ITALIA

Le foreste sono in fiamme e non costruiscono città

Di fronte al disastro al quale stiamo assistendo, l’architetto Stefano Boeri pensa che basti un’idea geniale per risolvere il problema del riscaldamento globale. Abbiamo capito che l’espandersi senza limite non è più possibile, perché il suolo non è un bene consumabile all’infinito e le nostre città sono ecosistemi molto fragili

La giovane donna svedese che ha scosso il mondo viene presa di mira in maniera vergognosa, con accuse misogine e sessiste nel tentativo di renderla ridicola e, insieme a lei, le sue grida di allarme. Greta Thunberg, finito il suo discorso al summit sul clima dell’ONU, ha ripreso la barca a vela e fatto rotta verso l’Europa, chiedendosi perché gli adulti siano così stolti.

Non è accaduto altrettanto nei confronti di un non più giovane architetto che pensa di risolvere quella che da tutti oramai viene riconosciuta come la crisi inarrestabile delle condizioni di vita di un pianeta, con la costruzione di centri urbani, che chiama città foresta, composti da grattacieli con balconi pieni di piante.

Di fronte a un panorama che vede intere regioni devastate dalla siccità, fiamme immense che divorano l’Africa, l’Amazzonia e l’Australia, ghiacciai sciolti sotto il sole, l’architetto Stefano Boeri ha presentato la sua città foresta al summit dell’ONU «un fatto semplice ma rivoluzionario che può cambiare la faccia del mondo e mitigare i problemi delle emergenze climatiche con gli alberi, i boschi, le foreste attorno e nelle città».

Davvero semplice!

L’architetto Boeri l’ha già fatto a Milano dove ha costruito due torri alte 80 e 112 metri, rivestite di alberi, arbusti e piante tappezzanti, curate, potate ed eventualmente sostituite da una squadra di arboricoltori, che si cala dal tetto con tecniche da alpinismo.

Siamo nel vecchio quartiere Isola, una volta periferia industriale isolata (da qui il nome) dal resto della città da due barriere, la ferrovia e il naviglio Martesana. Da subito dopo la guerra diventata oggetto di interessi speculativi, prima destinandola a Centro Direzionale, poi Città della Moda. Le due operazioni non si sono concretizzate. Ma il semplice annuncio ha messo in moto una forte opposizione alla distruzione dello storico quartiere, intorno a un gruppo di artisti e agli abitanti, fino a quando una multinazionale americana ha acquisito tutti i terreni della zona e ha affidato a Stefano Boeri l’incarico di un nuovo progetto per l’area. Nasce il Distretto di Porta Nuova, che ha cancellato il vecchio quartiere, con una gigantesca operazione di gentrificazione. Per abitare qui, fra le pareti di vetro del bosco verticale, protetti da vigilantes armati 24 ore su 24, bisogna poter spendere 15mila euro per metro quadro per l’acquisto e 1500 euro al mese per le spese condominiali!

Stefano Boeri esporterà la sua idea ecologica in altre parti del mondo. Lo farà a Tirana, costruendo una torre verde di 21 piani fuori terra e 4 piani interrati che, sopra un basamento prevalentemente commerciale, ospiterà 105 appartamenti.

Lo farà al Cairo realizzando tre “cubi verdi” alti 30 metri, destinati a un hotel e tre palazzine residenziali.

Soprattutto lo sta facendo in Cina, con il progetto di una nuova città per 100 mila abitanti, la città foresta di Shijiazhuang, un prototipo composto da dozzine di alti edifici, mimetizzati da cortine di piante, replicabile a Lishui, Liuzhou, Guizhou, Shanghai e Chongqing. È in fase di costruzione, intanto, il progetto Nanjiing Vertical Forest che comprende due torri, una alta 200 metri destinata a uffici e l’altra di 108 metri ospiterà un hotel della catena Hyatt con 305 camere e una piscina all’ultimo piano. Entrambe le torri saranno posate su un basamento, alto 20 metri che ospiterà negozi e ristoranti, ovvero un classico centro commerciale.

Ci stiamo interrogando da molto tempo sulle trasformazioni urbane, lo facciamo ragionando sull’ abbattere, sul ricostruire, sul densificare, sul consumare suolo, sul valorizzare. Ci domandiamo se il modificare parti del territorio e l’espandersi senza limite, possano rappresentare, ancora, il panorama di riferimento, per i prossimi anni. Nel momento in cui abbiamo compreso che il suolo non è un bene consumabile all’infinito forse è necessario fermarsi a riflettere prima di continuare a tirar su torri e grattacieli, anche se rivestiti di piante.

 

Nota dell’ufficio stampa dell’architetto Stefano Boeri

Il progetto di una “Grande Muraglia Verde delle Città” si propone di realizzare nei pressi di 90 città dall’Africa all’Asia Centrale, 500.000 ettari di nuove foreste urbane e 300.000 ettari di foreste naturali da mantenere e ripristinare entro il 2030. Ma non solo: l’aspirazione è di estendere anche in altri continenti, in particolare in quello europeo, la capacità delle grandi città di creare nei prossimi anni ampie zone forestate attorno e all’interno del loro tessuto urbano.

Le soluzioni, come il “Great Green Wall of Cities”, basate sulle foreste (Forest-Based Solutions) contribuiscono a rafforzare la resilienza delle città, a sostenere lo sviluppo urbano sostenibile e a fermare i processi di desertificazione. Supportano l’adattamento ai cambiamenti climatici raffreddando l’ambiente, proteggendo i suoli, preservando i bacini idrografici e fornendo prodotti forestali agli abitanti delle città.

Moltiplicando, grazie all’azione di milioni di cittadini, le aree forestate e collegandole tra loro attraverso grandi corridoi ecologici, le città del mondo – anche quelle europee e italiane – diventerebbero i “nodi” di una vasta infrastruttura verde continentale, che integrerebbe le aree metropolitane nel più ampio mosaico delle aree protette del pianeta.

Il team di architetti e ricercatori dello studio è al lavoro anche su diversi piani regolatori come quelli di Tirana e San Marino che hanno l’obiettivo di delineare processi di biodiversità culturale, produttiva, faunistica e vegetale attraverso interventi mirati di forestazione all’interno del tessuto urbano, che possano definire nuovi e più virtuosi modelli di un ritrovato equilibrio tra città e natura. Il prossimo mese a Prato sarà presentato il progetto “Prato Urban Jungle” al quale lo studio sta lavorando con il Professor Stefano Mancuso. Il progetto mira a ri-naturalizzare, attraverso l’utilizzo di NBSs (Nature-Based Solutions) tre aree pilota di Prato in modo sostenibile e socialmente inclusivo grazie alla progettazione di “giungle urbane” che permettano di moltiplicare la naturale capacità delle piante di abbattere sostanze inquinanti, aumentando la resilienza della città. Il progetto ha l’obiettivo di essere il primo passo di un sistema di rigenerazione urbana innovativo.

 

La risposta di Rossella Marchini

La precisazione su quali sono le attività in cui lo studio è impegnato, non contraddice quanto da noi sostenuto. Continuiamo a pensare che per salvare il pianeta nel quale abitiamo dovremo costruire un altro mondo, diverso da quello che caparbiamente abbiamo distrutto. Ovunque si continua a consumare territorio, a costruire case su case, senza renderci conto delle mutate condizioni, mentre dovremmo prendere atto che il modello economico attuale non è più in grado di imporre i propri paradigmi alla società e accettare che il territorio è un bene limitato.

“Guai a voi che aggiungete case a case e poderi a poderi fino che c’è spazio! Vi starete voi soltanto sulla terra?”

(Isaia 5.8)