Poi diviene autonomo.

Non basta. L’elenco è ancora lungo.

C’è il bollettino …E SIAMO TANTE…del Movimento femminista Romano di via Pompeo Magno a Roma, LILITH il giornale del Movimento di Liberazione della Donna di ispirazione marxista.

A Reggio Emilia si pubblica VOLERE E VOLARE, a Milano MALAFEMMENA.

Contemporaneamente aprono le librerie delle donne. A Milano in via Dogana nel 1975 la libreria diventerà sede del gruppo di donne che iniziarono le teorie e pratiche politiche del femminismo della differenza.

A Roma in piazza Farnese nasce Al Tempo Ritrovato, che poi si sposterà in via de Fienaroli.

Dal 1973 prende vita l’Associazione la Maddalena, che occupa i locali di una cantina in cui era una tipografia, dove iniziare l’attività teatrale e aprire una libreria. Diventa luogo di incontro per gruppi di autocoscienza, riunioni di collegamento fra i gruppi e centro di documentazione. Le produzioni teatrali sono numerose, dieci nei primi tre anni, insieme a una ricca attività di teatro di strada nei quartieri romani.

Il 2 ottobre 1976 viene occupato a Roma Palazzo Nardini a via del Governo Vecchio. L’edificio medievale che era stato convento, ospizio e poi sede del Governatorato Pontificio diventa la Casa delle Donne.  Fin dall’inizio iniziano le adesioni all’occupazione di gruppi femministi, collettivi di quartiere, collettivi di scuole e università. Iniziano i lavori per rendere utilizzabili i locali devastati dall’abbandono durato anni. Apre il consultorio del Collettivo self-help di MLD e l’asilo nido aperto anche al quartiere. Si forma il collettivo contro la violenza alle donne. La casa delle donne diventa un punto di riferimento nazionale, si organizzano incontri sul separatismo, sul salario alle donne, sull’informazione, sulle pratiche del parto e la maternità. Il Quotidiano Donna stabilisce lì la propria sede, così come Radio Lilith. Apre anche il centro culturale Virginia Woolf.

Nel momento in cui il femminismo diventa fenomeno mediatico e le donne occupano la scena, il mondo dell’informazione capisce che è il momento di appropriarsi delle parole e dei contenuti elaborati per ricondurli nel mercato.

Il mensile Arianna, rivista femminile, nel 1975 diventa Cosmopolitan. Si rivolge ad un pubblico di giovani donne, “avventurose, alla moda, disinibite, vogliose di stupire gli uomini, grazie ai preziosi consigli della rivista del cuore”. Si parla di sessualità e di contraccezione, ma il riferimento è sempre alla coppia e al matrimonio. Si parla di emancipazione della donna e della determinazione necessaria per scalare la via del successo e occupare posti spesso riservati agli uomini. La dimensione familiare in questa scalata al successo diventa sempre più difficile da gestire.

Adelina Tattilo, editrice di Playmen, mensile erotico ispirato al più noto Playboy, lancia la rivista rivolta alla “borghesia femminista” Libera, il giornale della donna moderna. Stampa 90.000 copie. Mescola articoli di politica e costume con temi pseudo femministi e immagini di nudo maschile, cura servizi di moda e di bellezza. La liberazione sessuale viene ridotta all’esposizione di corpi nudi.

Intervistata Tattilo dichiara: “Noi abbiamo un pubblico di élite, non tanto costituito da donne preparate culturalmente, quanto perché evolute: donne che nella società hanno raggiunto un loro posto e una loro emancipazione”.

La direttrice di Effe attacca duramente queste esperienze definendone l’unica novità rispetto alle riviste già esistenti “…insieme alla donna oggetto ha fatto anche l’uomo oggetto. Tutto è impostato su una falsa liberazione sessuale…”.

Le nuove riviste hanno una veste diversa dalle vecchie pubblicazioni femminili tradizionali, in maniera mistificatoria tuttavia propongono un’immagine di donna liberata, moderna e spregiudicata, ma pur sempre alienata, borghese e assolutamente non libera.

L’equivoco su cui si gioca la comunicazione di questi media è di far credere che si racconti la nuova visione del mondo dal punto di vista femminista. Su ogni argomento: musica, moda, poesia, cura della persona. Esattamente il contrario di quello che tentavano di fare le pubblicazioni autoprodotte dove si raccontava il sapere conquistato dalle donne attraverso la pratica politica e l’esperienza accumulata nelle tante lotte che avevano portato risultati importanti. La legge sul divorzio, l’istituzione degli asili nido e dei consultori, la riforma del diritto di famiglia e la legge sull’interruzione di gravidanza erano diventate realtà.

Il rischio che il movimento femminista venisse ridotto a fatto culturale e cristallizzato in un’ideologia attraverso la sua rappresentazione fatta da editori operanti nel mercato editoriale è stato molto grande. Lo sforzo fatto allora, ma da fare anche oggi, è quello di continuare a produrre idee attraverso la pratica e la modificazione collettiva della realtà, producendo conflitto laddove ci sono le contraddizioni reali e rifiutando di essere soggetti passivi fruitori di un’informazione spacciata come femminista. La “normalizzazione” del femminismo attraverso la rappresentazione di donne che raggiungono gli obiettivi che si sono date, aderendo al mito della competizione richiesta dal mercato, è quanto di più lontano dalle lotte che le donne non hanno mai smesso di animare. Non esiste la “donna femminista” esistono le donne che rivendicano la libertà di scelta sui propri corpi e desideri, rifiutando qualsiasi tentativo di essere ricondotte all’interno dei recinti e della rappresentazione che l’informazione mainstream, comunque camuffata, ne fa.